Buongiorno. A fronte di numerose domande sull’argomento e approfondite letture sulla vita e sul buon senso da mantenere per preservare la salute dei nostri figli, sento di aver bisogno di un ulteriore chiarimento. Sono mamma di un bimbo FC di 6 mesi, con insufficienza pancreatica. Il bimbo è sereno e sveglio, e per il momento cresce in linea con i benedetti percentili. La domanda che pongo è piùdi livello psicologico e sociale che medico: come può una neo famiglia che accoglie un bimbo con questa patologia condurre una vita normale, che possa giovare a rasserenare il piccolo (vedi pranzi di famiglia, gite in città, nei negozi, ecc)? Per quanto egoistico possa sembrare il quesito, perché ovviamente fa peso il fatto di non aver avuto quel piccolo bimbo “ideale” che abbiamo immaginato, è in realtà legato al dovere che i genitori hanno di ricaricare le batterie e ricaricarsi di buone e socialmente positive sensazioni, per trovare una nuova sintonia (anche di coppia). Si parla spesso di buon senso ma purtroppo i nostri piccoli si ammalano anche per un semplice contatto, nonostante tutte le accortezze del caso. Quindi mi chiedo cosa realmente sia possibile fare e far fare ai nostri bambini perché possano crescere in un clima che li fortifichi e non che li faccia sentire causa di isolamenti e paure. È assodato che i piccoli sentono e percepiscono ansie e paure dei genitori, e allora come fare, cosa evitare veramente e su cosa invece respirare più serenamente? La salute dei piccoli purtroppo dipende tanto dalla forza dei genitori, ma a quale serbatoio di energia positiva possiamo attingere? Come può una giovane coppia resistere ed esistere dopo la diagnosi? Ringrazio cortesemente.
Rispondo al quesito partendo dal sottolineare le risorse di questa mamma che, pur affaticata dalla diagnosi, riesce a scindere i bisogni del figlio dai propri, sapendo che il suo positivo equilibrio, anche di coppia, è un buon contenitore per il benessere del figlio. Analisi che sicuramente le permetterà di trovare le giuste risposte. Detto ciò, la diagnosi di una malattia come la fibrosi cistica lascia disorientati, pietrificati e inizialmente sembra che tutto intorno si scolori, si vive per inerzia e nell’angoscia. Questo non solo per la gravità della malattia, ma anche per la sua indeterminatezza, per quella famosa frase che noi diciamo “ognuno ha la sua fibrosi cistica”, che all’inizio non rassicura ma anzi aumenta l’impossibilità a vedere una strada. Per noi operatori quella frase è una richiesta di tempo e una sollecitazione a vivere giorno per giorno la malattia dei bambini che, in un tempo neanche troppo lungo, si presenterà, almeno a grandi linee, per ciò che richiede.
Ben consapevoli che riuscire a vivere giorno per giorno ciò che di positivo vediamo nella crescita del bambino è un’operazione difficile, a volte impossibile per il genitore, ma che se riesce permette nel tempo un confronto meno paralizzante con la malattia. Infatti questa è la modalità che dovremmo seguire per recuperare emozioni positive e quella energia di cui parla la mamma, e di cui c’è un’assoluta necessità. La possibilità di rinunciare, almeno in parte, a voler conoscere e controllare i panorami futuri permette di vivere il quotidiano con minore ansia, perché nel quotidiano, generalmente, si concretizzano velocemente elementi di confronto positivi.
I bambini con fibrosi cistica, se adeguatamente curati e seguiti, hanno una crescita del tutto simile a quella dei loro coetanei sani; il loro sviluppo cognitivo, emotivo, affettivo, motorio è del tutto identico a quello dei loro coetanei e in questo senso bisognerebbe riuscire a pensarli e quindi a non vederli diversi. Una unica grande e impegnativa diversità è che essi, a differenza dei bambini che non hanno nessuna diagnosi di malattia, hanno costantemente con loro uno “zaino sulle spalle” rappresentato dalla loro necessità di cura, da cui non possiamo liberarli. Non sono in generale bambini più fragili, non devono essere costantemente sotto gli occhi dei genitori, non danno allarmi particolari, a meno che non cadano dallo scivolo come tutti i bambini del mondo.
