Le infezioni polmonari ricorrenti sono uno dei problemi caratteristici della fibrosi cistica; la loro prevenzione, quindi, una priorità. Molte delle strategie possibili sono note ormai anche alla popolazione generale, perché hanno coinvolto tutti durante la pandemia di COVID-19: l’uso delle mascherine, per esempio, o la limitazione dei contatti con le altre persone. Rimane importante, però, poterne stabilire l’efficacia in modo sistematico e fondato su una forte base scientifica: è quanto fa un gruppo di ricerca britannico che ha recentemente pubblicato, sul Journal of Cystic Fibrosis, i risultati di un’ampia analisi della letteratura scientifica.
Cosa emerge dall’analisi?
Che, nonostante una limitata qualità delle prove, le misure di isolamento determinano una riduzione delle infezioni tra persone con fibrosi cistica: gli studi analizzati sono coerenti nell’evidenziarne il ruolo di prevenzione della trasmissione dei patogeni.
Autori e autrici evidenziano i limiti degli studi indagati, condotti su campioni ristretti, oppure che non consentono di escludere l’effetto di altre variabili sui risultati o di confrontarli tra loro. Sono scarsi infatti i trial randomizzati, da sempre lo standard per i risultati scientificamente più affidabili. D’altronde, condurre questo tipo di ricerca (nella quale un gruppo di pazienti riceve l’intervento da testare, mentre l’altro rappresenta il gruppo di controllo) è complesso dal punto di vista etico, perché implica il rischio di privare alcuni pazienti di interventi potenzialmente utili per la prevenzione delle infezioni. Per questa ragione, scrive il gruppo di ricerca, gli studi su larga scala basati sull’uso di registri clinici, che permettono di monitorare l’efficacia delle misure senza la necessità di privare i pazienti di trattamenti potenzialmente benefici, «potrebbero rappresentare l’approccio migliore» per l’esame delle strategie di prevenzione delle infezioni più efficaci.
Perché una nuova revisione delle indicazioni?
La fibrosi cistica è notoriamente sinonimo di infezioni polmonari ricorrenti, causate da specie batteriche che variano nel corso della vita di una persona. Per esempio, se Staphylococcus aureus e Haemophilus influenzae rappresentano i principali responsabili delle infezioni in età pediatrica, nella prima età adulta ricorrono maggiormente quelle causate da Pseudomonas aeruginosa, spesso causa di infezioni croniche.
Nell’ottica di prevenire in modo efficace le infezioni, è importante siano disponibili revisioni periodiche e regolari della letteratura scientifica, in grado di evidenziare eventuali cambiamenti nel tempo dei dati a disposizione e indicare dunque, coerentemente, le strategie più efficaci per ridurre il rischio di trasmissione delle infezioni. L’aggiornamento recentemente pubblicato ha inoltre una rilevanza particolare alla luce dell’introduzione dei nuovi farmaci modulatori della proteina CFTR, che non agiscono per compensare la proteina disfunzionale o assente ma proprio per ripristinarne la funzione, e per i quali non è ancora del tutto chiara l’influenza sulle infezioni polmonari nelle persone con fibrosi cistica.
La revisione in dettaglio
Il gruppo di ricerca ha analizzato 39 studi e 7 linee guida, selezionati secondo criteri precisi da una vasta letteratura scientifica; due di essi presentavano i risultati di trial randomizzati, ma la maggior parte erano indagini del tipo “prima e dopo”, ossia nelle quali si valutavano gli effetti dell’implementazione di una strategia per la prevenzione della trasmissione delle infezioni. Tali strategie, che possono essere anche combinate, comprendono per esempio l’isolamento (di coorte, cioè in gruppi distinti sulla base dello stato microbiologico, oppure individuale, e durante il ricovero oppure in contesti ambulatoriali), l’igiene delle mani e l’uso delle mascherine in contesto ambulatoriale, l’adozione di misure mediche per la gestione, la pulizia e la manutenzione delle attrezzature mediche (come decontaminazione regolare delle attrezzature, frequenti sostituzioni delle attrezzature eccetera). Uno studio, inoltre, si concentrava sulla riduzione dei contatti sociali e la trasmissione dei batteri B. cepacia complex.
Oltre a valutare i risultati degli studi, il gruppo di ricerca ha classificato la solidità e affidabilità delle prove fornite, basandosi un metodo standardizzato di classificazione noto come GRADE (Grading of Recommendations, Assessment, Development, and Evaluation), che distingue quattro livelli di qualità: alta, moderata, bassa e molto bassa.
L’importanza dell’isolamento
Ne emerge un quadro nel quale la qualità delle prove è scarsa, nel senso che gli studi sono tra loro eterogenei, si basano si differenti metodologie e seguono approcci non confrontabili. Tuttavia, riportano autori e autrici, “l’abbondanza di studi che mostrano una riduzione nella trasmissione di microrganismi dopo l’introduzione di misure di isolamento è un risultato importante”. In altre parole, sebbene le prove siano di bassa qualità, la coerenza dei risultati a favore dell’isolamento ne rafforza il valore pratico. In particolare uno studio dedicato alla riduzione dei contatti sociali suggerisce che questa possa limitare la trasmissione di B. cepacia, mentre l’uso di mascherine si mostra efficace nel ridurre la dispersione di P. aeruginosa. Per queste ultime, precisa il gruppo di ricerca, vi era in passato un problema di tollerabilità; oggi però, complice importante la pandemia di COVID-19, il loro uso, soprattutto in ambienti ospedalieri, è molto più accettato: è un aspetto che può facilitare l’aderenza alla strategia.
Il lavoro evidenzia che le strategie di prevenzione delle infezioni non possano essere messe in secondo piano, nemmeno dopo l’introduzione dei farmaci modulatori della proteina CFTR. A oggi, infatti, non è ancora chiaro se possano effettivamente abbassare i tassi d’infezione o se queste non siano invece più difficili da diagnosticare; diversi studi, in effetti, mostrano una persistenza dell’infiammazione e delle infezioni anche nei pazienti in trattamento con i nuovi farmaci.