Buonasera, mia figlia di 4 anni è una bambina molto sveglia e sensibile. Sin dai 2 anni e mezzo ha iniziato a porre le prime domande sulla patologia “perché io quando ho la tosse vado in ospedale e gli altri bambini non vanno?”, eccetera. Io, da mamma e da educatrice (conoscendo la materia), ho sempre risposto alla mia bimba semplicemente raccontando la verità, adattandomi a dare risposte attinenti alla realtà e alla propria fase di sviluppo. Chiedendomi se ci fosse una cura, ho risposto che le cure esistevano (aerosol, enzimi) ma che i dottori (i ricercatori) stavano cercando una pastiglietta per fare stare bene lei e gli altri bimbi e ragazzi con il suo problema. Lei sente tanto parlare della patologia, se ne parla in famiglia, con la gente, nei preparativi per la festa che annualmente facciamo, se ne parla in ospedale. È una bimba che ha avuto tante intermittenze dolorose: tre volte sala operatoria per occlusioni intestinali e tanti ricoveri per riacutizzazioni polmonari, il tutto concentrato nei suoi 4 anni. Noi genitori ovviamente cerchiamo di contenere con tutte le forze l’emotività della bimba, anche se non è facile perché, essendo una bambina ipersensibile, è spesso infastidita (e spesso è difficile pure contenere persone che ti stanno accanto e che non capiscono che questa intermittenza emotiva è data dalla sua storia). Da tre giorni la bambina ha dei momenti di disperazione per paura della morte, piange come se fosse realmente spaventata e mi dice che lei non vuole andare in cielo, mi chiede come funziona se dovesse accadere, come potrebbe scendere sulla terra per tornare a casa. Io ho associato questa paura anche a una estremizzazione dell’abbandono, alle sue paure. So che nel bambino può essere normale questa paura, ma in questo caso è una paura realistica, motivata; una paura che sento scaturita dalla sua storia, dal suo dolore, dalla sua attivazione dello stato d’allarme. Vorrei avere degli strumenti funzionali per andare incontro al meglio a questa intermittenza emotiva di mia figlia e come starle accanto nel miglior modo possibile. Grazie mille in anticipo e vorrei dare tutta la mia stima alla psicologa che ha sempre risposto in maniera chiara ed esaustiva alle mie domande.
Come scrive la mamma, i bambini hanno delle fasi di sviluppo in cui si confrontano con l’idea della morte e materializzano le paure, talvolta le proiettano dimostrando ansie di perdita, immotivate, verso i genitori, verso i nonni e anche verso i loro animali. Per l’età che ha, questa bambina è ancora molto piccola per elaborare il processo mentale della morte avvicinandolo ad emozioni e domande congruenti e idonee. Quando ciò accade può essere collegato, oltre naturalmente alla maturazione del bambino, alla possibilità che abbia vissuto anche indirettamente eventi traumatici come un lutto in famiglia, ma anche una malattia, uno o più ricoveri ospedalieri ed esperienze chirurgiche (come nel caso della domanda), anche non in prima persona ma magari di persone conosciute. Infatti, pur sapendo e considerando che in realtà la bambina ha vissuto esperienze cariche di angoscia e quindi traumatiche, dobbiamo comunque prima chiederci se non abbia captato o saputo, anche in termini sfumati, di malattie e o morte di persone. Ciò, unito al proprio disagio e allarme latente, dovuto alle proprie esperienze negative, avrebbe potuto sostenere una reazione come descritta dalla mamma. In alternativa o se ciò non è accaduto, dobbiamo ipotizzare che stia rielaborando alcune emozioni vecchie, anche un piccolo malessere, una piccola infezione, che abbiano riattivato emozioni di angoscia che poco riesce a contenere.
Dalla descrizione che fa la mamma, sembra che la reazione della bambina sia un po’ forte rispetto al vissuto che, sebbene pesante, dovrebbe essere ormai un poco elaborato anche perché lontano nel tempo. Nella considerazione che quando un bambino recupera il benessere non richiama in memoria le emozioni negative, se non come proiezione di altri vissuti, dobbiamo valutare la distanza dagli ultimi episodi faticosi e/o dolorosi e considerare che la capacità di fare domande sulla malattia rappresenta un altro aspetto non collegabile agli eventi traumatici, ma più probabilmente a un disagio che può scaturire dall’incertezza, dall’ansia, dal senso di diversità. Intendo dire collegabile quindi con emozioni generalmente di minore portata.
Premesso, quindi, che forse servirebbe capire meglio le reazioni della bambina e contestualizzarle, la parte contenitiva deve sempre passare dalla loro accettazione, non serve rassicurarla sul fatto che non deve avere paura e che lei non morirà. Se la bimba esprime la sua paura di morire passate da quell’emozione e condividetela con lei: “Se tu hai questo pensiero penso che starai molto male, immagino che sarai spaventata”. “Da quanto tempo hai questo pensiero? Ci pensi spesso? Se io pensassi una cosa così starei malissimo, immagino che ti faccia paura pensarla”. Il bambino dovrebbe così sentirsi compreso e autorizzato a esprimere tutta l’emozione e a condividerla con voi. Solo allora dovreste ridefinirla: “Certo, a volte i pensieri brutti vengono, però bisogna fare …”. Qui magari potreste inserire un paragone usando l’atteggiamento del personaggio preferito, come Frozen quando salta, Topolino quando scivola e poi imparare a fare un sospirone e mandare via il pensiero malefico. Può essere utile giocare insieme, sempre dopo che si è accolta e condivisa l’emozione negativa; fare con la bambina esercizi scaccia paure, come strane e brutte facce, etc, insomma tutto quello che la vostra fantasia potrà mettere in campo.
Il gioco simbolico, i personaggi e le mosse strane sono in genere un buon veicolo per liberare i bambini dall’angoscia. Ovviamente tutto deve essere misurato, non si può scherzare molto se vediamo che il bambino non è ancora in grado di sintonizzarsi con il gioco, ecco perché prima va accolto e bisogna parlar con lui di ciò che ci sta dicendo. È altrettanto ovvio che l’adulto di riferimento non può permettersi di “fare finta di giocare” e, se l’ansia ancora non ci permette di parlare tranquillamente con il bambino, è meglio un forte abbraccio.
Bisogna però considerare che il riferimento alla morte non è inusuale nei bambini, e ci collegano angosce meno radicate di quanto noi adulti facciamo ascoltandoli: se riusciamo un po’ a contenerli, a parlare con loro e poi a trasferirle sul gioco simbolico, sicuramente questa paura sarà transitoria e non lascerà tracce dannose.