Quello del recupero della funzionalità polmonare a seguito di trattamento di una esacerbazione respiratoria è un problema cruciale. Si sa che una recrudescenza dell’infezione polmonare in FC determina una caduta di funzione polmonare: il FEV1 diminuisce in genere di parecchie unità. L’efficacia del trattamento si misura sulla possibilità di far ritornare il FEV1 ai valori migliori presenti nel periodo pre-trattamento. Si conoscono parecchi piccoli studi che testimoniano come parecchi malati non recuperano, dopo esacerbazione trattata, i valori di partenza. Questa questione viene affrontata recentemente da studiosi nordamericani sulla base di dati del registro dei pazienti della CF Foundation americana (1). Il periodo considerato è compreso tra il 2003 e il 2006 e i pazienti sono 27.027. Su un totale di 8479 esacerbazioni il 25% fallisce nel recuperare i valori di base entro 3 mesi dal trattamento. Come valore di base viene preso il FEV1 migliore registrato nei 6 mesi precedenti l’esacerbazione e come recupero viene assunto un valore di FEV1 che sia maggiore del 90% di quello di base. Inoltre il 58% di coloro che non recuperano entro 3 mesi non recuperano nemmeno entro 12 mesi.
Con complessa analisi statistica gli autori di questo studio considerano i possibili fattori che contribuiscono alla non ripresa funzionale. Al fallimento del recupero sono associati una bassa funzionalità polmonare, il sesso femminile, l’insufficienza pancreatica, un cattivo stato nutrizionale, un basso stato socioeconomico, l’infezione persistente da Ps aeruginosa, B. cepacia, Stafilocco MRSA e presenza di Aspergillosi broncopolmonare allergica. A parità di tali condizioni, i fattori più rilevanti del mancato successo sembrerebbero essere il più lungo tempo che trascorre tra il rilievo della spirometria di base e l’inizio del trattamento, nonché una più larga caduta del FEV1 tra quello basale e l’inizio di trattamento. Dunque la precocità di identificazione della caduta di FEV1 e la tempestività nell’inizio del trattamento antibiotico sarebbe determinante, a parità di altre condizioni, per il recupero di funzione polmonare dopo esacerbazione trattata.
Vi sono molte considerazioni metodologiche su questo studio: ad esempio mancano informazioni sulle modalità di trattamento (si sa solo che si è fatto un trattamento antibiotico in vena) e su quanto nei vari casi si sia insistito sul trattamento dopo verifica della funzione polmonare. Ma questi dati un registro di malati in genere non li possiede. E tuttavia, le indicazioni di questo studio sono importanti, perché suggeriscono la necessità di elaborare linee guida aggiornate sul trattamento delle esacerbazioni. Noi crediamo che l’approccio all’esacerbazione, nelle consuetudini dei centri, sia mediamente carente sotto vari aspetti: innanzitutto sulle modalità e sulla precocità di riconoscimento dell’esacerbazione e sulla tempestività dell’intervento. Inoltre, vi è tendenza ad accontentarci che il paziente stia meglio e che la funzione respiratoria migliori: ma l’obiettivo è quello di ritornare al livello migliore preesistente, e questo comporta ripetere, se necessario, il trattamento antibiotico, aggiustandolo in base all’antibiogramma, incrementando la fisioterapia, integrando con antinfiammatori, cortisone compreso, etc. Richiede in sostanza non perdere il filo con il malato ed insistere con i controlli ravvicinati fino al recupero atteso. Ci saranno certamente i casi che non recuperano mai completamente, ma è possibile che meno esacerbazioni rimangano senza completo successo di trattamento se si adotta una, seppur ragionevole e rispettosa, strategia più aggressiva: ogni esacerbazione che non recupera completamente la funzione respiratoria è un pezzo di polmone definitivamente perduto.