Buongiorno, ho 27 anni e da oltre 3 anni l’unico batterio presente nel mio escreato è lo Stafilococco aureo. Ho avuto diverse volte nella vita colonizzazioni di P. aeruginosa, l’ultima delle quali quattro anni fa, durata circa un anno, in cui avevo scomparsa e ricomparsa intermittente ogni volta che sospendevo la terapia eradicante (tobi+ciproxin). In quel periodo mi è stato riscontrato anche il Proteus, per il quale ho cominciato Cayston, inizialmente in modo cronico a causa di una sospetta allergia a cefalosporine e carbapenemici, e poi alternato a Tobi. Come dicevo, sono ormai 3 anni che non mi viene riscontrato P. aeruginosa e 2 che non mi viene riscontrato Proteus e, ad ora, non ho ancora smesso la terapia di Tobi e Cayston a mesi alterni.
I miei medici hanno pensato di cominciare gradualmente a sospenderli entrambi, infatti da alcuni mesi mi è stato ridotto il Tobi a 15 gg. al mese e fra poco dovrei cominciare a ridurre anche Cayston. Il mio dubbio è il seguente: ha senso rischiare e sospendere una terapia cronica che finora ha dato come risultato che nessuno dei due germi mi venisse più riscontrato, mentre quando facevo i consueti cicli eradicanti di 6 mesi periodicamente si ripresentavano? Forse, grazie all’assunzione continua di farmaci, se anche vengo a contatto col patogeno esso non riesce ad attecchire? Grazie.
La domanda ripropone le molte problematiche riguardanti il campo della microbiologia FC e il trattamento dell’infezione iniziale da P. aeruginosa. Nella situazione descritta, S. aureus è il principale patogeno. A Proteus spp, che talora può essere isolato nelle vie aeree di pazienti affetti da FC, non può essere attribuito con assoluta certezza il ruolo di patogeno. Il trattamento con antibiotici per via inalatoria, cui viene fatto riferimento, è stato probabilmente suggerito al paziente per i concomitanti isolamenti di P. aeruginosa.
Il concetto di intermittenza di P. aeruginosa in FC necessita di essere definito in base alla frequenza di esecuzione degli esami colturale e alla frequenza di isolamento del patogeno nei campioni analizzati. Oggi tutti i pazienti dovrebbero eseguire almeno 4 esami colturali per anno, con cadenza trimestrale. Si parla di intermittenza nel caso P. aeruginosa venga isolato dalle vie aeree inferiori nel 50% o meno degli esami colturali eseguiti nel corso di un anno solare (classificazione di Leeds). Solo quando la frequenza di isolamento del germe è superiore al 50% negli esami colturali eseguiti nel corso di un anno, è giustificato parlare di infezione cronica e introdurre una terapia soppressiva di lunga durata.
L’intermittenza di P. aeruginosa è un fenomeno che si osserva più frequentemente da quando i pazienti sono sottoposti in modo più energico a trattamento eradicante nei confronti dell’infezione iniziale da P. aeruginosa. Molti pazienti, se adeguatamente trattati, possono avere infezioni intermittenti senza sviluppare cronicità nel corso del tempo. L’intermittenza di P. aeruginosa a livello delle vie aeree inferiori in pazienti affetti da FC può essere sostenuta o da una reinfezione esogena da parte di P. aeruginosa (un germe ambientale di comune riscontro), oppure dalla diffusione a livello polmonare di ceppi di P. aeruginosa presenti a livello dei seni paranasali. Il ruolo delle vie aeree superiori in FC è stato recentemente rivalutato; in molti casi i seni paranasali rappresentano la sede anatomica dove inizialmente si verifica l’infezione e possono costituire il reservoir per una successiva diffusione dei germi a livello polmonare. Nei casi di isolamenti intermittenti di P. aeruginosa dalle vie aeree inferiori è consigliabile che i seni paranasali siano attentamente indagati dal punto di vista microbiologico.
Per quanto riguarda il rischio rappresentato dalla sospensione della terapia cronica in una fase in cui P. aeruginosa non è stato isolato da molto tempo, è necessario fare riferimento a quanto pubblicato in letteratura scientifica internazionale. In base a quello che oggi sappiamo, nel trattamento delle infezioni iniziali da P. aeruginosa il fare di più (o fare più a lungo) non significa necessariamente fare meglio. Uno studio nord-americano ha valutato, su larga casistica, l’efficacia di due diverse modalità di somministrazioni di farmaci in chi ha manifestato infezione iniziale da P. aeruginosa, per verificare se un più consistente impiego di antibiotici determinasse un risultato migliore. Lo studio ha comparato l’efficacia del trattamento ciclizzato (6 cicli antibiotici per via inalatoria ripetuti a cadenza trimestrale indipendentemente dal risultato della coltura) nei confronti della terapia antibiotica eseguita solo in caso di successivo isolamento di P. aeruginosa. Lo studio si è concluso senza dimostrare differenze statisticamente significative fra i due gruppi riguardo alla presenza di P. aeruginosa nelle vie aeree. Ovviamente, tutti i pazienti che hanno eseguito con successo il trattamento eradicante devono essere sottoposti a attento monitoraggio microbiologico delle vie aeree per intercettare tempestivamente P. aeruginosa nel caso non infrequente in cui questa si ripresenti. (Per una descrizione più esauriente dello studio si può leggere in Progressi di Ricerca Come e quanto trattare Pseudomonas aeruginosa per impedirne la cronicizzazione?).
La pratica di proporre al paziente la terapia cronica soppressiva con antibiotici somministrati per via aerosolica per lunghi periodi si è dimostrata efficace solo nel caso di infezione cronica da P. aeruginosa. Per quanto riguarda invece l’uso di antibiotici per la prevenzione dell’infezione da parte di P. aeruginosa, uno studio della durata di 3 anni, basato sulla somministrazione a scopo preventivo di colistina per via inalatoria e ciprofloxacin per os per 3 settimane ogni 3 mesi, non ha dimostrato efficacia nel prevenire l’infezione polmonare da P. aeruginosa rispetto al placebo. Anche questo studio ha concluso che la stretta sorveglianza microbiologica e il tempestivo trattamento al momento dell’isolamento di P. aeruginosa continuano ad essere il miglior approccio alla fase iniziale dell’infezione.
Il ricorso a schemi di trattamento privi di documentata efficacia clinica solleva problematiche aggiuntive riguardanti il carico terapeutico immotivato per il paziente, il costo del trattamento e la possibilità di sviluppo di resistenze antibiotiche nella flora presente a livello dell’apparato respiratorio.
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