All’anagrafe è Marina Giacopuzzi, 61 anni, nata e residente a Verona, due figli (Michele e Silvia) e un marito (Erminio) con il quale festeggerà a breve le nozze di smeraldo.
Per i colleghi e i volontari di Fondazione è molto di più, a partire dal nome, che cambia secondo chi la cerca: La Marina, Marina G, Marina Giacopina, Giaco, Giacop, Iacopuzzi. Negli anni, tanti hanno avuto l’occasione e il piacere di conoscerla, in ufficio ma anche fuori, perché la sua disponibilità non si limitava agli orari di lavoro. Tra i primi dipendenti di Fondazione, a lei ci siamo rivolti per raccogliere informazioni su volontari, ex colleghi, ricorrenze e momenti importanti per FFC Ricerca, per le registrazioni delle donazioni, le adozioni dei progetti e tanto altro ancora. Insomma, è stata un punto di riferimento per molti ma da maggio, dopo 46 anni di onorato servizio, è ufficialmente in pensione e da qui iniziamo la nostra chiacchierata con lei.
Sì, era l’estate del 1975, avevo appena concluso le scuole medie, andai al mare a trovare alcuni zii e lì mi proposero di fare del volontariato in Associazione Veneta Fibrosi Cistica. Accettai. Avevo 14 anni, sentii subito che quella era la mia strada, rendermi utile mi faceva stare bene ed è diventata anche la mia professione.
Sono cresciuta e mi sono formata in Associazione prima e in Fondazione poi, era un continuo scambio: se da un lato imparavo a utilizzare nuovi strumenti, sistemi di contabilità e tutto quanto utile per poter rispondere alle necessità che si presentavano, dall’altro cercavo di restituire qualcosa di altrettanto prezioso, aiutando al meglio delle mie possibilità quei genitori che avevano bisogno di informazioni o che venivano a ritirare i dispositivi per le terapie. L’ho vissuta da subito come una missione più che un lavoro, e sono tuttora molto grata verso chi mi ha dato questa opportunità e verso la vita stessa.
(Ride, ndr) Ho conosciuto mio marito Erminio proprio durante i primi anni in Associazione. Per caso, grazie a sua sorella Paola, che allora era una mia collega. Aggiunsi la mia firma in una lettera che Paola spedì al fratello, in quel periodo al servizio militare. Una volta tornato, incuriosito, chiese di me… e il 22 maggio festeggeremo i 40 anni di matrimonio.
FFC Ricerca stava crescendo, aveva bisogno di personale per gli uffici, mi sono proposta e così sono passata dall’Associazione alla Fondazione. Era il dicembre 2002, l’anno dei primi progetti finanziati, Fondazione era una novità perché si inseriva nell’ambito della ricerca e l’entusiasmo tra chi era coinvolto direttamente nella malattia si sentiva già parecchio.
Mi occupavo di diverse cose, non eravamo in molti, spaziavo dalla raccolta fondi ai rapporti con i volontari, alla registrazione delle donazioni. Per alcuni quest’ultimo aspetto potrebbe sembrare monotono ma in realtà non lo è. Una donazione non è solo un numero: dietro a ogni singolo euro ci sono persone con le loro storie, sacrifici, sorrisi, esperienze di vita diverse una dall’altra, oltre a rappresentare una concreta speranza per le persone in attesa di una cura.
Le circolari venivano battute a macchina e poi copiate con il ciclostile, richiedevano molta attenzione perché se sbagliavi dovevi ricominciare tutto da capo. Le tessere associative venivano scritte a mano, una per una e così anche i bollettini postali, personalizzati manualmente da noi con il nome del donatore al quale venivano inviati. C’erano poi la ricerca dei gadget e la preparazione dei pacchi con i materiali da inviare alle delegazioni sul territorio in occasione delle Campagne. Si facevano in sede, grazie al prezioso aiuto di alcuni volontari della nostra zona (Verona e provincia, ndr) e così è stato fino a qualche anno fa, prima che la pandemia cambiasse le nostre abitudini. Mi occupavo di organizzare i turni e non poterlo più fare mi è dispiaciuto molto: il contatto umano è insostituibile, anche per questo motivo spesso preferivo non rispondere alle e-mail ma chiamare direttamente chi mi aveva scritto.
I pizzini, sì, anche quello era un modo più amichevole per passare un messaggio o per recuperare informazioni dai colleghi.
I dialoghi con il professor Mastella. Anche quando si trattava di lavoro, lui lo faceva sempre con grande umanità, tenendo ben presente il punto di vista di chi convive con la malattia.
Lo spendersi totalmente per la causa e il senso di comunità che ha trasmesso a tutti, e che penso sia la vera forza di Fondazione: sentirsi parte di una grande famiglia, unita verso un obiettivo comune.
Suona male se dico “chiusa”? Il mio augurio è che centri l’obiettivo, che raggiunga lo scopo per il quale è nata: trovare una cura per tutte le persone con fibrosi cistica.
Devo ancora realizzare bene la cosa. Questi anni sono volati, non riesco a credere che siano già passati. Voglio ringraziare tutti i miei colleghi, in particolare Gabriella (Cadoni, attuale responsabile amministrativa di FFC Ricerca – ndr) perché siamo cresciute professionalmente insieme e mi ha aiutata parecchio, specialmente nei processi di digitalizzazione. E tutti i volontari, i genitori e le persone con fibrosi cistica che ho incontrato negli anni, perché mi hanno donato molto e saranno sempre nei miei pensieri. A loro dico di non perdere mai la speranza, e a chi li assiste di non far mai mancare una parola di conforto e un sorriso.
Non posso abbandonarvi. Mi sento parte della grande famiglia di FFC Ricerca e continuerò a esserci, come ho iniziato, come volontaria.