Sono il padre di un bambino affetto da FC con insufficienza pancreatica. Ho chiesto a scuola, prima elementare, se è possibile avere collaborazione da parte degli insegnanti nella somministrazione del creon 10.000, in modo da poter fare frequentare la mensa al bambino ed essere liberi di poter svolgere le nostre attività di lavoro come genitori. Purtroppo ho trovato un muro, nonostante io abbia specificato che il bambino prende le capsule da solo e quindi è questione solo di ricordarglielo. La risposta, in modo anche autoritario e un pò arrogante è stata “no, il problema è vostro e dovete occuparvene voi”. Sono qui per chiedere quanti di voi hanno lo stesso problema. So che la legislatura prevede che gli insegnanti non debbano, per evitarsi problemi, somministrare farmaci ai bambini…ma so anche che in altre scuole i bambini FC non hanno trovato i problemi di cui sto parlando. Mio figlio ha frequentato tre anni di asilo senza questo tipo di problemi.
Rispondetemi…ho bisogno di sapere se sono un caso tra tanti o unico. Abbiamo la possibilità di tenerlo a casa per il pranzo ma penso che la mensa sia un punto di socializzazione importante.
A volte il pomeriggio qualche bimbo porta i dolci per il suo compleanno, perchè mio figlio non può partecipare alla festa?… perchè l’insegnante lo manda a casa con i biscotti ma non gli dà le capsule?
Mi spiego: è successo che mio figlio(sei anni) ha detto all’insegnante di leggere sulla scatola dei biscotti la tabella nutrizionale, quanti grassi conteneva un biscotto e quindi il numero delle capsule ogni due grammi… E’ uscito da scuola con il biglietto, scritto dall’insegnante, con i biscotti ma non ha partecipato alla merenda in comune con i compagni per il rifiuto di somministrargli il creon.
L’insegnante ha detto al bambino di mangiarli a casa e ha indicato sul biglietto i grassi contenuti nei biscotti consegnati.
Ignoranza? Noi abbiamo già consegnato una lettera con relazione del centro di riferimento, in cui noi dichiaravamo di esonerare da ogni responsabilità gli insegnanti. Niente da fare.
Le problematiche connesse alla presenza di studenti che necessitano di effettuare terapie in orario scolastico – siano esse farmacologiche, nutrizionali, etc… – ormai da tempo sono al centro dell’attenzione non solo dei diretti interessati (genitori e studenti), ma anche delle stesse istituzioni scolastiche.
Per tale motivo, nel corso di questi anni, in alcune realtà territoriali sono stati autonomamente portati avanti accordi fra amministrazione scolastica e sanitaria locale, per individuare delle modalità operative che potessero permettere agli alunni di conciliare terapie e regolare frequenza scolastica, senza che ciò comportasse la necessità di doversi assentare da scuola o di costringere i genitori ad allontanarsi dal proprio posto di lavoro per somministrare al proprio figlio le necessarie terapie e contemporaneamente consentirgli la prosecuzione delle attività scolastiche.
Nel contempo, in questi anni, lo sforzo di sensibilizzazione svolto dalle organizzazioni associative interessate nei riguardi dei Ministeri coinvolti nella problematica (Istruzione e Salute) ha portato alla pubblicazione, nel novembre del 2005, delle “Linee Guida per la somministrazione di farmaci in orario scolastico”.
Non si tratta di una Circolare né tanto meno di un Decreto, pertanto il documento non ha carattere impositivo e si presenta “unicamente” come una enunciazione di importanti raccomandazioni.
Pur non avendo carattere impositivo, tuttavia, tali raccomandazioni indicano chiaramente alle istituzioni scolastiche quali soluzioni organizzative e tecniche poter avviare per garantire agli studenti il diritto alla prosecuzione delle terapie anche all’interno della struttura scolastica, attraverso la concertazione con la famiglia, le strutture sociosanitarie, gli enti locali, ognuno con le proprie responsabilità. Le line guida, infatti, suggeriscono quali operatori scolastici possono essere individuati per la somministrazione delle terapie necessarie, di quale preparazione necessitano ed ancora, nel caso non vi sia personale disponibile all’interno della struttura scolastica, come potersi dotare di personale esterno a ciò specificatamente destinato. Danno inoltre chiare indicazioni sulle modalità che i genitori e gli stessi operatori scolastici devono seguire per avviare tali collaborazioni.
Questo, in sostanza, il “quadro legislativo – socioassistenziale” in cui tale questione si inserisce.
Dal punto di vista psicosociale si considera, invece, quanto il compito del genitore di crescere il bambino e contemporaneamente di prendersi cura della sua salute, in presenza di una malattia cronica come la fibrosi cistica, a volte possa assumere le caratteristiche di un vero e proprio lavoro. Infatti, aspetti come il legame affettivo e l’ansia per la salute del bambino rendono molto impegnativo tale compito, che deve essere anche di mediazione tra il figlio e l’ambiente in cui cresce, stabilisce delle relazioni, fa delle esperienze che sono fondamentali per la costruzione della sua personalità, come dell’autostima e dell’immagine di sé. In questo percorso parti sane e parti impegnate in una malattia grave devono convivere nel corso di tutta la fase evolutiva. In tale scenario è ormai un assunto consolidato che malattia, impegni terapeutici e buona qualità di vita siano tutti aspetti che devono integrarsi tra loro.
