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8 Novembre 2005

Parlare della malattia al proprio figlio

Autore: Maurizio
Domanda

Ho un figlio di 14 anni malato di fibrosi cistica. Fino ad ora non si è ancora posto domande particolari ma non so fino a quando. Sono un po’ preoccupato di questo e non vorrei sbagliare in qualcosa. Quale può essere il modo giusto e la spiegazione più opportuna?

Tra l’altro, ritengo che certe pubblicazioni, con brevi spiegazioni della malattia, siano molte volte un po’ esagerate: bisognerebbe sapere che ragazzini che le possono leggere si trovino a confrontarsi, senza essere preparati, con realtà molto crude, quali, ad esempio, la durata di vita. E’ come trasmettere loro che non hanno alternativa. Non mi piace affatto vedere queste informazioni su riviste correnti che leggono tutti, tipo Panorama, e non riviste mediche specializzate.

Risposta

Il problema della comunicazione ad un ragazzo in età pre- o adolescenziale sulla malattia da cui è affetto, o più genericamente sulle sue condizioni cliniche, è quanto mai complesso e non può avere una sola risposta di comportamento. Vi è però unanimità di consenso sulla necessità che i ragazzi, secondo molti anche i bambini, affetti da malattie croniche o importanti siano informati al meglio su quanto sta loro accadendo, al fine di ottenere la loro collaborazione per la terapia necessaria e nel contempo di contenere l’ansia legata al “non sapere, non capire”.

Attualmente la possibilità di accedere attraverso Internet ad informazioni su ogni patologia, espone i ragazzi al rischio di conoscere tutto sulla malattia che li riguarda, comprese le sue complicanze, anche le più rare e drammatiche, che molto probabilmente non si verificheranno.

Il problema si pone dunque non tanto su informare o no, ma piuttosto su come e quando fornire le informazioni e a chi spetta questa responsaibilità. La scelta ottimale sarebbe quella di fornire le informazioni lungo il

decorso della malattia, a partire anche dai primi anni di vita, rispondendo con chiarezza alle domande che i bambini pongono e che spesso imbarazzano gli adulti ai quali si rivolgono: “perchè solo io devo fare la fisioterapia, quando smetterò, perchè devo fare gli esami e prendere sempre gli enzimi, quando guarirò?”.

Soprattutto per i genitori, coinvolti emotivamente, può essere estremamente difficile dare risposte, ma comunque non si dovrebbe sfuggire a queste domande. Si può invece chiedere la collaborazione di qualche figura professionale del Centro presso il quale è seguito il ragazzo, con la quale il paziente ha un buon rapporto (il pediatra, la fisioterapista, la psicologa) per non lasciar cadere il discorso.

In questo modo le risposte saranno corrette, ben calibrate sulla patologia in atto in quella fase della malattia, senza esagerazioni; nei mesi ed anni successivi le informazioni potranno essere aggiornate all’evoluzione della malattia stessa e alle esigenze di “sapere” dei ragazzi, che crescendo vorranno “conoscere” meglio e di più.

Se non vi è stato questo iter di comunicazione graduale e mirato, e se il ragazzo è ormai adolescente, potrebbe essere opportuno stimolare un dialogo di comunicazione partendo da spiegazioni sulla terapia o sulla necessità di esami particolari.

Non solo per la fibrosi cistica, ma per qualsivoglia malattia importante o cronica, il paziente deve essere informato non tanto genericamente su di essa, ma specificamente sulle proprie condizioni cliniche, sulle possibilità di cura attuali, ma soprattutto sulla possibilità che nuovi programmi terapeutici e nuovi farmaci possano a breve-medio termine migliorare la loro qualità di vita, in attesa di soluzioni terapeutiche più efficaci.

In questo processo di comunicazione con il paziente, bambino, ragazzo, adulto che sia, che si svolge lungo tutto il decorso della vita e quindi della malattia, è vincente l’alleanza tra equipe terapeutica e famiglia: ciascuno con le proprie competenze, il coinvolgimento affettivo, la disponibilità all’ascolto possono favorire un buon rapporto di relazione che sta alla base dell’atteggiamento di fiduciosa collaborazione indispensabile perchè paziente e famiglia possano affrontare la malattia, il programma terapeutico spesso pesante e la comparsa di qualche complicanza. Questo dialogo offre inoltre l’opportunità di discutere e offrire spiegazioni anche su quelle informazioni, spesso drammatiche, che possono giungere a famiglia e paziente attraverso i vari mezzi di comunicazione.

Quanto più un paziente è informato e sa di poter contare su un sereno dialogo, tanto meno sarà turbato e disorientato da notizie fornite da giornalisti solo genericamente informati e qualche volta poco sensibili.

Prof. Annamaria Giunta Consulente Medico-Scientifico Associazione Lombarda Fibrosi Cistica, già Direttrice del Centro Fibrosi Cistica di Milano


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