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15 Febbraio 2013

Che cosa e come decidono i giovani con FC rispetto al rischio di contrarre infezioni dall’ambiente esterno

Natalia Cirilli, Centro Regionale Fibrosi Cistica delle Marche, Ancona

Ai ragazzi e adulti con FC si chiede di evitare alcuni ambienti, circostanze o situazioni che li espongono al rischio di contrarre batteri e virus potenzialmente dannosi. In pratica essi debbono bilanciare le raccomandazioni mediche con l’esigenza di costruirsi relazioni e vita sociale soddisfacente. E’ un processo decisionale del quale si conosce poco e questa ricerca (1) intende esplorarlo.

Sono stati selezionati otto giovani adulti affetti da fibrosi cistica (FC) seguiti presso il centro adulti FC di Leeds in Inghilterra: avevano un’età compresa tra 18 e 25 anni (6 femmine e 2 maschi), con un FEV1% molto disomogeneo (compreso tra 33% e 97%) e lo stesso per il BMI; 3 erano colonizzati in modo intermittente da Pseudomonas aeruginosa, 4 avevano colonizzazione cronica da Pseudomonas, 1 soggetto non aveva mai avuto Pseudomonas, nessuno aveva mai contratto Burkholderia cepacia.

Assieme al microbiologo sono stati ideati e scritti sette “scenari” (con vari sviluppi), in cui il malato, nel corso di attività potenzialmente piacevoli, doveva prendere almeno una decisione riguardo al rischio d’infezione (quantificato, a seconda della situazione, in medio, elevato e molto elevato). Il materiale è stato inviato a casa ed è stata concordata un’intervista telefonica (durata fra i 20 e i 45 minuti, condotta con l’invito a “pensare a voce alta”), orientata a conoscere le decisioni, il livello di rischio accettato, la consapevolezza del rischio in base alle conoscenze su Pseudomonas aeruginosa e Burkholderia cepacia e/o la mancanza di corrette informazioni. Alcune delle situazioni descritte: partecipare a cerimonie e/o eventi con folla di persone, nuotare in piscina con gli amici, andare a cavallo, incontrare qualcuno con la FC dopo averlo conosciuto su facebook, fare visita a un amico ricoverato e portatore di MRSA (Stafilococco aureo meticillinoresistente). Le interviste a commento di questi scenari sono state registrate, trascritte e fatte oggetto di analisi tematica, ovvero di ricerca dei “temi comuni” agli intervistati e dei fattori che avevano influenzato le loro decisioni.

Il dato saliente è che tutti gli otto intervistati hanno scelto almeno un comportamento a rischio elevato nel 59% delle situazioni proposte. Mentre hanno detto che prendevano una decisione perché volevano evitare rischi d’infezione solo nel 35% delle situazioni. Gli intervistati riferivano spesso di valutare il piacere di prendere parte alle attività proposte come più importante rispetto alla paura di contrarre infezioni. Se l’attività proposta coinvolgeva il rapporto con gli amici, emergeva la paura di rimanere isolati e/o esclusi a causa della FC. Se la situazione proposta coinvolgeva parenti o amici ricoverati in ospedale prevaleva il senso di dedizione verso gli altri a scapito del pericolo per la propria salute. I consigli medici avevano valore più nel prendere in esame il livello di rischio che nell’orientare in assoluto la decisione. E comunque la comprensione delle ragioni alla base dei suggerimenti medici era talvolta limitata e la semplice conoscenza del rischio infettivo piuttosto modesta.

Studi di ordine psicologico come questo sono spesso fatti su casistica modesta perché l’analisi dei dati è di tipo qualitativo più che quantitativo. Comunque, i risultati devono certamente essere confermati su numero più elevato e in età diverse, anche se l’età dei soggetti indagati è quella che dovrebbe fornire un buon grado di autonomia e di consapevolezza nelle scelte. I risultati mettono in luce la difficoltà dei giovani adulti FC di bilanciare il rischio di contrarre infezioni con il desiderio di condurre una vita normale. Le lacune conoscitive emerse lasciano spazio all’ipotesi che sia utile una maggior informazione. Il processo informativo dovrebbe essere abbastanza precoce e ripreso nella fase della “transizione” a centri FC per adulti. Forse le decisioni potrebbero essere facilitate da una sorta di coscienza collettiva maturata fra i malati riguardo al rischio infettivo.

Ma, dicono gli autori della ricerca, aumentare la conoscenza del rischio infettivo in situazioni ordinarie potrebbe non rendere più semplici (o più sicure in termini medici) le decisioni, quanto invece semmai accentuarne la conflittualità e complessità. Per superare questi disagi, una buona pratica può essere quella di discutere con i pazienti del rischio infettivo usando scenari reali (come quelli costruiti nella ricerca), in modo da invitarli ad aprirsi onestamente sulle preoccupazioni di non avere sufficiente vita sociale e di relazione, e aiutarli a fare bilanci ragionevoli.

In margine, vorremmo peraltro sottolineare che il rischio di contrarre infezioni significative da terzi non sta tanto nelle comuni frequentazioni sociali e ambientali (come negli scenari descritti in questo studio) quanto nel contatto o nella vicinanza protratta e non protetta con altri pazienti FC con infezione broncopolmonare in atto e questa è l’unica condizione di rischio finora correttamente documentata.

1. Reynolds L, Latchford G, Duff AJ, Denton M, Lee T, Peckham D. Decision Making about Risk of Infection by Young Adults with CF. Pulm Med. 2013;2013:658638. doi: 10.1155/2013/658638. Epub 2013 Jan 10