Buongiorno. Leggevo l’interessante articolo per lo screening del portatore sano (La giuria del cittadino). Mi sono chiesta molte volte se sarebbe opportuno fare un test obbligatorio o almeno consigliato soprattutto in Veneto (e provincia di Treviso da dove scrivo) ma non so darmi una risposta. Io ho vissuto quest’esperienza in prima persona poiché siamo risultati come coppia entrambi portatori (nessun caso in famiglia, fatto test su consiglio del medico perché interessati ai test di genetica) e mi sono ritrovata a fare una scelta nel momento in cui ho scoperto che la mia bimba aveva ereditato entrambe le mutazioni CFTR e quindi c’era (o potrebbe esserci stata? e in che forma?) la fibrosi cistica. Non voglio giudicare le scelte altrui, noi abbiamo scelto, secondo le nostre convinzioni, se portare avanti o meno la gravidanza, ma mi rendo conto che questo test metterebbe di fronte a questa scelta molti genitori e purtroppo il nostro sistema sanitario, religioso e burocratico non rende per niente facile una scelta simile, soprattutto se passati quei fatidici 3 mesi di gravidanza. Sono pienamente a favore dello screening, non mi sento in colpa per aver deciso di non mettere al mondo un figlio con Fibrosi Cistica, poiché la scelta era stata ponderata ancor prima di avere la gravidanza, ma credo sia da tenere in considerazione tutto questo poiché in Italia certe leggi sono ancora a sfavore di quelle coppie che possono incontrare purtroppo degli ostacoli durante il loro viaggio per diventare genitori.
Questa testimonianza è importante e ringraziamo chi ha voluto fornircela, perché mette in luce alcuni aspetti problematici dello screening del portatore FC.
Intanto la difficoltà della scelta della coppia in cui entrambi si scoprono portatori, fanno la diagnosi prenatale e arrivano a sapere con certezza che nel feto c’è la malattia FC. E’ molto difficile decidere se continuare o interrompere la gravidanza, per molte ragioni (ne citiamo solo una: perché è malattia dal decorso variabile, con aspettativa di quantità e qualità di vita in miglioramento); se la decisione sarà per l’interruzione, sarà una decisione sofferta e drammatica, mai presa con superficialità .
L’altro aspetto importante evidenziato è che organizzare un programma di screening in una data regione non vuol dire solo promuovere una campagna informativa sul test e allestire laboratori di qualità dove le coppie possano farlo. Se gli amministratori della sanità di quella regione credono che sia pieno diritto della coppia scegliere che cosa fare in caso di diagnosi di malattia FC nel feto e quindi anche scegliere di interrompere la gravidanza, allora debbono preoccuparsi che esistano strutture pubbliche qualificate dove la diagnosi prenatale nel feto possa essere realizzata celermente e in maniera altrettanto celere e qualificata possa essere praticata l’interruzione della gravidanza, che la coppia può richiedere stante la legge 194/1978 (Legge 22 maggio 1978, n. 194 Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza).
Una carenza organizzativa sul versante di questi servizi può essere responsabile di ritardi nei tempi della diagnosi sul feto (diagnosi prenatale) ed esporre la coppia al rischio di superare il limite dei tre mesi di gravidanza, che sono stabiliti dalla legge come termine perché l’interruzione venga praticata secondo precise modalità. Superati i tre mesi, l’interruzione è ancora possibile, ma prevede un iter a dir poco avvilente per la donna (parere dello psichiatra sulle sue condizioni mentali), nessuna struttura pubblica vorrebbe accettare la richiesta e l’interruzione stessa avviene con modalità molto più pesanti da sopportare per la donna.
La legge 194 /78 definisce anche le possibilità dell’astensione alle procedure dell’interruzione per il personale sanitario che sollevi obiezione di coscienza. Le possibilità d’astensione non dovrebbero interferire con il funzionamento della struttura secondo standard minimi assistenziali, che sono prerogative di un servizio pubblico e (dovrebbero) essere indipendenti dal credo religioso e dalle motivazioni etiche della persona interessata: il rispetto per il dolore, il rispetto della privacy, l'”umanità” del trattamento nei confronti della donna che ha fatto la scelta dell’interruzione. Può succedere invece che la donna sia vittima due volte, una prima volta della sorte (per la coppia di portatori del gene CFTR vi è il 25% di probabilità di un feto affetto da FC ad ogni gravidanza) e una seconda volta del giudizio e della condanna da parte degli operatori sanitari obiettori, ai quali non basta astenersi, ma viene facile “in aggiunta” esprimere questo giudizio con modalità indirette che si traducono in definitiva in un’assistenza inadeguata. Si può vedere a questo riguardo una testimonianza riportata su questo sito : http://www.fibrosicisticaricerca.it/domanda-e-risposta/Diagnosi-prenatale-e-Diagnosi-genetica-preimpianto? 09/10/2006.