Un trapianto bipolmonare, poi il secondo. La sordità, il trapianto di reni. La rinascita, un matrimonio da favola. Il pensiero che la felicità è adesso. Ai suoi genitori la diagnosi di fibrosi cistica è arrivata quando Asia aveva già 18 mesi: era piccola e non cresceva. Durante l’infanzia inizia ad assumere il Creon, un farmaco per l’insufficienza pancreatica, e tutti i farmaci che servono per tenere a bada la malattia.
Cosa ricordi degli anni dell’infanzia?
Come tutti i bambini con la fibrosi cistica, sapevo che dovevo stare molto attenta. Non dovevo bere dai bicchieri degli altri, non dovevo stare vicino a bambini malaticci e ricordo che mettevo sempre le maglie a collo alto per proteggere la gola dal freddo. Poi, a 4 anni e mezzo, ho avuto una polmonite molto forte e da lì è iniziato il declino. Sono stata in ospedale, a Verona, per 3 settimane e ho iniziato ad assumere cortisone, altri farmaci e ho fatto più cicli di antibiotici. Gli anni delle elementari me li ricordo con la sveglia puntata alle 6 del mattino e mamma che mi preparava tutte le terapie da fare, più la pep mask, più l’aerosol. E lei che per riuscire a stare sveglia e farmi compagnia continuava a pulire casa. Più il tempo passava e più i benefici venivano meno e le infezioni aumentavano.
Arriva l’adolescenza.
Durante gli anni delle medie erano più le volte che mia mamma mi accompagnava a scuola e dopo due ore mi veniva a prendere perché avevo 40 di febbre che i periodi di frequenza normale. Gli ultimi li ho fatti da casa, con i professori che venivano da noi. Al primo anno di scuola superiore ho dovuto fare i conti con la realtà: non potevo più andare avanti così. Ho deciso di chiedere il trapianto di polmoni. Il medico del Centro FC di Ancona che mi seguiva non era d’accordo: non era scontato per un malato FC entrare in lista e arrivare vivo alla chiamata. Io ero minorenne ed ero obbligata ad avere mia madre come portavoce. Ho insistito tanto.
Una scelta coraggiosa.
Non c’erano altre strade percorribili. Ho scelto di appoggiarmi al centro FC di Firenze e di essere messa in lista di trapianto a Siena. Sono arrivata alla chiamata in uno stato di salute pessimo: ero attaccata all’ECMO (ossigenazione extracorporea a membrana, ndr), in coma farmacologico, e sotto curaro (un potente farmaco che blocca la trasmissione neuromuscolare, ndr) per tenermi immobilizzata. In tantissimi venivano a trovarmi e nel mio telefono ho ancora una nota scritta in quei giorni: “Vengono a vedere la reliquia”. Il 23 luglio 2013 è stato il giorno del trapianto bipolmonare: un’operazione di 12 ore. Sono stata il centesimo trapianto del dottore responsabile dell’operazione: mi disse di non aver mai visto dei polmoni così brutti.
Com’è stata la ripresa dopo il trapianto?
Dopo 3 mesi di ricovero e di fisioterapia, dopo la tracheotomia, in un momento di coscienza, mentre mi stubavano, ricordo che la dottoressa mi chiese: “Asia, ti ricordi come si respira?”, risposi di no. Davvero, non me lo ricordavo! Dopo altri tre mesi a casa sono rinata: ho iniziato a uscire, tornare tardi, andare a teatro, al cinema. Mia mamma aveva paura che mi stancassi troppo. Ma io le dicevo: “Non sono una sprovveduta, è che mi sento l’energia a mille e devo sfruttare il momento!”.
È stata come una rinascita?
Mi è sembrato che lo fosse, sì. Ma dopo un anno e mezzo ho iniziato a sentire un gran fiatone ed è ripartita la tosse. A gennaio 2015 hanno fatto una biopsia polmonare: era in corso un rigetto. Ho preso la polmonite e sono finita sotto il casco con doppia ventilazione. Avevo 18 anni e dovevo, volevo, sostenere la maturità, ma io continuavo a stare male. Ho fatto gli esami con 40 di febbre: durante lo scritto di italiano mi sono addormentata sul banco. Nel frattempo, la dottoressa che mi stava seguendo ad Ancona mi aveva comunicato che era ora di pensare a un secondo trapianto e che aveva già preso contatti con Siena.
A 18 anni sei in lista per il secondo trapianto bipolmonare.
