A settembre, la Direzione scientifica FFC Ricerca pubblicherà gli esiti dei bandi scientifici, ovvero i progetti che verranno finanziati nel prossimo triennio (con alcune eccezioni di estensione). La selezione dei progetti di ricerca vincitori è un’attività complessa e molto articolata.
Ne abbiamo parlato con Paolo Bernardi, professore di Patologia Generale all’Università di Padova, ricercatore, e dal 2022 presidente del Comitato scientifico FFC Ricerca. Dieci domande per conoscere la persona che sta “Dietro il microscopio”.
Partiamo dalle origini. Perché ha scelto medicina?
A 18 anni, come tantissimi giovani, avevo le idee confuse. Erano anni in cui si partecipava attivamente all’attività politica e si aderiva con gli amici ai movimenti studenteschi: io mi sentivo molto coinvolto. Avrei voluto studiare psicologia, ma mio padre mi convinse a optare per medicina perché con una laurea in medicina si sarebbero aperte più strade davanti a me, compresa la psicologia. E poi la mia è una famiglia di medici: mio nonno è stato un chirurgo sul fronte del Carso nella grande guerra alla direzione di un ospedale; il papà medico di base specialista in Igiene, oltre che un eccellente pianista; un fratello che è stato un primario di grande esperienza in cardiologia interventistica e un altro fratello – pur se non medico – direttore amministrativo di un ospedale.
Un figlio d’arte.
Sicuramente, ma soprattutto figlio di una famiglia in cui si è respirata sempre molta cultura e impegno sociale. Mia mamma viene da una famiglia di 13 fratelli dove tutti hanno studiato, molti si sono laureati, tutti hanno preso almeno un diploma e si sono distinti per impegno sociale e politico, alcuni come militanti nella guerra di liberazione. A casa si respirava un’atmosfera
di cultura a 360 gradi, una casa sempre aperta agli ospiti, un luogo in cui confrontarsi su tutto, ascoltare la musica di mio padre, trovare stimoli per arricchire la mente attraverso le persone che la frequentavano. Vivevamo in una cittadina del Friuli orientale e i miei erano riusciti a trasformare la casa in un luogo di ritrovo e discussione che ha avuto per me un grande ruolo formativo, con la mamma che faceva la regia delle serate, delle giornate, ed era sempre estremamente ospitale.
Prima accennava che la sua prima scelta sarebbe stata psicologia. Una scelta non comune per quegli anni.
Le dirò di più: la Facoltà di Psicologia ancora non era stata ancora istituita. Avevo conosciuto la psicologia tramite mio cugino che studiava a Trieste presso la Facoltà di Filosofia con indirizzo psicologico, e anche grazie all’influenza di mio padre, che si occupava dei suoi pazienti prestando molta attenzione anche alla loro emotività, alla loro vita, al contesto familiare. In casa spesso si parlava di Freud e di Jung, ma anche delle teorie di Franco Basaglia e del contesto sociale delle malattie psichiatriche. Io ne ero così affascinato che da studente feci uno stage in un ospedale psichiatrico. Fu un’esperienza molto intensa, durante la quale compresi che avevo una notevole empatia e capacità di relazione con i pazienti più difficili. Il primario che mi aveva guidato durante il percorso mi consigliò di specializzarmi proprio in questo settore.
Poi, però, non scelse psichiatria e nemmeno un percorso da clinico.
Succedono tante cose durante un percorso di studi e il mio non è stato per niente lineare: per un breve periodo ho anche interrotto gli studi
per questioni personali, poi li ho ripresi in modo brillante. Ho avuto la fortuna di avere un grande mentore che mi ha trasmesso la passione per il mondo della ricerca e soprattutto per la cellula, ancor più in particolare per i mitocondri.
Riuscirebbe a spiegare cosa sono i mitocondri ai lettori che non si occupano di scienza?
I mitocondri sono degli organelli semiautonomi che si trovano dentro le nostre cellule. Hanno caratteristiche molto simili ai batteri tanto che si pensa derivino proprio da batteri ancestrali, inglobati dalle nostre cellule in un rapporto reciproco e decisamente fortuito, che ha cambiato il destino della specie umana sulla Terra. Mi spiego meglio. Circa 3.500 milioni di anni fa nell’atmosfera terrestre aumentò l’ossigeno libero, causando un’estinzione di massa per le tantissime forme di vita primordiali anaerobie, per le quali l’ossigeno era un gas tossico. Le forme di vita che avevano integrato i mitocondri sopravvissero: questi organelli, infatti, erano in grado di sfruttare l’ossigeno per produrre l’energia necessaria alle cellule per svolgere le loro funzioni e hanno permesso agli organismi che li contenevano di proseguire la loro evoluzione fino alla comparsa della specie umana. La molecola ad alta energia prodotta dai mitocondri, l’ATP, viene usata per tutte le funzioni cellulari – trasmissione nervosa, contrazione muscolare, attività cerebrale. Non sorprende quindi che i mitocondri siano anche al centro di molte malattie come infarto, diabete e malattie degenerative. Trovo tutto ciò molto affascinante.
