Recensione di pubblicazione da progetto FFC
La terapia fagica, cioè l’uso di virus che uccidono batteri per combattere le infezioni, esiste da più di cento anni. È stata usata a lungo come terapia alternativa agli antibiotici, nonostante le numerose controversie sulla mancanza di documentazione e l’elevata variabilità di successo.
Negli anni Cinquanta, con lo sviluppo degli antibiotici, l’approccio è passato in secondo piano nel mondo occidentale ed è tornato alla ribalta solo una decina d’anni fa con l’aumento delle infezioni farmacoresistenti.
FFC ha affrontato l’argomento in diverse occasioni e rimandiamo a queste pagine (1, 2 e 3) per un approfondimento. Inoltre, ha finanziato diversi progetti di terapia fagica, quali FFC#17/2015, FFC#16/2016, FFC#22/2017, FFC#21/2019, FFC#23/2019.
La situazione in Italia
Purtroppo, nonostante gli sforzi di ricercatori e medici a sostegno della terapia fagica in FC, le applicazioni pratiche tardano ad arrivare. Al momento, in Italia (e in tutta Europa) questo tipo di terapia è ostacolato dalla mancanza di un quadro giuridico e normativo appropriato; negli Stati Uniti viene usato esclusivamente come cura compassionevole.
La notizia di un nuovo studio clinico statunitense di terapia fagica in soggetti con FC ci spinge nuovamente a fare il punto della situazione della ricerca sui fagi.
Ricordiamo brevemente che i fagi (abbreviazione di batteriofagi) sono virus che attaccano i batteri e li sfruttano per replicarsi, provocando alla fine la loro morte.
Lo studio statunitense
L’Università di Yale, in collaborazione con l’azienda Felix Biotechnology, ha avviato uno studio clinico di fase 1/2 per valutare la terapia fagica inalatoria YPT-01. Ricordiamo che le fasi 1/2 dei trial clinici sono quelle in cui si testa il dosaggio più sicuro, gli effetti collaterali e l’efficacia del trattamento.
Nello studio statunitense verranno coinvolti 36 pazienti adulti con fibrosi cistica e infezioni croniche da Pseudomonas aeruginosa, divisi in gruppi e trattati alternativamente con due dosaggi di YPT-01 o un placebo o una terapia antimicrobica standard.
L’obiettivo dei ricercatori è capire se il fago YPT-01 riesce effettivamente a ridurre la carica batterica nell’espettorato dopo 14 giorni di trattamento e se la terapia è in grado di ridurre l’antibiotico resistenza di Pseudomonas aeruginosa.
Sicurezza della terapia fagica
Molte sono le questioni che devono ancora essere affrontate a proposito di sicurezza del trattamento.
I fagi esistono ovunque in natura, anche nel nostro corpo dove interagiscono continuamente con altri batteri e con il sistema immunitario. Tuttavia, i dettagli di questa interazione non sono ben studiati e devono ancora essere approfonditi, sia per escludere eventuali effetti collaterali sia per evitare il fallimento del trattamento e lo sviluppo di batteri resistenti.
Un’altra questione da considerare riguarda il tipo di prodotti fagici disponibili. Accanto ai fagi esistenti in natura, gli scienziati ne stanno studiando altri due: quelli derivati dai fagi naturali ma geneticamente modificati per ottimizzare la loro azione antibatterica, e quelli sintetici, cioè realizzati interamente in laboratorio.
Per i prodotti fagici vanno ancora messi a punto rigorosi protocolli di verifica della sterilità, purezza, assenza di tossine o altri contaminanti che potrebbero pregiudicarne l’utilizzo .
Infine, vanno affrontati alcuni aspetti normativi farmaceutici. A oggi non esiste una regolamentazione specifica sui fagi: fino all’inizio degli anni 2000, il termine batteriofagi non compariva in nessun testo normativo e solo dal 2011 vengono equiparati ai farmaci (negli Stati Uniti) o ai medicinali (nell’Unione europea).
Per i medicinali a uso umano, il quadro giuridico europeo stabilisce standard di qualità e sicurezza molto elevati che complicano parecchio lo sviluppo industriale e l’uso della terapia fagica. Perciò, scienziati e medici chiedono una regolamentazione specifica per i fagi, che possa facilitare se non la produzione almeno l’accesso al trattamento da parte dei pazienti.
L’efficacia della terapia fagica
Il meccanismo con cui i fagi attaccano i batteri è molto specifico: un fago è generalmente in grado di colpire solo una certa specie batterica e, a volte, addirittura solo un ceppo (una variante) di quella specie.
La specificità è un vantaggio perché se un fago colpisce solo il batterio responsabile dell’infezione, gli altri batteri che vivono nell’organismo vengono preservati e gli effetti collaterali diminuiscono. Ma è anche uno svantaggio perché, affinché il trattamento sia efficace, bisogna individuare l’esatto fago capace di aggredire quel determinato ceppo batterico. Considerando che in natura ci sono circa 1031-1032 fagi, trovare quello giusto per una certa infezione può diventare un’impresa titanica.
I cocktail di fagi
Per evitare questa lunga ricerca, spesso si usano cocktail di fagi diversi (vedi progetto FFC#17/2015) che dovrebbero assicurare una maggiore probabilità di successo della terapia pur comportando maggiori effetti collaterali. Questi cocktail sono però difficili da sviluppare e non è semplice dimostrarne l’efficacia nell’uomo.
Infine, l’elevata specificità dei fagi, rende la terapia molto personalizzata e ciò complica il reclutamento del grande numero di soggetti richiesto dagli studi clinici di fase 3, tappa finale del percorso di sperimentazione clinica. Per questa ragione, molti di questi studi non superano la fase 2.
In conclusione, con la crescente diffusione della resistenza agli antibiotici la terapia fagica potrebbe rappresentare una nuova strategia per combattere le infezioni batteriche. Mancano ulteriori dati per stabilire se questo tipo di approccio è affidabile, sicuro, efficace e legale. E ci si aspetta ancora molto dalla ricerca.