Dopo la maturità mi ricoverano a Siena, dove vengo portata in elicottero perché nelle mie condizioni non avrei potuto affrontare un viaggio in ambulanza, e a settembre entro in lista. Decido comunque di iscrivermi all’Università di Urbino, Facoltà di Lettere e Filosofia. Andavo a lezione in sedia a rotelle e venivo accompagnata da una navetta. A ottobre di quell’anno iniziano le crisi respiratorie devastanti: la gola e la lingua mi bruciavano, percepivo un blocco assurdo al torace e sentivo di non avere controllo del mio corpo, di niente. A novembre peggioro. La notte del 30 novembre, attaccata all’ossigeno, sveglio mio padre – io non ne ho ricordi – e inizio a vaneggiare. Chiamano l’ambulanza, entro in codice rosso all’ospedale di Pesaro, mentre la CO2 era arrivata a 186. Mi portano in rianimazione, dove per 3 ore una dottoressa mi ha ventilato a mano, mentre aspettavano i perfusionisti, arrivati in urgenza da Bologna. Provano ad attaccarmi all’ECMO, ma c’è un problema. Chiamano mia madre e le dicono: “Asia è molto esile e serve un tubicino più grande che può danneggiare la vena cava”. Mia mamma risponde: “Tanto peggio di così non può stare. Se riuscite bene, altrimenti sono già pronta”. Ce l’hanno fatta.
Come descriveresti i giorni passati nei reparti di rianimazione?
Dopo la crisi del 30 novembre mi hanno trasferita a Firenze, dove c’è un reparto di rianimazione d’eccellenza. In rianimazione ne vedi di tutti i colori: sei sempre sveglia e cosciente e ci sono solo delle tende a separare i letti. Arrivano vittime di incidenti stradali, arriva di tutto, e tu sei lì che sei costretta a sentire quello che sta accadendo. Nel letto affianco al mio a un certo punto è arrivata una ragazza che aveva tentato il suicidio. Io, aggrappata alla vita con i denti, e lei che non avrebbe voluto essere lì. Sono state giornate toste.
Arriva il giorno del secondo trapianto. Cosa ti ricordi?
Alle 7:30, quella mattina, il dottore mi sveglia e noto che una lacrima gli percorre la guancia: “Asia, è arrivato Babbo Natale. Sono arrivati i polmoni”. Agitazione, ansia, mille paure tutte insieme. Mi hanno dato delle gocce per “non ricordare nulla” e così è stato. Il vuoto. Mi sono risvegliata dopo una settimana, ma questa volta mi sono svegliata sorda. I farmaci che mi avevano dato erano ototossici e hanno seccato i nervi uditivi.
Non sentivi più niente?
Sette mesi nel silenzio più totale. Sembrerà assurdo, ma per una come me che prende sempre il lato positivo, sono stati arricchenti: ho imparato a leggere il labiale, ho letto tantissimi libri e ho iniziato a guardare i film con i sottotitoli in lingua. Quando mi sono ripresa dall’operazione non potevo andare in giro da sola, avevo sempre qualcuno a tenermi la mano. Nel giugno 2016 mi hanno messo un impianto cocleare: è stata un’operazione molto invasiva perchè sono immunodepressa e avevo due trapianti recenti alle spalle. Il periodo post operatorio è stato davvero duro. A due mesi dell’operazione sono tornata in ospedale per mettere f inalmente l’impianto uditivo.
Come è stato tornare a sentire?
Ho avuto la fortuna di trovare un professionista molto sensibile. Mi ha messo in guardia, prima di accenderlo: “Non preoccuparti se ti fa strano”. La prima voce che ho sentito, la sua, mi è sembrata aliena. Capivo le parole, ma era metallica. Dopo sette mesi la mia memoria aveva resettato i ricordi legati all’udito: non potevo distinguere la voce femminile da quella maschile, i diversi timbri delle diverse persone, e anche un rumore banale, quotidiano, come quello dei fogli passati tra le mani, per esempio, mi risultava nuovo e così affascinante. Modificando i vari mappaggi del dispositivo è andata meglio. La cosa bella, se vogliamo trovarne una, è che io oggi ho la possibilità di spegnermi: voglio concentrarmi? Leggere? Dormire? Non ascoltare qualcosa o qualcuno? Stacco l’impianto. (Ride, ndr)
Come continua la tua vita?
Nel 2017 mi sono iscritta a Lettere Moderne, a Padova. Un anno che ricordo con un sorriso: la città era bellissima e l’ospedale, per ogni evenienza, era vicino. Ma io non sono una tipa mondana e così torno a Pesaro. A gennaio 2019 mi vengono delle fitte fortissime alla pancia. Rimando il più possibile l’ingresso in ospedale ma alle 2 di notte mi reco in pronto soccorso e dopo vari esami risulta che un pezzo del mio intestino è in necrosi. Mi hanno aperta, ma alla fine risultò solo un’infiammazione intestinale.