Attivate le nonne, le tate, riprendete come genitori la vostra vita, i vostri ritmi. Molti bambini con FC si ammalano anche meno dei fratellini sani, questa non è una regola ma giorno dopo giorno vediamo come si comporta la malattia e se il bambino sta bene l’obiettivo è che lui possa fare una vita quanto più simile a quella dei coetanei. Vanno bene perciò i compleanni e anche i pranzi con gli amici. Unica attenzione e accortezza, quella che ogni mamma del mondo dovrebbe avere: se è un periodo in cui il bimbo ha raffreddore o la tosse è aumentata meglio un po’ di prudenza e magari poi, se continua, parlarne con il medico o prevedere un controllo; se al compleanno tanti amichetti, e magari anche i grandi, hanno un qualche sintomo influenzale si deve evitare il loro contatto ravvicinato, così come meglio evitare di portare i bambini al centro commerciale il 24 dicembre alle ore 17, dove si potrebbe trovare un concentrato di persone. Se si organizza una vacanza, evitare luoghi dove un’urgenza potrebbe non essere affrontata: per un bambino piccolo dissenteria e disidratazione sono urgenze, evitare luoghi dove potrebbe non essere facile avere un intervento, avere un accesso venoso.
Frasi flash per dire due cose: i bambini si ammalano tutti, i primi anni di vita sono quelli in cui ciò accade di più e per cercare di ridurre un po’ l’esposizione a questo fisiologico rischio chiediamo alle mamme dei nostri bambini con fibrosi cistica solo un po’ più di attenzione ad anticipare quelle situazioni sociali in cui, per la convivialità, potrebbero esserci più rischi di infezioni. Non dobbiamo però pensare né che segregarli li protegga totalmente, né che se si ammalano questo segni un evento crescente di rischio: si curano e guariscono, il loro sistema immunitario funziona bene. Non dobbiamo pensare che i nostri bambini siano solo bersaglio di germi che li rincorrono, non è così.
Una nota sull’asilo nido e la scuola materna: il nido meglio evitarlo perché i bambini molto piccoli, tutti, hanno meno difese; la scuola materna, invece, è frequentata regolarmente dai nostri bambini. Dobbiamo attenderci che nel primo anno si paghi pegno, perché i bimbi in generale si ammalano di più; si deve evitare la frequenza nei periodi di epidemie e cercare di creare una buona collaborazione con le insegnanti, utile perché esse vi informino di eventuali malattie da raffreddamento nella scuola e anche per trovare un accordo per l’assunzione degli enzimi e qualcosaltro: molte insegnanti sono disponibili, altre un po’ meno.
Venendo però al quesito sul come vivere, sapendo che si programma tutto ciò che si desidera, pur coscienti che se proprio in quel momento il bambino è malato si disdicono cene, gite, vacanze, etc. Si pianificano gli impegni non avendo timore di lasciare il bambino a persone di fiducia, non corrono alcun pericolo; si pensano e ritagliano spazi per la coppia: anche un semplice aperitivo, come un appuntamento settimanale in cui i genitori possono ritrovarsi e raccontarsi, sapendo che il bambino è in buone mani, consente di recuperare energie ed emozioni.
Questa risposta non vuole minimizzare o passare un messaggio di semplificazione generalizzata: il mestiere di vivere è sempre impegnativo. Ci sono in realtà e anche situazioni di malattia più impegnative che ostacolano questo processo di vita normale ma, in genere, grazie allo screening neonatale FC e alle cure precoci, questi sono casi veramente rari tra i bambini. Molto più frequentemente invece, pur con “lo zaino sulle spalle”, il bambino e i suoi genitori possono crescere con le esperienze normali di vita nelle varie età: scuola, sport, divertimenti, natura, contatti sociali. Senza potersi dimenticare che la fibrosi cistica c’è, ma con la possibilità di guardare giorno per giorno il bambino e collocarlo nel progetto di vita che per ognuno sarà possibile, senza che la malattia condizioni, più di quanto abbia fatto già con la sua presenza, il disegno che ogni famiglia vuol creare per sé e per il proprio bambino.