Da 2 anni è a capo del Comitato Scientifico FFC Ricerca. Come ci è arrivato?
Giustamente i lettori si chiederanno: come si passa dai mitocondri alla fibrosi cistica? Le barriere disciplinari anche in medicina sono meno nette di un tempo e le competenze sono così varie che è impossibile incasellarle entro confini ben definiti. Ma andiamo per ordine. Nel 2016 Giorgio Berton, all’epoca vicepresidente del Comitato, mi scrisse presentandomi la Fondazione: l’attività, la mission, i suoi volontari. Poco tempo dopo accolsi nel mio studio qui a Padova il professor Gianni Mastella che, ricordo, venne accompagnato dalla moglie. Rimasi impressionato dalla sua passione, dall’impegno, dalla lucidità, dalla grande personalità. Mi chiesero di prendere parte al Comitato scientifico e io risposi umilmente che non ero uno specialista di fibrosi cistica. Ma lui insistette perché mi occupavo di ricerca, per il mio ruolo all’interno dell’Università e per la mia esperienza diretta nello sviluppo dei farmaci. Accettai. Per mia grande fortuna, dico oggi, perché sono entrato a far parte di un gruppo di grande qualità animato da principi e finalità comuni, un gruppo in cui ci si sente amici oltre che colleghi. Dopo la scomparsa di Gianni Mastella e Giorgio Berton, con Carlo Castellani come Direttore scientifico e Nicoletta Pedemonte vicedirettore, mi venne proposta la direzione del Comitato scientifico. Nuovamente, accettai.
All’interno del Comitato scientifico ci sono diverse competenze. Perchè?
Ogni progetto che arriva alla nostra attenzione deve essere valutato da molti punti di vista. Una sola persona non può avere competenze in tutte le discipline necessarie come la biochimica, la biologia molecolare, la farmacologia, la microbiologia, la medicina clinica eccetera. Io stesso non ho una formazione in fibrosi cistica, ma posso contribuire alla valutazione anche attraverso la mia indipendenza.
Come avviene la selezione di un progetto?
Si inizia con la fase di screening. La Direzione scientifica affida ciascun progetto a uno o più componenti del Consiglio Scientifico, per la verifica che i progetti rispondano agli scopi della Fondazione per rilevanza, rigore scientifico, chiarezza espositiva, giustificazione del budget richiesto. I progetti vengono quindi affidati a minimo due referee internazionali, selezionati in base alle competenze specifiche necessarie a valutare il progetto. Si arriva infine alla riunione plenaria del Consiglio Scientifico, dove ogni progetto viene valutato in base al giudizio dei referees e dei valutatori interni e dove viene stilata la graduatoria di merito. Sono molto contento di questo sistema perché è trasparente e perché prevede la discussione approfondita di ogni progetto. La priorità del Consiglio Scientifico è selezionare i progetti migliori che possano avere ripercussioni positive sulle prospettive di cura dei malati FC.
Ha partecipato all’ultimo Seminario e Raduno dei volontari FFC Ricerca lo scorso maggio. Cosa si è portato a casa?
È stata un’occasione preziosa per incontrare i volontari e le famiglie dei malati. Mi ha colpito l’atmosfera positiva e la sensazione di condividere degli obiettivi importanti. Sento sempre una forte empatia, e ho la percezione che anche i pazienti e i volontari provino gli stessi sentimenti perché siamo veramente uguali. Tutti abbiamo casi di malattie invalidanti in famiglia, tutti siamo dei pazienti e conosciamo la sofferenza.
Da quei due giorni di maggio porto a casa anche l’entusiasmo che si respira durante le iniziative sul territorio e la volontà di fare ancora di più, ancora meglio, coinvolgendo anche ricercatori stranieri. In Fondazione al momento è in atto uno sforzo di internazionalizzazione della ricerca che penso ci ripagherà molto.
Qual è il futuro della fibrosi cistica?
Il futuro della fibrosi cistica è già qui. Kaftrio porta i pazienti a raggiungere traguardi di età che erano impensabili fino a qualche anno fa. Il contributo della scienza, e della Fondazione, ha dato risultati straordinari. Nel futuro vedo prospettive con approcci personalizzati e tecnologie genetiche anche per i malati che non rispondono alle terapie correnti, direzione in cui vanno anche progetti selezionati in questo ultimo bando. Per questo dobbiamo continuare tutti insieme a finanziare e a fare ricerca, per loro e per noi.