Uno dei primi appuntamenti con questa delicata questione è proprio quello della “prima uscita” del bambino dalla famiglia, per il suo inserimento nell’ambiente scolastico, luogo questo in cui le esigenze terapeutiche devono essere ugualmente osservate. L’esperienza dell’ingresso a scuola, fin dalla materna, costituisce per il bambino un elemento fondamentale per lo sviluppo delle sue capacità di socializzazione, ma anche per la costruzione di alcune principali abilità cognitive. Se da un lato la malattia del figlio fa parte della vita del genitore (è nella “mente” del genitore), non è così scontato invece che la richiesta di collaborazione al regime terapeutico del bambino debba essere immediatamente accolta nella scuola. Quindi possiamo uscire dall’equivoco secondo cui la scuola debba subito comprendere la richiesta, la preoccupazione e l’esigenza del genitore, ad esempio, sulla necessità di somministrare il Creon anche durante le ore scolastiche. Una certa reazione di perplessità, quando non di rifiuto, da parte dell’ambiente scolastico può essere quindi inizialmente “normale”, ciò anche in considerazione del fatto che la fibrosi cistica rimane ancora oggi una malattia non molto conosciuta alla maggior parte dei “non addetti ai lavori”.
Sorge allora la necessità di stabilire un dialogo con l’istituzione scolastica, all’interno del quale possano essere coinvolti altri enti/soggetti, in primis il centro di cura di riferimento.
Nell’esperienza del nostro Centro Regionale di Palermo, per esempio, alcune scuole hanno subito collaborato con il genitore, altre hanno espresso la necessità di comprenderne di più e di ricevere delle informazioni per costruire meglio la collaborazione con la famiglia, altre ancora – invece – hanno manifestato un irrigidimento. In questa ultima situazione è stato alcune volte necessario il nostro diretto intervento come operatori, a sostegno della richiesta del genitore, ma soprattutto per analizzare e comprendere le difficoltà della scuola e stabilire un canale di informazione e comunicazione volto a chiarire la richiesta della famiglia e definire i margini di collaborazione.
Nella nostra esperienza le difficoltà a volte nascevano dallo scontro tra due diversi atteggiamenti di ansietà: per la scuola quello di andare oltre le proprie competenze e per la famiglia quello di affidare la cura del bambino ad altri, fuori dal proprio controllo. Per tali motivi è stato utile analizzare la domanda di aiuto del genitore e anche il tipo di dialogo che si era costruito con la scuola fino a quel momento.
In molte circostanze i genitori riescono autonomamente a stabilire un dialogo con la scuola, in altre ne ottengono la collaborazione attraverso la produzione di documentazione specifica – inerente la malattia – da parte del Centro, in altre ancora è invece necessario programmare specifici incontri tra operatori del Centro e operatori della scuola. In linea generale, questa ultima modalità ha prodotto i risultati migliori, al di là della mera – seppure necessaria – certificazione che può essere prodotta.
Le espressioni dell’ansia più ricorrenti da parte della scuola, in merito alla somministrazione degli estratti pancreatici, sono state:
– “Ma se il bambino non prende queste pillole che cosa succede?”
– “Se le prendono altri bambini …………?”
– “Se ne prende di meno o di più ……………..?”
– “Non è compito nostro somministrare farmaci…”.
– “Per legge, se vediamo un bambino con un farmaco in mano siamo obbligati a toglierglielo!”;
– “Non possiamo somministrare neanche acqua e zucchero….”.
Il nostro intervento, dunque, è consistito nell’ascoltare ed osservare le difficoltà della scuola, l’irrigidimento, l’ansietà espressa, ed in questo senso è stato molto utile sostenere il genitore nello stabilire un dialogo più funzionale con gli insegnati o i dirigenti da un lato, e – dall’altro – dare alla scuola le informazioni necessarie ad una riduzione dell’ansietà legata a questa richiesta.
In merito alla questione posta dal genitore sul forum del sito, ci sentiamo quindi di esortarlo in primis a non scoraggiarsi rispetto alla questione in oggetto, sopratutto riguardo la possibilità di una soluzione positiva della difficoltà in atto. In questo senso, lo invitiamo a parlare del problema con il Centro, in particolare con gli operatori dell’area psicosociale, per migliorare il più possibile le comunicazioni fino a questo momento condotte ed eventualmente ristrutturarle ed attivare alcune risorse nel gruppo insegnanti. Tutto questo con un dialogo dinamico che va oltre, come dicevamo, la produzione di documenti specifici – necessari sì – ma che non apportano nessun cambiamento nella comunicazione tra la famiglia e la scuola.
Riferimenti normativi:
– “Linee guida per la somministrazione di farmaci in orario scolastico” a cura del
Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca e del Ministero del Lavoro e
delle Politiche Sociali – Ministero Salute, Nota 25 novembre 2005