C’erano tre anni di differenza tra Rosa, del 1977, e Teresa, del 1980, ma avresti detto che erano gemelle. Rideva una, scoppiava a ridere l’altra; soffriva una, l’altra provava male; una si scordava qualcosa, l’altra ce l’aveva; non c’era problema che insieme non riuscissero a risolvere. A parte la fibrosi cistica.
«Io e Rosa ci bastavamo. Potevamo stare noi due senza altre persone», racconta Teresa. Tuttavia, quando si trasferirono entrambe a Londra, nel 2008, scelsero di non abitare insieme. «Però abbiamo sempre vissuto nello stesso quartiere. Fu una decisione presa a tavolino – spiega Teresa. Quando vai all’estero devi integrarti con la nuova cultura, conoscere nuove persone, trovarti degli amici. Volevamo fare un percorso di crescita lavorativa in UK, quindi dovevamo migliorare il nostro inglese. Saremmo potute rimanere in Italia, ma non era quello che volevamo. Abbiamo sempre amato Londra. Io avevo fatto le stagioni estive là, lei il viaggio di laurea. Aveva 30 anni quando ha maturato l’idea di trasferircisi e di entrare nel Servizio Sanitario Inglese. Avevo vinto il Progetto Leonardo con l’università. Dopo il periodo in Francia e in Lussemburgo, raggiungerla a Londra era un modo per tornare insieme, ai due anni romani, quando lei studiava psicologia e io facevo la scuola per diplomatici e il tirocinio al Ministero degli Affari Esteri. Abbiamo fatto quello che ci rendeva felici. Londra ha rappresentato la scelta di realizzazione dei nostri sogni, il rifiuto di lasciarsi limitare dalla malattia, anche a costo di rinunciare a un po’ di salute». Ha l’entusiasmo di chi sta per partire Teresa, nella voce c’è lo slancio di chi ha deciso di mettersi in gioco. Li conserva, dopo quasi dieci anni, e non rimpiange niente, anche ora che Rosa non c’è più.
«Londra ci ha dato tanto e tolto altrettanto. Ci ha dato tutto dal punto di vista lavorativo: indipendenza economica, titoli, responsabilità e disponibilità, per esempio nell’avvio della mia startup, che in Italia, a 30 anni, non sono possibili. Dal punto di vista della salute ci ha tolto tantissimo. È una città che stanca: siamo molto dimagrite, perché impone uno stile di vita non ideale per chi ha una malattia. Rosa abitava a Nord e lavorava a Sud, a 75 minuti di viaggio. Ogni giorno passava ore sui mezzi per andare a lavorare. Tempo che sottrai alle cure. Sono giornate lunghissime ed estenuanti che tolgono energie anche a chi non ha problemi di salute».
Londra è stata la sede in cui la malattia è degenerata. «C’è stata moltissima negligenza – dice Teresa. A livello empatico la comunicazione con il paziente non è curata come in Italia. Non so come la fibrosi cistica in uno stadio avanzato sarebbe stata gestita a Verona (il centro di cura che ci aveva preso in carico), ma mi sento di dire che la sanità italiana non ha paragone con quella inglese».
Avere passato all’estero l’esperienza della malattia ha richiesto un supporto reciproco. «Lo stesso di quando viaggiavamo – ricorda Teresa. La valigia di medicine non mancava mai. Magari con incoscienza, ma non abbiamo mai programmato un viaggio tenendo d’occhio l’ospedale FC più vicino. Siamo anche sempre state benino, così abbiamo potuto fare questo tipo di scelta, semplicemente evitando zone particolarmente sperdute. Fino a quando siamo state studentesse abbiamo viaggiato soprattutto in Italia e in Europa; da lavoratrici siamo volate anche più lontano. Tra le nostre mete Ibiza, Formentera, il Portogallo, la Spagna, la Sardegna. Il primo viaggio con lo zaino in spalla lo abbiamo fatto in Thailandia; siamo state in Laos, a Cuba, in Cile. La fibrosi cistica l’abbiamo sempre vissuta insieme. Era tutta una condivisione con Rosa. La società che avevamo comprendeva la comprensione totale del malessere, perché lo avevi vissuto».
Così, quando Rosa era molto sofferente, la persona che voleva a fianco era Teresa, la sola che potesse capire. Lei c’era, sempre. «Quando mi chiamava, cascasse il mondo, io correvo da lei – racconta. Sono sempre stata molto protettiva nei suoi confronti. Rosa era un motivo di preoccupazioni continue per me che sono ansiosa». Quando stava male per Teresa era un episodio, una situazione di sofferenza da arginare e risolvere. «Nel corso degli ultimi cinque-sei anni mia sorella è stata molto molto male, ha avuto gravi episodi, con tempi di ripresa molto lunghi. Dopo che avevamo superato la crisi, mi diceva sempre: “senza di te probabilmente sarei morta”. Il nostro amore è stato un modo per andare avanti e non arrendersi». Fino a quando nemmeno l’Amore ha potuto più tenerle insieme. «L’ultima settimana siamo rimasti sempre con lei, notte e giorno – ricorda Teresa. Se mi allontanavo solo un attimo mi chiamava e mi chiedeva dove fossi. Ero io la sua preoccupazione, il suo pensiero. Non poteva morire senza di me al suo fianco. “È colpa tua”, mi diceva. Sapeva benissimo quale dolore…», la frase resta sospesa. «Se n’è andata preoccupata per il dolore enorme che mi stava dando» conclude Teresa.
