Il mio bimbo ha solo un mesetto di vita ed è nato con la fibrosi cistica polmonare. Cosa si può fare? Fino a che età riuscirà a sopravvivere?
Quando un bimbo è stato diagnosticato come malato di fibrosi cistica, la prima cosa da fare è quella di affidarsi ad un centro specializzato per la fibrosi cistica: nel caso in questione è possibile che sia lo stesso centro presso il quale è stata fatta la diagnosi. Ci saranno molte cose che si possono fare per assicurare una buona vita al bambino malato ed il centro di cura saprà individuare nel corso della sua vita ciò che sarà più utile a quel bambino.
Circa l’aspettativa di vita cui si riferisce la seconda domanda, suggeriamo di consultare su questo sito le seguenti domande/risposte che hanno già trattato la questione: 20.05.05 Speranze di vita; 19.07.07 Prevalenza di fibrosi cistica e sopravvivenza in Italia; 07.11.07 Quanto si vive con la fibrosi cistica. Se è possibile qui sintetizzare una questione così complessa e fonte di ansia per i genitori, possiamo dire che oggi la durata di vita delle persone con fibrosi cistica si è molto allungata rispetto ad un tempo ed ha tendenza ad allungarsi sempre più. Inoltre, le prospettive di nuove terapie mirate al difetto di base della malattia, di cui la ricerca si sta occupando sempre più intensamente, lasciano spazio a previsioni più ottimistiche di un tempo per i bimbi che nascono oggi.
Una sola nota di perplessità sull’espressione che spesso usiamo, ed usata anche nella domanda: “sopravvivere”. Credo che l’obiettivo dei genitori e degli operatori sanitari per un bimbo con FC non sia quello di farlo “sopravvivere”, un’accezione piuttosto negativa nel profilo della sua più o meno lunga esistenza, quanto quello di aiutarlo a “vivere”, nell’accezione più piena del termine: un bambino con fibrosi cistica può oggi avere una vita non molto dissimile da quella dei coetanei, se si accetta l’inevitabile, seppur molto variabile, dipendenza dalle terapie. Una persona con FC oggi può pensare a un suo futuro in chiave positiva e progettuale: può andare a scuola, fare sport, svolgere un lavoro, coltivare interessi vari, farsi una famiglia. Certamente, prima o poi, la malattia imporrà delle limitazioni, ma egli imparerà ad aggiustarsi e a compensare, sviluppando la parte sana del suo percorso di vita. Molto di tutto questo dipenderà da quanto la famiglia avrà saputo trasmettere al figlio la fiducia e l’anelito verso le cose buone della vita anziché le frustrazioni, le paure, le insicurezze per la disavventura genetica che la natura ha ad essa riservato.