Non mancano in letteratura pubblicazioni che dimostrano come l’inspirazione lenta e profonda durante il trattamento aerosolico assicuri una maggiore penetrazione dell’antibiotico nell’albero bronchiale, da cui dipende l’efficacia del farmaco. Questo studio clinico di un gruppo olandese (1) conferma quel dato, indagando l’influenza del modo di respirare sui livelli di tobramicina nel siero raggiunti impiegando un nebulizzatore di ultima generazione (I-Neb).
Si sa che le particelle aerosoliche debbono seguire un percorso complesso per raggiungere le estreme diramazioni bronchiali: tale percorso è tanto più complesso e ricco di ostacoli quando le vie respiratorie sono ostruite (secreti abbondanti e purulenti, mucosa edematosa, spasmo bronchiale,) o deformate (stretture o dilatazioni bronchiali), come nell’infezione/infiammazione broncopolmonare cronica della fibrosi cistica. E del resto, se con l’aerosol antibiotico si intende controllare la carica batterica nel tratto respiratorio è importante raggiungere non solo le vie respiratorie centrali (trachea, grossi e medi bronchi) ma anche quelle periferiche, che complessivamente hanno la massima parte della superficie respiratoria esposta all’adesione dei batteri.
Per conoscere quanto l’applicazione aerosolica sia in grado di portare il farmaco all’estrema periferia polmonare si sono applicate varie tecniche (in genere usando particelle aerosoliche marcate con radioisotopi). Queste tecniche si sono rivelate peraltro piuttosto imprecise. In questo studio olandese si è adottato una misura surrogata, valutando i livelli dell’antibiotico tobramicina, il più usato per il trattamento continuo dell’infezione polmonare cronica da Pseudomonas aeruginosa in fibrosi cistica, durante e dopo inalazione del farmaco (con prelievi seriali di sangue) impiegando un nebulizzatore I-neb. Questo tipo di nebulizzatore ottiene particelle aerosoliche di dimensioni omogenee, tra 1 e 5 micron di diametro, adatte quindi a non impattare presto nel tratto respiratorio, spingendo la soluzione aerosolica contro una membrana a maglia vibrante (con fori di 1 micron). Ma soprattutto tale nebulizzatore dispone di un congegno che si adatta al modo di respirare del soggetto, consentendo che l’aerosol venga erogato solo durante l’inspirazione, evitando così dispersione del farmaco. Si assume che i livelli di tobramicina raggiunti nel siero (concentrazione massima, tipo di curva dei livelli e loro durata nel tempo) rappresentino di fatto la quantità di farmaco che si è depositato nelle vie aeree, in quanto una certa quota del farmaco viene assorbita attraverso la mucosa bronchiale e questa sarà tanto maggiore quanto maggiore sarà stata la superficie bronchiale interessata e quindi quanto più perifericamente sarà giunto l’aerosol.
Lo studio è stato condotto su 18 pazienti FC di età eguale o superiore a 18 anni. Essi sono stati suddivisi in tre gruppi in base al grado di funzionalità respiratoria (FEV1 inferiore a 60%, tra 60 e 79%, oltre 79%). Tutti i pazienti facevano due trattamenti aerosolici con una soluzione di 100 mg di tobramicina al 10%, a distanza di una settimana l’uno dall’altro. Prelievi di sangue venivano fatti in serie prima e a distanza di 15, 30, 60, 180, 240, 360 minuti e 24 ore dall’inizio dell’inalazione: sul siero di questi campioni di sangue venivano determinati i livelli di tobramicina. Uno dei due trattamenti era fatto usando una respirazione normale, mentre l’altro era fatto con inspirazione lenta e profonda con pausa di un secondo alla fine dell’inspirazione (attribuzione casuale del primo rispetto al secondo).
Tutti i parametri di farmacocinetica hanno dimostrato livelli quasi doppi di tobramicina nel siero per i soggetti con inalazione lenta e profonda rispetto a quelli che fanno inalazione con respirazione normale. Inoltre, il tempo impiegato per la seduta di trattamento è più che dimezzato con inspirazione lenta e profonda rispetto alla respirazione normale cosiddetta “a volume corrente”. Il grado di funzionalità respiratoria dei pazienti non sembra influenzare in misura rilevante i risultati.
Questo studio conferma quindi che, usando i moderni nebulizzatori che erogano l’aerosol solo nella fase inspiratoria, l’inalazione di tobramicina con respiro lento e profondo è più efficiente e con tempi di trattamento assai ridotti rispetto all’inalazione a volume corrente.
Vorremmo anche sottolineare l’importanza della pausa di apnea alla fine dell’inspirazione lenta, di un secondo in questo studio: forse andrebbero suggeriti 2-3 secondi. Tale pausa consente infatti, notoriamente, la deposizione nelle vie aeree delle particelle più piccole che rischiano di rimanere altrimenti sospese nell’aria bronchiale ed espulse con la espirazione.
Naturalmente, parlare di efficienza del sistema di inalazione non equivale a parlare di efficacia: per questo occorrerebbero studi ad hoc, peraltro alquanto difficili perché richiederebbero tempi lunghi di sperimentazione e difficoltà di tenuta dei soggetti in trial. Tuttavia riteniamo che in questo caso la dimostrazione di efficienza (maggiore quantità di farmaco depositato nelle vie aeree, evidenziato dalla maggiore quota assorbita nel sangue) sia un forte supporto all’efficacia. Pensiamo anche che quanto dimostrato per tobramicina possa essere valido anche per altri antibiotici ed altri farmaci.
1. van Velzen AJ, et al. The influence of breathing mode on tobramycin serum levels using I-neb AAD system in adults with cystic fibrosis. J Cyst Fibros 2015, http//dx.doi.org/10.1016/j,jcf.2015.01.002