Ha gli occhi scuri scuri Andrea, sempre vigili. È silenzioso. Tutto vede senza che glielo si mostri. Ha appena 27 anni, ma i modi compassati degli uomini di altri tempi. Non riesce difficile immaginare perché Angelica lo avesse scelto. Nell’incertezza della malattia, la certezza di una presenza solida come le rocce in cui sta incastonato Dongo, piccola comunità sul Lago di Como, dove è vissuta. Andrea è di Gravedona, a tre kilometri di distanza. «Fino a cinque anni e mezzo fa non le avevo mai parlato, pur frequentando le stesse amicizie – racconta. Ci siamo conosciuti in primavera. Angelica si era lasciata e iniziava a uscire. Ci ha messo un po’ lo zampino Elisa, la sua amica. È stata lei che ha creato le occasioni».
Ne è venuto un amore assoluto, che ha sorretto Angelica in ogni momento. In prima linea c’era lei, nelle retrovie Andrea, il suo scudo contro il nemico comune, la fibrosi cistica. «Sapevo che aveva una malattia. Non sapevo cosa comportasse – torna indietro con la memoria Andrea, agli inizi della loro storia. Angelica è stata trasparente da subito. “Per prima cosa voglio farti sapere tutto”, mi ha detto. Ci teneva a farmi conoscere la sua condizione. Mi ha raccontato che si curava dalla nascita, che i genitori erano stati eccezionali. Era molto sicura e serena. Non sono rimasto spaventato dalla cosa. Non ha mai mostrato insofferenza per dovere andare in ospedale. Ha avuto una grinta e un impegno impeccabili in ogni istante». Il tempo ha portato Andrea a conoscere meglio la malattia: «con il trapianto è diventata più impattante e più presente nei pensieri di Angelica. Di conseguenza anche la mia percezione della fibrosi cistica è cambiata. Dopo la morte di Sally, a cui era legatissima, si era resa conto che bastava niente, un’infezione, per trovarsi in difficoltà, ma Angelica conosceva il modo per sdrammatizzare le situazioni peggiori. È sempre stata altruista nei nostri confronti. Nei momenti più difficili pensava prima a noi che a se stessa. Fino alla fine ci ha dato una forza incredibile, al punto che quasi sembrava irreale essere così sereno».
C’era una reversibilità nella pace che portavano l’uno nella vita dell’altro. Angelica dava voce a quello che Andrea teneva taciuto: «innamorarsi veramente significa entrare in una dimensione del tutto differente, cambiare pianeta. Andrea mi ha aiutata, motivata, sostenuta, caricata di energie», scriveva. Poi si rivolgeva direttamente a lui: «tante volte ti osservo e mi piacerebbe che tutto il mondo potesse guardarti attraverso i miei occhi, sentirti attraverso il mio cuore. Mi fai sentire viva, fai sparire la fibrosi cistica dalle mie giornate, hai il potere di trasformare tutto in una gioia. Mi fai venire voglia di avere più giorni da darti. Tu mi allunghi la vita». Andrea non lascia trasparire i propri sentimenti, è estremamente riservato, ma condivide un po’ di quella intimità perfetta che è già diventata un imperfetto: «riusciva a sorprenderti col regalo più semplice. Aveva un’incredibile capacità di trasmettere le emozioni. Dopo il trapianto, per sei mesi abbiamo vissuto insieme. Tornavo a casa. C’erano le flebo da preparare. Lei faceva tutto da sola. Era un lavoro curarsi, ma aveva sempre molti altri impegni, per la Fondazione e anche per un numero di associazioni. Era sempre pronta ad aiutare gli altri, felice di riuscire a dare anche solo un piccolo contributo».
Nell’album dei ricordi ci sono tante foto di viaggi, una passione di Angelica: «indimenticabile quello di quasi tre settimane tra California, Utah e Nevada – dice Andrea. Nei primi anni della nostra relazione si volava spesso, in seguito la malattia ha limitato i viaggi fino a renderli impossibili. L’ultimo che avevamo in progetto lo abbiamo rimandato due volte, poi ci siamo arresi – ammette. Improvvisamente, potere andare a fare un giro in barca sul lago o il pranzo insieme dopo una settimana di ricovero erano come andare in vacanza. I weekend, un solo giorno o qualche ora di permesso per scappare fuori dall’ospedale parevano già un regalo gigante. La malattia ti fa capire davvero le cose importanti. Le piccole gioie diventano enormi».
Angelica aveva la capacità innata di concentrare il tempo, distillare l’essenziale e generare gioia, nonostante la lotta perpetua, impari, estenuante contro la malattia. «Non è stato facile – racconta Andrea. Aveva momenti di sfogo, come quando si è trovata in ospedale con altre ragazze che perdevano la loro battaglia. Non ha mai smesso di fare un gran lavoro su se stessa. Dopo due-tre giorni di difficoltà e crisi, si fermava, inquadrava il problema, ci ragionava, trovava le energie e si diceva “ho fatto tutto, non posso mollare adesso, ce la posso fare e andare avanti”. Quando lei aveva la determinazione giusta per affrontare il problema, la dava a noi». Non ha lasciato nulla al caso per supportare gli altri, magari nascondendo le proprie debolezze. «Rifiutava di parlare con lo psicologo – sorride Andrea. “Se devo confidarmi con qualcuno lo devo fare con qualcuno che mi conosce – diceva. Io mi salvo sempre da sola. Sono io che devo affrontare i problemi e trovare le forze per stare in mezzo a voi”». Andrea aggiunge: «si poneva sempre un obiettivo che la teneva impegnata a livello fisico e mentale. Faceva tutto con spirito positivo. Era consapevole della realtà e faceva il possibile per godersi la vita. Era molto razionale nelle sue decisioni. Abbiamo parlato anche degli ultimi giorni. Ha avuto un tale altruismo. Mi ha aiutato. Ci ha preparato».
Sembra di sentirla ancora comunicare con il mondo fuori dalla prigione dell’ospedale: «sono circondata da persone meravigliose, pronte a dare l’anima per me. Amici veri, importanti, presenti. L’amore mio grande, che è tutto il mio cuore. Ricevo ogni giorno dimostrazioni vere, profonde, toccanti. Non nascondo i momenti di sconforto, ma ricevere una carezza e un bacio in quegli istanti è una sensazione troppo bella per essere descritta. So che potrò stare chiusa qui dentro per un tempo indefinito, ma potrò sempre tornare a casa da voi e non ho bisogno di nulla di più. Grazie di esistere a tutte le persone che sentono loro queste mie parole, siete tanto tanto speciali. Quando curi una malattia puoi vincere o perdere, quando ti prendi cura di una persona, vinci sempre. Straordinari miei, grazie».
Andrea è calmo come le acque del lago, lo stesso a cui Angelica amava tornare. Ancora riflette: «l’insicurezza sul futuro c’era. La consapevolezza di potere perdere una persona anche, quotidianamente. Con Angelica ho imparato a vedere le difficoltà più piccole e le piccole gioie più grandi. Noi abbiamo fatto il possibile, lei l’impossibile».