E’ di fondamentale importanza avvisare dell’esistenza dello screening neonatale per FC le future madri (e padri) che frequentano gli ospedali prima della nascita del bambino. In questa ricerca americana (1) i genitori di bambini che, in base ai risultati dello screening, vengono chiamati a fare il test del sudore e risultano negativi, pur dichiarandosi nel complesso soddisfatti dell’intervento sanitario, criticano il fatto di non essere stati informati “prima” circa le procedure dello screening, lamentano di aver trovato poca competenza e sensibilità nelle persone che li hanno contattati per il test del sudore. Nonostante la consulenza genetica fornita, un buon numero sembra non interessato all’esecuzione del test del portatore e rivela di non aver capito correttamente il significato della diagnosi di portatore nel figlio.
La ricerca si è svolta tra il 2008 e il 2010 in due punti nascita di Chicago (Università e Children Memorial Hospital). I genitori potenzialmente inclusi nello studio erano 113, hanno accettato di parteciparvi in 90. Erano soprattutto madri (87%), di origine caucasica (59%) e afroamericana (26%), giovani (età media 30 anni), con buona istruzione. Per la partecipazione alla ricerca è stato offerto un premio di 10 dollari. La notizia della positività allo screening è stata data, per telefono o per lettera, dal pediatra del bambino (62%), da un addetto dell’ospedale in cui era nato (27%) o da un assistente sociale esperto in consulenza genetica (7%). Al momento dell’avviso, nella maggioranza dei casi sono state date sommarie informazioni sulla malattia FC e sul significato della positività allo screening. Comunque, in larga maggioranza (78% dei casi) il genitore avvisato aveva già qualche conoscenza sulla FC (dato indicativo della diversa realtà americana rispetto a quella italiana). Il genitore poi prendeva appuntamento per il test del sudore ed era quello il giorno in cui parlava con l’esperto di consulenza genetica di tutti gli aspetti del problema: il risultato (negativo) del test del sudore, quello del test genetico (negativo o portatore di una mutazione CFTR), l’opportunità dello stesso test genetico nei genitori.
A distanza di almeno 6 settimane dal risultato del test, il genitore accettava un’intervista telefonica, realizzata con l’obiettivo di indagare su che cosa aveva capito e ricordava del’intera vicenda. I risultati di questa intervista sono piuttosto deludenti dal punto di vista dell’efficacia del processo comunicativo: nei casi di bambini risultati portatori di una sola mutazione CFTR, un 20% dei genitori non aveva capito che il bambino era definitivamente un portatore e il risultato non sarebbe più cambiato nel corso della vita. In compenso, tutti quelli che l’avevano capito sapevano che era giusto che il futuro partner del bambino lo sapesse. E che lo sapessero anche i fratelli e i nonni del bambino. Ma solo il 57% pensava giusto che lo sapessero “altri” parenti. Oltre alle informazioni avute durante il colloquio, tutti i genitori, tranne uno, avevano cercato altre notizie su Internet. Ma c’erano notevoli incomprensioni: il 26% pensava che il portatore FC potesse con il tempo sviluppare la malattia FC. Riguardo poi alla necessità di sapere chi dei due della coppia fosse portatore (ed escludere quindi il rischio di esserlo entrambi!), è interessante notare che un discreto numero di genitori (40 su 90) aveva già fatto (singolarmente o in coppia) il test per il portatore FC prima della gravidanza o al suo inizio. Quindi, si erano posti il problema “prima”. Meno della metà delle coppie era interessata ad eseguirlo dopo la nascita del bambino e solo un 10% aveva preso appuntamento per eseguirlo. Il quel momento probabilmente non era sentita la motivazione a conoscere il rischio di FC, che aveva rappresentato la spinta fondamentale ad eseguirlo prima della nascita del figlio.
1) Lang CW et all “Parental understanding of newborn screening for cystic fibrosis after a negative sweat test”. Pediatrics 2011; 127:276-283