La terapia genica consiste nell’introdurre nelle cellule di un paziente geni normali, allo scopo di correggere una malattia genetica causata da geni mutanti (difettosi). In questo modo, in linea di principio, le cellule malate verrebbero guarite. Il concetto in sé è così lineare che non appena furono identificati i primi geni responsabili di malattie gravi (anni ’80) questo approccio terapeutico è stato subito proposto come assai logico, particolarmente per malattie ereditarie Mendeliane (o monogeniche) come la CF. Ma passare dalla teoria alla pratica non è stato né è tuttora facile: ci sono voluti circa 30 anni perché la terapia genica diventasse una realtà 1, come lo è oggi per bambini con certi tipi di immuno-deficienza grave 2, e come lo sta per diventare per l’emofilia B3. A dire il vero, già nel 1993 un gruppo di Oxford pubblicava su Nature di avere curato con successo attraverso la terapia genica la CF nei topi 4: ma si trattava di un artefatto abbastanza banale (ciò dimostra che la rivista Nature non è infallibile: e in una recente messa a punto su questo argomento 5 quel lavoro non è neppure citato!).
Per realizzare la terapia genica della CF possiamo identificare tre requisiti: (A) riuscire a introdurre il gene normale (CFTR) nelle cellule del paziente; (B) il gene normale deve esprimersi, cioè funzionare, in modo adeguato; (C) ottenere A + B in un numero sufficiente di cellule in modo tale che ne consegua un beneficio clinico.
Per realizzare A occorre un trasportatore o vettore: in generale i vettori più efficienti si sono rivelati alcuni virus (naturalmente prima resi innocui) ma siccome l’epitelio respiratorio è direttamente accessibile dall’esterno, si è lavorato anche con vettori non virali (particelle inalate per aerosol). Per realizzare B occorre aver capito bene come è regolato il funzionamento del gene CFTR, e su questo le conoscenze sono avanzate. In complesso possiamo dire che A e B sono fatti compiuti, sia in modelli di topo sia in pazienti CF 6: ma purtroppo senza risultati clinici apprezzabili, perché troppo poche sono le cellule ‘curate’. In effetti, correggere il difetto genetico diciamo nel 5% delle cellule dell’epitelio respiratorio sarebbe già arduo, e tuttavia potrebbe risultare ancora insufficiente dal punto di vista clinico. Per di più l’epitelio è soggetto a turnover, o ricambio fisiologico: perciò nel giro di settimane le cellule corrette vengono rimpiazzate da cellule non corrette.
Se finora l’impedimento principale ad ottenere un beneficio clinico è stato di carattere quantitativo, forse è venuto il momento di affrontare (C) in un modo nuovo. Specificamente, cambiare bersaglio: ossia – imparando in questo senso dall’ematologia – indirizzare la terapia genica anzichè sulle cellule epiteliali mature, sulle cellule staminali dell’epitelio respiratorio, la cui natura e localizzazione è conosciuta assai meno che nel sistema emopoietico: ma tali cellule staminali devono esistere 7; e cellule basali pluripotenti dallo stesso epitelio sono state coltivate in vitro ed immortalizzate 8.
Il prossimo protocollo di terapia genica della CF potrebbe allora essere a un dipresso il seguente. (1) Isolamento tramite biopsia di cellule staminali dell’epitelio respiratorio di paziente FC. (2) Cultura di tali cellule e trasferimento in queste in vitro (probabilmente tramite vettore lentivirale 9) del gene CFTR normale. (3) Verifica che il gene è stato trasferito e si esprime. (4) Restituzione allo stesso Paziente per via endobronchiale delle cellule staminali corrette, che potranno ora colonizzare l’epitelio dell’albero respiratorio. Si tratta di una forma di rigenerazione, che spesso ha luogo spontaneamente quando il CFTR è funzionante ma l’epitelio è lesionato 10 (e lo è fin troppo spesso nei Pazienti CF). In questo modo ci aspettiamo che verranno generati in vivo milioni di cellule epiteliali mature, progenie di quelle poche cellule staminali sulle quali era stata eseguita la correzione genetica in vitro. Per di più, il naturale ricambio attingerà a cellule staminali corrette, e perciò cellule epiteliali mature corrette continueranno a prodursi.
Infine, l’introduzione dell’ivacaftor ci ha fatto toccare con mano come pazienti FC con mutazioni diverse richiedano terapie diverse. La terapia genica fin qui prospettata potrebbe applicarsi a tutti i Pazienti con mutazioni che causano mancata produzione di CFTR. In alcuni casi però la proteina anormale prodotta dal gene mutante potrebbe interferire con la localizzazione o con la funzione della proteina normale prodotta dal gene che abbiamo introdotto. In tali casi, ancora meglio di una addizione del gene normale, sarebbe la sostituzione del gene mutato (o della sua parte mutata) con l’omologo normale. Tale forma più raffinata di terapia genica 11 richiede previa produzione dal Paziente di cellule pluripotenti indotte (in gergo iPSC: una procedura in corrente sviluppo).
Sarà facile immettere nella pratica clinica un protocollo terapeutico come quello sopra enunciato? Certamente no. Ma le tecnologie del trasferimento genico e della ricombinazione omologa sono progredite enormemente rispetto al 1989, quando CFTR fu identificato. In Gran Bretagna esiste già un consorzio che ha come obiettivo preciso e specifico la terapia genica della FC. In questa direzione, e nello studio delle cellule staminali dell’epitelio respiratorio, confida la Fondazione Fibrosi Cistica che si impegneranno anche valenti ricercatori in Italia.
Bibliografia
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9. Griesenbach, U. & Alton, E. W. Current status and future directions of gene and cell therapy for cystic fibrosis. BioDrugs 25, 77-88, doi:10.2165/11586960-000000000-00000
2 [pii] (2011).
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