Quindi non passa un anno senza che tu non faccia un ingresso in pronto soccorso.
E non è finita qui. Uno pensa che la fibrosi cistica sia “solo” muco che riempie i polmoni, ma io sono la prova, vivente per fortuna (ride, ndr), che è una malattia multiorgano, pervasiva, che compromette tutto il corpo. A fine giugno 2020 succede la stessa cosa. In quei giorni ero a San Marino, dal mio ex fidanzato. Mi faccio portare a Verona e lì mi asportano l’appendice che era infiammata. Di nuovo, a ottobre dello stesso anno, vengo ricoverata a Verona perché vomito e ho la pancia gonfissima. Mi dicono che si trattava di un blocco intestinale, ma io sapevo che non era così.
Quando hai capito che il problema erano i reni?
In quei mesi vado al Centro FC di Ancona, dove c’è anche il centro per i trapianti renali. Faccio una settimana di ricovero in cui i medici scoprono che i miei reni avevano smesso di crescere, o comunque erano atrofizzati. A febbraio 2021 ho di nuovo gli stessi sintomi, con la pressione 250 su 200: mi sento scoppiare. Gastroscopia, colonscopia, altri esami, finché scelgo di parlare con un nefrologo. Lui, solo guardandomi, senza neanche visitarmi, mi dice: “Serve la dialisi”. Inizio con la dialisi il 4 maggio del 2021. Da Pesaro mi chiamano e mi comunicano che serve un trapianto di reni. Tremo, mi sento immobilizzata: un altro cazzo di trapianto. Non ci potevo credere. Il dottor Boschiero di Verona aggiunge che sono in realtà in lista d’emergenza in quanto io sono una trapiantata, con una situazione vascolare pessima.
Quando arrivano i nuovi reni?
La notte del 15 febbraio 2022, alle 4:30, mia madre spalanca la porta e accende la luce della camera. Quando dormo stacco l’impianto uditivo e così non sento niente: la vedo gesticolare verso di me. Mi alzo. Ci sono i carabinieri alla porta: erano arrivati i reni e, non rispondendo al telefono, da Verona avevano allertato i Carabinieri di Pesaro. Alle 5 faccio la dialisi, alle 8 parto per Verona. Entro in sala operatoria alle 19, alle 21:30 i medici mi chiudono e io mi sveglio alle 3. Due giorni dopo già camminavo. Ero magrissima, debole, ma dovevo uscire dall’ospedale il prima possibile: la mia soglia del dolore ha raggiunto livelli altissimi.
E poi?
E poi, dopo essermi ripresa dal mio terzo trapianto, tutto bene. Continuo ad assumere farmaci immunosoppressori, gastroprotettori, vitamine, integratori, ma sto molto meglio. Il 22 maggio 2022 – hai notato che sono fissata con le date? – ho conosciuto il mio attuale marito. Quando incontravo qualcuno in passato, ero solita raccontare tutto il mio trascorso e la persona che avevo davanti se non si spaventava si sentiva comunque pervasa. Al contempo mi vergognavo della mia cicatrice alla gola, che coprivo con sciarpe e colli alti, e dell’impianto uditivo. Invece con Massimo mi sono aperta un po’ alla volta, una cicatrice alla volta. Mentre con le altre frequentazioni forzavo la giocata, forse, inconsciamente, per allontanarmene, questa volta ho lasciato che tutto accadesse naturalmente, giorno dopo giorno.
Hai sempre sognato il matrimonio?
Sì, sono una persona romantica. Credo nel lieto fine. Sognavo l’amore, l’abito bianco, la vita con una persona accanto. Finalmente avevo trovato un ragazzo intelligente, sensibile, maturo, con il quale essere Asia, solo Asia, in tutta la mia complessità, fragilità, voglia di vivere.
Quali sono i tuoi progetti ora?
Per tutta la vita il tempo mi ha fatto paura. Non sapevo se ne avrei avuto abbastanza. La fibrosi cistica ha fatto saltare in aria tantissimi progetti, sin da bambina. Ora, con Massimo accanto, la progettualità non mi mette più timore, anche se deve essere sempre un po’ alla volta. Vogliamo una nostra casa, ma su tutto il resto non ho aspettative: voglio vivere la giornata. Ho imparato sulla mia pelle che la felicità può durare poco e per me la felicità è adesso.
Leggi l’intervista ad Asia su Notiziario n.65.