Questa ricerca (1) viene presentata con un obiettivo più preciso e un metodo di ricerca più rigoroso di quella precedente (Sawicki GS et al). Si può dire che, almeno in parte, chiarisce i dati ambigui della precedente. Il disegno è di tipo retrospettivo, l’obiettivo principale è studiare l’effetto della persistenza (definita come presenza di tre o più escreati positivi) di Stafilococco aureo Meticillino-Resistente (MRSA) nei confronti dell’andamento della funzionalità respiratoria. Dal totale dei malati FC presenti nel Registro Americano nel periodo 1996-2005 (che sono 32.611) sono esclusi quelli di età minore di 6 anni e maggiore di 45 (per escludere le forme probabilmente più benigne di malattia), quelli che hanno meno di due anni di osservazione e un numero insufficiente di culture dell’escreato. Rimangono così circa oltre 17.000 pazienti che possono essere studiati per un periodo medio di 5.3 anni. Da questi sono selezionati 3.435 soggetti positivi per MRSA e fra questi ultimi 1732 (50%) che hanno più di tre culture positive; di questi 1732 il periodo medio di osservazione dopo la prima positività per MRSA è di circa 3.5 anni.
I risultati riguardano, come nella precedente ricerca, il confronto iniziale fra il gruppo dei MRSA persistentemente positivi e tutti gli altri MRSA negativi (13.922): qui i soggetti MRSA positivi hanno (al momento della prima positività) funzionalità respiratoria circa simile, però maggior presenza di Pseudomonas aeruginosa e di B. cepacia nell’escreato rispetto agli altri. Poi l’elaborazione statistica segue due modelli, il primo confronta l’andamento nel tempo della funzionalità respiratoria fra i soggetti con MRSA persistente e quelli senza MRSA, il secondo confronta l’andamento della funzionalità respiratoria di ogni soggetto MRSA positivo paragonando la fase precedente la comparsa di MRSA alla fase successiva (ogni soggetto è controllo di se stesso).
L’importante è che i modelli vengono applicati separando i soggetti MRSA positivi in due sottogruppi a seconda dell’età, quelli di età compresa fra 8 e 21 anni e quelli che hanno da 22 a 45 anni. E il dato interessante è che si ottengono da entrambe le elaborazioni risultati che sembrano suggerire come gli effetti di MRSA siano diversi a seconda dell’età: nei soggetti più giovani la persistenza di MRSA sembra associata ad un andamento più sfavorevole della funzionalità respiratoria; i dati precisano che questo succede solo nei soggetti con MRSA persistente, non succede in quelli in cui MRSA è presente transitoriamente (che in questa ricerca sono circa la metà di quelli in cui compare inizialmente!). L’andamento sfavorevole della funzionalità respiratoria in associazione alla persistenza di MRSA non sembra invece verificarsi nei soggetti in età più avanzata.
Possibili spiegazioni dei risultati avanzate dagli autori: negli adulti con FC il polmone presenta una condizione cronica d’infezione e infiammazione che è poco modificata da un ulteriore incremento di danno infiammatorio prodotto da MRSA. Inoltre, negli adulti la funzionalità respiratoria (espressa in termini semplicemente di FEV1) può essere un indicatore poco rappresentativo della reale situazione polmonare, dal momento che è stato dimostrato che adulti FC con FEV1 bassa o molto bassa mostrano un declino più lento e una minore variabilità rispetto ad altri con livelli di FEV1 più elevati. Gli stessi autori comunque sottolineano che è prematuro di qui andare a progettare trattamenti terapeutici particolari in soggetti giovani con MRSA persistente: sono necessarie ricerche che ci facciano capire quali sono i soggetti in cui MRSA da occasionale diventa persistente e come sia possibile eradicare MRSA che si presenti occasionalmente.
Ricordiamo che sul tema di MRSA, in particolare delle sue caratteristiche microbiologiche e della sua modalità di diffusione, ed in parte della sua associazione con lo stato clinico, si sono occupati i Progetti di Ricerca FFC 6/2005, 12/2006 e 11/2007.
1) Dasenbrook E C, Merlo CA et all. “Persistent Methicillin-resistant Staphylococus aureus and rate of FEV1 decline in cystic fibrosis”. Am J Resp Crit Care Med 2008; 178:814-821