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15 Gennaio 2015

Ivacaftor, royalties, e il futuro delle fondazioni

Prof. Lucio Luzzatto, Direttore Scientifico Istituto Toscano Tumori, Presidente Comitato Scientifico Fondazione Ricerca FC

La notizia che la Cystic Fibrosis Foundation (CFF) ha venduto per quasi 3 miliardi di Euro la maggior parte dei suoi diritti (royalties) sul farmaco ivacaftor (Kalideko) ha echeggiato probabilmente più negli ambienti dell’industria farmaceutica che nelle famiglie dei pazienti o negli ospedali dove vengono curati. In sintesi, la storia è questa.

– Nel 2000 la CFF fondava la Cystic Fibrosis Foundation Therapeutics (CFFT), una onlus affiliata alla CFF, con il compito di ‘governare sforzi nella direzione della scoperta e sviluppo di farmaci per la FC’.

– Nel 2006 partono i primi studi clinici su ivacaftor, un farmaco sviluppato dalla VERTEX con un finanziamento di $75 milioni dalla CFFT.

– Nel 2008 è chiaro che il farmaco è solo efficace per pazienti con una certa mutazione del gene CFTR.

– Nel 2012 viene approvato ivacaftor per i pazienti FC che hanno la mutazione G551D. Il prezzo è di circa €250.000 all’anno.

– Nel 2014 parte la sperimentazione di ivacaftor in associazione a un altro nuovo farmaco (lumacaftor) per la cura di pazienti FC omozigoti per la mutazione più frequente F508del.

– Nel 2014, come si è detto, CFFT vende le sue future royalties ad una finanziaria (Royalty Pharma), che potrà a sua volta negoziarle in futuro con la VERTEX o con altri.


I fatti, come si vede, sono abbastanza semplici; le implicazioni meno, come risulta anche da un articolo pubblicato da Andrew Pollack sul New York Times del 19 novembre 2014. Sulla base dei fatti, ed aiutato da quello e da altri articoli, ho l’impressione che dobbiamo analizzare almeno due ordini di questioni. (1) Quali saranno gli effetti sui Pazienti affetti da FC, e sugli aspetti economico-sociali. (2) Quali saranno gli effetti su Fondazioni-Associazioni che hanno lo scopo di sostenere la ricerca e la cura dei Pazienti (ad esempio, CFF in USA, FFC in Italia).

1. In primo luogo, non vi è dubbio che l’ivacaftor è una storia di successo: alcuni Pazienti FC – anche se solo circa il 4% – possono finalmente beneficiare di una cura efficace. Dal punto di vista della farmacologia, è la prima volta che un farmaco specifico per il prodotto di un gene mutato serve a curare una malattia genetica. L’investimento di $75 milioni fatto dalla CFF (tramite CFFT) è stato chiamato una venture philanthropy perché poteva essere a fondo perduto: ma in questo caso ha avuto successo.

In secondo luogo occorre considerare il costo esorbitante dell’ivacaftor. Secondo me, FDA ed EMA avrebbero dovuto negoziare un prezzo più congruo; in più, CFFT, avendo finanziato in parte lo sviluppo dell’ivacaftor, avrebbe potuto influire sul prezzo. Ora che ha venduto i suoi diritti sarà molto più difficile se non impossibile farlo: per tutti i Pazienti che vivono in parti del mondo dove non esiste un Servizio Sanitario Nazionale (che può avere comunque le sue difficoltà per affrontare un aumento di spesa di tale portata), o per quelli che non hanno una assicurazione malattie adeguata, l’ivacaftor resta inaccessibile.

In terzo luogo, guardando al futuro, è chiaro che ormai il controllo è nella mani della VERTEX. Sono loro che gestiscono la sperimentazione del lumacaftor e, sperando che funzioni, sono ancora loro che ne imporranno il prezzo; e probabilmente ciò varrà per eventuali nuove molecole dirette alla proteina CFTR.

2. L’effetto sulle Fondazioni è una questione ancora più complessa. È certamente la prima volta che una Fondazione (onlus), la cui missione è la ricerca e l’assistenza a malati di una certa malattia, si trova a disporre di un capitale di 3 miliardi: che cosa ne farà? Finora una Fondazione di questo tipo spendeva ogni anno tutti i fondi che riusciva a raccogliere (come fa la FFC). Da questo punto di vista, sarebbe sembrato meglio incassare ogni anno le royalties e potere così finanziare in modo più generoso e continuato ricerca e assistenza. Mi sembra difficile – e sarebbe poco saggio – che la CFF spenda invece di colpo 3 miliardi: diventerà allora una finanziaria che investe in immobili od azioni? Certamente i compiti del Presidente della CFF cominciano ad assomigliare a quelli di un CEO di una grande azienda; e come si concilia lo statuto di una onlus con l’avere una affiliata che commercia in royalties (per la Fondazione madre sarebbe illegale farlo)? Ma vi sono altre possibili conseguenze. Ad esempio, un ricercatore che, svolgendo una ricerca finanziata da FFC, rinuncia a parte dei propri diritti brevettuali, sarà ancora disposto a farlo per cederli a quella che è divenuta di fatto un ente commerciale? E si troveranno ancora i donatori di $100 all’anno, o i volontari che organizzano feste di beneficenza per raccogliere qualche migliaio di dollari a favore di una Fondazione che già dispone di 3 miliardi?

Non conosco le risposte a questi e ad altri interrogativi consimili: ma mi sembra chiaro che occorre prenderli molto sul serio. Si tratta, a mio modo di vedere, di conciliare una storia di successo con i fini istituzionali di una Fondazione; e questo impone una visione nuova. Che una Fondazione finanzi un’industria farmaceutica può essere una scelta pragmatica non di per sé scandalosa, purchè i fini istituzionali non vengano compromessi: occorre imparare come farlo. Ad esempio, il contratto di finanziamento dovrebbe prevedere come verrà fissato un prezzo congruo per il farmaco che eventualmente sarà realizzato.

Un altro punto importante da considerare è la ricerca scientifica, che le Fondazioni più valide, come la FFC, hanno sempre efficacemente privilegiato. Se negli ultimi 10 anni la CFF ha finanziato lo sviluppo di ivacaftor, un quarto di secolo fa ha finanziato Francis Collins ed altri, rendendoli capaci di identificare il gene della FC, CFTR: senza questo, non avremmo l’ivacaftor. Sarebbe assai grave se le Fondazioni perdessero di vista il fatto che i farmaci sono solo uno degli approcci possibili per la cura della CF: richiedono somministrazione continuata a vita e non sono perciò una terapia definitiva. Ci vorrà ancora del tempo per una terapia genica della FC: ma abbiamo tecnologie nuove, in paragone al 1989, e questo potrebbe essere il momento buono per dimostrare la lungimiranza di investire ad esempio in questo settore.

Infine, uno degli sviluppi più importanti nel panorama socio-sanitario di molti paesi è stato l’associazionismo dei Pazienti, che esprime giuste aspirazioni di patient empowerment. Le Associazioni fanno bene ad esercitare pressione per ottenere al più presto risultati clinici: devono farlo per tutti i pazienti che rappresentano. Sarebbe ideale che le associazioni di pazienti, quando non si identificano con le Fondazioni, fossero al loro fianco. Sarebbe auspicabile che le associazioni, insieme con le Fondazioni, avessero un ruolo non solo nello sviluppo, ma anche nella commercializzazione delle terapie: altrimenti molti pazienti in molti paesi rimarranno esclusi dai benefici.