Flavia è del 1966, Sara del 1988. Sono mamma e figlia. Malata di fibrosi cistica una, sana l’altra. Potrebbero essere sorelle: abbastanza diverse da non assomigliarsi affatto, ma abbastanza affiatate da rispondere come si trovassero dall’una e dall’altra parte del medesimo specchio. Eppure le domande sono state fatte loro separatamente.
Sara pare una Venere del Paleolitico: è morbida e materna e dimostra un amore sconfinato per le creature. Tutto accoglie e tutto abbraccia, nulla respinge (non ha spigoli per farlo), e quando qualcosa è più grande di lei alza gli occhi e sorride. Flavia ha occhi mobili da spirito dei boschi, pensieri che corrono come le nuvole nei cieli d’Inghilterra e gambe agili per scalare le montagne. La fibrosi cistica le è stata diagnosticata un anno e mezzo dopo la nascita di Sara. Per ventiquattro anni non ha saputo di essere malata.
Quand’è che un bambino inizia a comprendere cosa sia la malattia?
Sara: «Io l’ho sempre saputo perché la mamma non me l’ha mai nascosto. Ogni quattro-sei mesi andava ai controlli in ospedale. Da bambini non si dà molto peso alle cose, si pensa che le mamme di tutti siano così. Crescendo ci si confronta e ci si accorge che magari le altre mamme fanno meno fatica. Ho vissuto un po’ male i ricoveri, soprattutto all’inizio. Partiva indisposta, stanca, svogliata e tornava piena di energia. Non la riconoscevo. Non era più tanto la mia mamma così in forze».
Flavia: «Se ai bambini parli con onestà di un problema non ne hanno paura, diventa normale. Credo che tutti i problemi si possano affrontare con loro. Per proteggerli dalle ansie è importante riconoscere i problemi, accettarli e trasmettere ai bambini un’idea di come si può fare a risolverli».
Credi che la malattia possa diventare la normalità anche per un sano?
Sara: «Per un figlio è normale perché ci si cresce dentro. Devo dire che mamma è molto attiva. Non si lascia smontare dalla malattia. Avere sempre saputo che aveva la fibrosi cistica mi ha portato a stare molto più attenta alla sua salute. Non esco volentieri da Belluno. Preferisco starle vicino perché ne ha bisogno. La malattia è una cosa che responsabilizza tanto. So che c’è bisogno di me in famiglia. Sono anche figlia unica, quindi mi sento ancora di più in dovere di fare qualcosa per lei. Io, però, non riesco a vivere come mamma: vivo alla maniera dei sani».
Flavia: «Mi sento malata solo quando sono a letto e sono costretta a starci. Finché sto in piedi sto bene. Star male è proprio un livello orizzontale. È quando ci si rende conto che si ha bisogno dell’aiuto degli altri. Se vivi con una persona malata e accetti la situazione, la quotidianità diventa una cosa normale. Se subisci la malattia e le situazioni che crea, la malattia diventa insostenibile. Bisogna riuscire a viverla con amore, trovare la gioia di aiutare l’altro. Crescere con una persona malata dà la possibilità d’imparare che è necessario anche dare e che rendersi utili può avere un effetto positivo».
Come ti regoli per essere d’aiuto?
Sara: «Per capire la fibrosi cistica mi baso su quello che mi dice la mamma. Mi fido delle sue sensazioni. Do più importanza a quello che lei sente piuttosto che a quello che vedo. Qui ad Astragal la quota è abbastanza alta e dovrebbe fare più fatica. Invece qui sta meglio. La mamma ha spirito. Intervengo solo nelle cose pratiche».
Cos’hai imparato dalla tua mamma?
Sara: «Lei è molto pratica. Ha sempre dato poca importanza alle regole della cortesia. Voleva crescermi dandomi tutto quello che poteva, non il superfluo».
Cos’hai cercato d’insegnare a tua figlia?
Flavia: «Ho sempre avuto un’angoscia forte rispetto la possibilità di riuscire a crescere mia figlia. Ad ogni infezione si ripropone la paura del futuro. In qualche maniera ce l’abbiamo fatta. Ho cercato d’istruirla in modo che diventasse presto autosufficiente e imparasse a esprimere i suoi disagi a parole, per farsi capire dagli altri qualora io non fossi stata presente. Sapere di avere un tempo limitato è stato, ed è tuttora, motivo per fare festa ad ogni occasione. Anche se noi adulti diventiamo un po’ adolescenti vivendo ogni occasione come se fosse l’unica, cosa c’è di meglio per un figlio? Ho lasciato molta libertà a Sara perché credo sia la realtà in cui vivono gli adulti. Sapendo che bisogna insegnare a distinguere una situazione di pericolo da un’altra, abbiamo sempre visto le cose insieme».
Com’è stata la tua esperienza di mamma?
Flavia: «Ho avuto Sara perchè ero giovane e piena di energia; perché quando sei giovane tutto è possibile: anche senza salute, senza lavoro, senza casa, persino senza famiglia. Con l’avventatezza della gioventù la crescita di Sara ha avuto il peso di una farfalla sulla punta delle dita di una mano. Credo che un istante di felicità dimentichi lunghi giorni di sofferenza e che la felicità non sia un dono ma una scelta. Avere un figlio dà molta forza. È un motivo in più per farcela. Mi sono sentita necessaria per la creatura che stavo crescendo. Ci sono stati momenti difficili, in cui sembrava addirittura mancare la forza fisica per sollevare e accudire la bambina. Allora mi dicevo: “Se sei diventata mamma significa che hai anche la forza per esserlo”. Ai bambini, tutto sommato, basta anche poco: sono estremamente adattabili».
Come figlia di una mamma con FC, cosa pensi delle donne con FC che cercano la gravidanza?
Sara: «È sempre bello vedere crescere una vita. Anche viverci solo per pochi anni ne vale la pena. Avere avuto un figlio a mia mamma ha dato molta forza, più ottimismo, più speranza. Si è ripresa lentamente dopo la gravidanza, ma devo esserle stata utile da piccola. Mi chiedi cose a cui non avevo nemmeno mai pensato – intanto canticchia. «Non te le domandi perché sono naturali. Non mi sono mai sentita male per avere avuto una mamma con la fibrosi cistica. Se non se la prende la mamma, perché dovrei prendermela io?».