Questa ricerca (1) indaga il tema del ricorso al test del portatore fra i parenti di un soggetto malato di FC in una particolare regione della Francia, la Bretagna. Qui la malattia FC ha particolare incidenza e nei suoi confronti si è sviluppata nel tempo una particolare attenzione sanitaria e scientifica (ad esempio lo screening neonatale è stato avviato 25 anni fa). I dati dello studio suggeriscono che in presenza di queste condizioni lo screening del portatore con il metodo “a cascata” funziona anche senza che le strutture sanitarie offrano direttamente il test agli interessati.
Il disegno della ricerca è stato questo: sono state identificate le famiglie dei malati FC nati nel periodo 1980-2004 (sono 128, includibili 109, hanno accettato di partecipare alla ricerca 40); è stato loro chiesto di ricostruire l’albero familiare fornendo ai ricercatori i nominativi dei parenti (nonni, zii, cugini); sono stati considerati parenti candidati al test i soggetti con più di 18 anni e residenti in Bretagna; mediante accesso alla banca dati dei tre laboratori di genetica molecolare della regione (Brest, Rennes, Nantes) si è potuto sapere chi l’aveva fatto e chi no. Non c’è stato nessun contatto diretto dei parenti da parte del centro di cura o centro screening. L’informazione e l’invito a fare il test sono stati trasmessi dai genitori del malato o dal malato stesso.
Le 40 famiglie hanno fornito il nominativo di 459 soggetti candidati al test (circa 11 soggetti per famiglia): più della metà erano zii e zie (rischio di essere portatore 1/2), poi cugini (rischio di essere portatore 1/4), nonni (rischio 1/2), pochi i fratelli (rischio 2/3). Il ruolo dei nonni era importante per individuare il ramo familiare da cui deriva la mutazione ed evitare test inutili. Hanno fatto il test 185 persone, il 40% di quelli che erano candidati a farlo, in media circa 4 parenti per famiglia. Erano più donne che uomini (rispetto agli uomini il ricorso al test è 1,5 volte maggiore), soprattutto quelli che avevano rischio più elevato di essere portatori (quindi fratelli e zii) e che progettavano di avere un figlio. Avevano un’età mediana di 31 anni, ma nella distribuzione erano evidenti due picchi: 25-30 anni, che include l’età media alla nascita del primo figlio (in Francia nel 2013 era 28,8 anni) e 45-55, epoca post-riproduttiva in cui la conoscenza di essere portatori è utile per i discendenti.
Per quanto riguarda il risultato del test, più della metà (98/185) sono stati portatori della mutazione familiare; sono stati testati anche 65 partner, 5 di loro sono risultati portatori e 5 sono state le coppie di portatori identificate.
In questo studio l’utilizzo del test per il portatore risulta nettamente più alto (40% verso 10% circa) rispetto ad altre esperienze condotte in anni precedenti con la stessa modalità (diffusione del test affidata solo alla famiglia). Probabilmente c’è meno difficoltà da parte dei genitori e dei malati a parlare della malattia ai parenti; i parenti, d’altro canto, forse un po’ la conoscono già e l’idea del test genetico per sapere se portatori è in generale più accettabile. C’è un contesto più favorevole che in passato. Gli stessi autori lo rilevano e si chiedono se nell’ambito delle condizioni favorenti ci sia anche il fatto che di recente in Francia è stata introdotta una legge che autorizza i medici di base a informare i parenti dell’esistenza di un caso di FC in famiglia, anche quando non lo avessero fatto il malato e i suoi genitori. In effetti è un passaggio legislativo importante, che privilegia un obiettivo sanitario (informazione e prevenzione) rispetto alla privacy.
1) Duguépéroux I, L’Hostis C, Audrézet MP, Rault G, Frachon I, Bernard R, Parent P, Blayau M, Schmitt S, Génin E, Férec C, Scotet V “Highlighting the impact of cascade carrier testing in cystic fibrosis families”. J Cyst Fibros. 2016 Jul;15(4):452-9. doi: 10.1016/j.jcf.2016.02.013. Epub 2016 Mar 22.