Eppure in pochi erano a conoscenza che le sorelle Pastena convivevano entrambe con la fibrosi cistica. «Lo sapevano gli amici stretti – dice Teresa. Io e Rosa siamo sempre state molto discrete in generale e anche positive. Se mi chiedono “come stai”, non rispondo rispetto alla malattia, ma pensando a come mi sento complessivamente. Rosa era psicologa e psicoterapeuta, nel rispetto del codice professionale non poteva esporsi. Ci sono state tante persone che non avevano idea della nostra malattia – conferma Teresa. Ho ricevuto tantissimi messaggi pieni di sorpresa in questi mesi. Le persone sono rimaste colpite dalla nostra solarità nonostante tutto e hanno dimostrato la volontà di supportarci». A favore dell’iniziativa Project Hope in ricordo di Rosa, che finanzia il progetto Task Force for CF, mirato a trovare un farmaco per il trattamento del difetto di base nei malati FC con mutazione F508del, la più diffusa al mondo, sono arrivate donazioni da ogni parte. «La storia di noi due sorelle legate dalla malattia, che non abbiamo avuto una vita semplice come l’abbiamo sempre voluta mostrare, ha toccato tanta gente – ammette Teresa. Ho accettato questa esposizione totale quando mi sono detta: “cosa ho da perdere? La cosa più importante l’ho persa”. Questo evento drammatico può essere trasformato in qualcosa di positivo. Coltivo la speranza che con i fondi raccolti Rosa possa continuare a vivere nella ricerca e aiutare gli altri come ha fatto per tutta la vita. È il mio modo di continuare a fare qualcosa per lei e con lei. Vuole anche essere un messaggio di speranza in generale e in particolare per i ragazzi più giovani che hanno la FC, per trovare un’ispirazione, non sentirsi limitati, vivere una vita il più normale possibile. Noi lo abbiamo fatto. Mamma non ci ha mai posto limiti, anche per una sua difesa personale, per non ammettere che ci fosse la malattia. Le gite, i viaggi, il motorino, le esperienze che la nostra età cercava le abbiamo fatte tutte. Mio padre era quello più apprensivo. Ci fosse stato solo lui saremmo cresciute con più timori».
Il legame che ha reso Rosa e Teresa quasi gemelle non è solo di sangue, ma soprattutto d’anima e si stringe quando le ragazze sono adulte. «Non so se da bambine andassimo d’accordo come poi siamo andate d’accordo – dice Teresa. Ero dispettosa io. Lei è sempre stata un modello da imitare. Da adolescenti non uscivamo insieme. Abbiamo fatto entrambe il liceo linguistico ad Avellino, ma ci siamo avvicinate quando avevo 20 anni. Rosa sapeva dire la cosa giusta al momento giusto. La chiamavo quando non riuscivo a dare risposta alle cose, a gestire i problemi. Lei era sempre presente, sempre disponibile, non solo con me». Teresa ha saputo essere per Rosa incondizionatamente, anche quando si è innamorata. «Io e Paul ci siamo conosciuti nel settembre 2012, quando avevo 32 anni e stavo mettendo su la mia attività. Inizialmente è stato difficile gestire le relazioni con Paul e mia sorella, perché non volevo che lei sentisse la mia mancanza. Desideravo che Rosa continuasse a sapermi vicina, ad avere la certezza che per lei ci fossi sempre. Paul è una persona molto intelligente: ha visto il mio stress per cercare di mantenere immutato il mio rapporto con Rosa, ha capito e mi ha detto: “non cambiare nulla con tua sorella. Non mi devi dimostrare niente”». Teresa e Paul sono sposati da tre anni. «Con lui sono stata onesta dall’inizio. Gliel’ho comunicato subito che ero affetta da FC. In passato qualcuno aveva ritenuto che la malattia sarebbe potuta essere un limite, ma Paul non ha visto nessun tipo di ostacolo. È anche un uomo molto positivo: “non lo sai, la ricerca progredisce – dice. Magari domani ti svegli e il problema è stato risolto o lo hanno ridimensionato al punto da non essere più tale”».
Intanto Teresa mantiene la promessa fatta a Rosa: «ci ha chiesto di trasformare il dolore in qualcosa di bello e creativo. Sostenere la ricerca in fibrosi cistica significa non arrendersi, coltivare la speranza». Permettere a Rosa di continuare a portare la sua bellezza e spargere il suo profumo nelle nostre vite.