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21 Novembre 2016

Quando un adolescente con FC comincia a fumare

Autore: Letizia
Argomenti: Vivere con FC
Domanda

Salve a tutti, sono madre di un ragazzino di 15 anni con fibrosi cistica atipica. Non presenta nessuna manifestazione della malattia e ora mi ha detto che ha iniziato a fumare…panico totale! Come fargli capire le conseguenze a cui va incontro se continua su questa strada? Ho letto che il fumo, oltre a danni ai polmoni, blocca il funzionamento della proteina CFTR. Che faccio per farlo smettere subito? I miei discorsi lasciano il tempo che trovano. Lui mi ha chiesto la sigaretta elettronica ma, secondo me, la chiede perché sembra diventata una moda e poi non so che conseguenze anche questa possa avere. Vi chiedo un aiuto. Grazie mille.

Risposta

L’adolescenza si caratterizza per la ricerca di trasgressioni e, dal punto di vista psicologico, i ragazzi che sanno trasgredire dimostrano di essere mentalmente sani, di saper cercare attraverso ruoli alternativi da quelli attesi la loro identità. D’altra parte sappiamo quanto, talvolta, queste trasgressioni possono essere rischiose sia per i ragazzi sia per i genitori, che le vivono con ansia.

Il fumo di sigaretta è sicuramente la trasgressione che appare con maggiore precocità e, specialmente nel sesso femminile, in età molto bassa. Di ciò esistono molti dati nella letteratura scientifica, ma la sintesi di essi si può riassumere nel concetto che tale comportamento sostiene negli adolescenti la ricerca di un’identità personale, che nel passaggio dall’età infantile all’età adulta non è sempre così lineare trovare. Detto questo, i ragazzi con fibrosi cistica, che sono mentalmente sani, si muovono con la medesima spinta di tutti i ragazzi verso l’affermazione della proprio identità e per farlo hanno bisogno anche di trasgredire. Ciò che ovviamente preoccupa questa mamma è che la trasgressione più comune, iniziare a fumare, rappresenta un alto rischio per il mantenimento di una situazione clinica accettabile e ciò fa sì che divenga veramente difficile trovare un punto di incontro o di confronto su quel comportamento.

In linea generale, direi che l’approccio più utile potrebbe essere quello di chiedere al figlio quanto fuma e sollecitargli una riflessione personale sul fatto che ciò talvolta procuri più tosse o catarro, anche se nelle forme più miti di FC questo potrebbe non essere un sintomo dominante e quindi utile a focalizzare il problema. Questa comunicazione dovrebbe comunque essere del tutto interlocutoria, mai giudicante, e potrebbe prendere spunto proprio dal fatto che lo si senta tossire un po’. Nel caso il ragazzo segua questa linea, che noi sappiamo essere solo marginalmente il nucleo centrale del problema che la mamma sente, sollecitarlo a parlarne con i suoi medici in un confronto con loro per sapere, non dalle parole della mamma ma di un esperto, se questo potrebbe essere collegato a qualche danno che aggrava la malattia. A quel punto credo che si debba lasciare tutto al medico del centro, che in visita saprà trovare il modo utile a informare sempre senza colpevolizzare e cercare di far sì che il ragazzo possa maturare un ruolo. Nel caso il ragazzo invece non accolga l’invito o addirittura si arrabbi, potrebbe essere strategico che la mamma rivolgesse su se stessa il bisogno di sapere meglio e quindi comunicasse al figlio che alla successiva visita chiederà qualcosa al medico per tranquillizzare le sue preoccupazioni. In questo senso è indispensabile giocare allo scoperto e senza colpevolizzare, dare il senso che è un passaggio che la mamma sente di fare per se stessa, spiegando che quel confronto potrà sia tranquillizzarla, sia aiutarla a divenire forse meno pressante nei suoi confronti, qualora il medico possa dare indicazioni diverse da ciò che essa ritiene utile seguire.

Dalla descrizione fatta, credo che sia necessaria una rivisitazione nella gestione del problema, in cui i genitori da noiosi e colpevolizzanti si pongono come coloro che riconoscono di avere un problema, la loro ansia, forse eccessiva, e si affidano ai medici per capire l’entità reale di ciò che essi sentono un problema molto grande e per rendere il rapporto medico/ragazzo maggiormente centrale. Fatti questi due ipotetici diversi passaggi, è però contemporaneamente importante che i genitori prendano una posizione chiara e ferma e cioè siano chiari nel dire al figlio che qualora, sentiti i medici, si abbia la certezza che non è possibile fumare, quello sarà un comportamento vietato e non ci saranno possibili compromessi. Atteggiamento che dovrebbe servire da contenitore, per non dare al figlio il senso di vacillare su possibilismi, certo questo ben lungi dal dare la serenità che il ragazzo possa seguire la linea del buon senso che gli adulti gli hanno indicato.

Questi suggerimenti sono passaggi e non danno né certezze né velocità di percorsi, spesso agli adolescenti servono tempi dilatati, a volte anche molto, per ridefinire ruoli disfunzionali e rientrare nella adeguatezza dei comportamenti.

Dr. Paola Catastini, Psicologa presso il Centro FC, Osped. Meyer, Firenze


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