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14 Aprile 2010

Come utilizzano i servizi sanitari i genitori dei bambini “falsi positivi” allo screening neonatale

G.Borgo

Negli Stati Uniti i programmi di screening neonatale si stanno estendendo: fra il 1995 e il 2005 si è arrivati ad eseguire alla nascita il test per ben 20 malattie. Una delle malattie indagate è la fibrosi cistica. Con l’aumento del numero dei test applicati, data la variabilità che essi hanno nel poter predire con accuratezza la malattia a cui sono rivolti, è aumentato il numero di bambini che risultano “falsi positivi” allo screening. Esistono già ricerche che indicano una forte associazione fra un risultato di falsa positività e l’aumento dell’ansia e dello stress nei genitori: sembrerebbe esserci la tendenza da parte loro a percepire il neonato come più vulnerabile e più bisognoso di cure, sia all’interno della famiglia che fuori di essa, sia durante il periodo degli accertamenti che dopo. Questa ricerca (1) si propone di verificare se alle maggiori preoccupazioni dei genitori corrisponde anche un loro maggior utilizzo di prestazioni sanitarie.

La ricerca si è svolta attraverso un’intervista telefonica della durata di 30 minuti, il periodo preso in esame è stato dal 1999 al 2005. Sono state intervistate le madri di tutti i bambini con screening falsamente positivo dello stato della Pennsylvania (200 bambini, età media 12.9 mesi, dato che l’intervista avveniva circa 6 mesi dopo che la diagnosi era stata esclusa). Le risposte di queste madri sono state paragonate a quelle di un campione di madri di bambini con screening negativo dello Stato del Massachusetts (137 bambini, età media 6.4 mesi, intervista fra i 6 e i 12 mesi). Di tutte le madri intervistate sono stati raccolti i dati socio-demografici (età, scolarità, occupazione, matrimonio).

L’intervista indagava il numero di visite eseguite fino ad allora presso il medico di base, il numero di visite presso uno specialista e quelle al pronto soccorso, infine il numero di ricoveri in ospedale prima dei 6 mesi di età.

I risultati suggeriscono che non ci sono differenze per nessuna di queste prestazioni sanitarie, se si “aggiustano” i dati rispetto alle diverse caratteristiche dei due campioni: cioè se si paragonano fra di loro le mamme che avevano la stessa scolarità, professione, classe sociale. E questo starebbe contro l’ipotesi che i risultati di falsa positività allo screening lascino delle ripercussioni pratiche importanti.

Secondo gli autori potrebbe essere migliorata la comunicazione sullo screening, al punto che le opportune informazioni fornite ai genitori li hanno aiutati a tollerare meglio l’incertezza della situazione. Oppure, all’opposto, potrebbe non essere stata comunicata la severità della malattia sospettata; lo confermerebbe il fatto che molti genitori di bambini con risultati falsamente positivi non conoscevano l’esatta ragione per cui il loro bambino era controllato dopo il test iniziale di screening. Altra ipotesi (importante!) è che l’utilizzazione delle prestazioni sanitarie presso i medici e in ospedale vari a seconda del tipo di malattia sospettata, cosa che la ricerca purtroppo non permette di sapere, perchè al momento dell’intervista non è stata raccolta questa informazione. Questo purtroppo è un grosso limite di uno studio che è per il resto interessante.

Sembrerebbe che, in caso di falsa positività del bambino screenato, oltre ai costi psicologici (che non sono monetizzabili, ma che comunque esistono) non ci siano dei costi sanitari maggiorati e concretamente misurabili. Attenzione però: questo succede se il paragone è fatto con i bambini negativi allo screening le cui madri hanno le stesse caratteristiche socio-demografiche delle altre. Ma se il paragone viene fatto in generale fra i due gruppi, allora risulta che le mamme dei falsi positivi (che erano meno istruite, meno sposate, in maggior numero nere e ispaniche rispetto alle mamme del campione di controllo con screening negativo) hanno portato più spesso i bambini alle visite dai medici. Come se non lo screening di per sè, ma in assoluto queste disparità socio-demografiche e i loro possibili meccanismi (come ad esempio la mancanza di informazioni e rassicurazioni) fossero quelli che rendono più vulnerabile il bambino e lo esponessero alla necessità di ulteriori visite o ricoveri.

1) Lipstein EA, Perrin JM et all “Impact of false positive newborn metabolic screening results on early health care utilization” Genet Med 2009;11(10) :716-721