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27 Giugno 2022

Vivere con la fibrosi cistica oppure vivere per la fibrosi cistica

Autore: Francesca
Domanda

Buongiorno, abbiamo una figlia FC di 10 anni, colonizzata dall’età di 3 anni da PA! Dovremmo andare con la classe della bimba all’inaugurazione di un parco acquatico, non sappiamo come comportarci! Se dare priorità all’emotività, essendo una giornata molto arricchente, o bloccarci per l’eccesso di aspetti da controllare! Avendo già nel proprio albero respiratorio PA, paradossalmente ci dovrebbe lasciare “più tranquilli”? Un forte abbraccio.

Risposta

I genitori che hanno un figlio con FC hanno un compito difficilissimo, tra i molti altri: spesso viene loro chiesto di trovare un equilibrio fra la scrupolosa adesione al programma terapeutico per la malattia e la ricerca del benessere complessivo del figlio, legato anche alla possibilità di stabilire relazioni sociali. Talvolta essere rigorosi nell’applicazione delle regole della fibrosi cistica collide abbastanza fortemente con la libertà di scelte e abitudini di vita. Che fare? È opinione di chi scrive che la fibrosi cistica faccia parte della vita di chi ce l’ha, ma non debba regolare e invadere tutta la sua vita. Che si può dire con la formula: vivere con la fibrosi cistica, non per la fibrosi cistica. Il senso di queste parole è che la fibrosi cistica non deve sovrastare tutto e tutti, ci possono essere delle eccezioni; allo stesso tempo va sempre tenuta presente, in modo che l’adesione ai principi di fondo diventi un fatto sempre più naturale, quasi indolore (se possibile). Nella ricerca di questo compromesso, la soluzione non è uguale per tutti e per tutte le circostanze. Importante è che i genitori siano convinti sui principi di fondo (chiedano informazioni, evidenze scientifiche ai medici del centro FC) e ne parlino molto con i figli. Per esempio ci chiediamo quanto la bambina della domanda sappia del problema di fondo (piscine e rischio di presenza di Pseudomonas) e quanto sia stata incoraggiata a vedere e cercare altre soluzioni (quella al parco acquatico è l’unica festa con la classe? Ci potrebbero essere altri modi, altri contesti?). Sicuramente non ci sembra opportuno un divieto calato dall’alto e non ragionato, che le trasmetterebbe l’idea di essere “diversa”; però andrebbe evitata anche la partecipazione a cuor leggero, che stabilisce un precedente rischioso e autorizza a pensare che le regole sono facilmente trasgredibili. Inoltre non vale assolutamente il discorso che avendo già Pseudomonas nell’albero respiratorio, le precauzioni per evitarlo vanno abbandonate. La storia clinica di ogni singolo malato è piena di sorprese e imprevisti, a volte anche scientificamente poco spiegabili: perché escludere l’idea che un domani Pseudomonas potrebbe andarsene? Magari con la scoperta di un farmaco più efficace. Quindi il principio di aderire, per quanto possibile, ai suggerimenti terapeutici, va sempre mantenuto.

Il suggerimento che ci sembra di poter dare, con i limiti della non conoscenza della situazione complessiva (il medico FC la conoscerà certamente meglio), è di parlare molto con la bambina in relazione a qualsiasi decisione venga presa. È importante sapere che ogni famiglia e ogni genitore adotta, in maniera più o meno consapevole, un certo “stile di comunicazione”: in questo stile si inserisce la caratteristica di una maggiore o minore facilità di comunicare sulla malattia all’interno e all’esterno della famiglia. Il bambino assorbe questo stile ed è in base a esso che comunica con i propri coetanei: se ha assorbito dai genitori fiducia nelle conoscenze scientifiche, facilità e libertà di comunicazione, imparerà più facilmente a non nascondere i suoi problemi di salute e avrà maggiore facilità a trattarli (anche in età solitamente più problematiche, vedi adolescenza). E forse gli verrà più facile orientarsi alla passione per esempio delle escursioni in montagna e alla ricerca di amici con questa passione piuttosto che alla frequentazione dei parchi acquatici.

Dott.ssa Graziella Borgo, clinico FC e genetista


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