Buongiorno, mi rivolgo nuovamente a voi riallacciandomi alla risposta del 04/03/2011 dal titolo “l’incerto significato di mutazioni rare o di mutazioni non mutazioni“, in quanto vorrei chiedere alcune specifiche. La genetista a cui ci siamo rivolti ci ha scritto in consulenza genetica che la famosa bambina inglese aveva test del sudore positivo e che (cito) “3 software differenti (sulla combinazione delle nostre mutazioni) che riproducono il possibile effetto di tale delezione predicono la produzione di una proteina alterata, per un probabile effetto sul sito di splicing dell´esone 24, con la conseguente mancanza del frammento corrispondente all´esone 24 in una certa percentuale di proteina. Le proteine CFTR più corte formano meno canali del cloro, e la combinazione con la mutazione 2789+5G>A, che è un’altra mutazione nel sito di splicing dell’introne 14b, potrebbe portare alla produzione di varianti anomale del canale con conseguente malfunzionamento. Non è possibile al momento attuale prevedere con certezza la sintomatologia clinica dei soggetti che hanno entrambe le mutazioni 2789+5G>A e 4375delT, ma la probabilità di non presentare alcuna forma (anche atipica) di fibrosi cistica pare molto bassa”. Mi pare di capire che ci siano due approcci alla questione, autorevoli, ma differenti, anzi opposti. Ma qual è quello corretto? Come posso avere una ulteriore consulenza per cercare di capire se effettivamente la mia mutazione è o non è una mutazione della fibrosi cistica e cosa avrebbe potuto causare nel feto che abbiamo, per quello che ci è stato consigliato, non portato alla nascita? Grazie
Quando si cerca di capire se una variazione nella sequenza del DNA di un gene ha sul “fenotipo” (cioè sulle caratteristiche dell’individuo) un’influenza tale da conferire sintomi di malattia (argomento chiamato “correlazione genotipo-fenotipo”), gli approcci sono più di uno (1). Però ognuno di questi approcci ha una diversa “autorevolezza”, vale a dire che la comunità scientifica riconosce maggiore o minore validità alle previsioni che fornisce. Descriviamo i 3 approcci finora applicati.
1. L’approccio che fa riferimento ai dati clinici riportati dalla letteratura scientifica su casistiche di persone che hanno nel proprio genotipo quella determinata mutazione. Ancora meglio, questa casistica dovrebbe essere fatta di persone che hanno quella determinata combinazione di due mutazioni, perché il genotipo è dato dalle due copie di un gene (la copia di derivazione paterna e quella materna) e quindi da entrambe le mutazioni. Se il fenotipo di persone con quel determinato genotipo indica sintomi di malattia, clinicamente documentati e osservati nella loro evoluzione, allora quelle “variazioni” sono vere e proprie mutazioni. L’approccio basato sull’osservazione clinica resta ancora oggi il più valido, anche se ha dei limiti: la casistica deve avere una numerosità sufficiente e deve essere possibilmente composta di persone avanti con l’età, in modo da capire come varia la malattia nel tempo. Se si dispone dell’osservazione solo di uno o due casi si può trarne solo qualche limitata previsione, perché nella FC la variabilità individuale della malattia è molto elevata e viene neutralizzata solo dalla raccolta di grandi numeri.
2. L’approccio che fa riferimento non alle variazioni di sequenza del gene ma al suo prodotto, cioè la proteina CFTR; e misura il funzionamento della proteina. Se la proteina mostra di essere funzionante o abbastanza funzionante, si può prevedere che non ci saranno sintomi e segni di malattia, se la proteina non funziona non ci saranno segni e sintomi. Alcuni test che indirettamente misurano il funzionamento della proteina si eseguono “in vivo”: sono il test del sudore e il test dei potenziali nasali. Se questi test non sono fattibili o sono inconclusivi, ci sono delle altre indagini che si possono eseguire “in vitro” su frammenti di tessuto (es. frammenti di mucosa nasale) prelevati alla persona interessata dal problema. Su questi si può eseguire la misura dell’RNA messaggero del gene, cioè di quel particolare acido nucleico che trasmette il messaggio inviato dal gene per la sintesi della proteina e che rappresenta molto fedelmente quella che sarà la proteina definitiva. Oppure è anche possibile, con tecniche particolari di visualizzazione, identificare le componenti della struttura della proteina e la sua localizzazione (all’interno o sulla membrana apicale della cellula), ma anche testare il suo funzionamento su singola cellula (trasporto del cloro). Tutte queste indagini citate sono estremamente difficili e sofisticate, sono usate in genere in ambito di ricerca e non hanno risvolti applicativi diretti. Proprio in base a indagini sul funzionamento della proteina si è arrivati a definire per le mutazioni più frequenti una certa classe di appartenenza, che va dalla classe I alla classe V (nella classe I sono incluse le mutazioni che impediscono la sintesi di proteina funzionante, e nella classe V quelle che permettono la sintesi di una quota di proteina funzionante accanto ad una quota non funzionante).
3. L’approccio che fa riferimento a programmi informatici. Questi raccolgono il maggior numero di informazioni possibili sulla struttura della proteina normale e delle possibili sue numerosissime variazioni nonchè sugli effetti noti sul fenotipo di queste varianti. La complessa elaborazione statistica di questi dati fornisce una certa probabilità che una variazione sconosciuta (che non è mai stata segnalata prima, ma che ha caratteristiche simili ad altre già segnalate) sia innocente oppure influisca sul fenotipo procurando segni e sintomi di malattia. Quest’approccio, completamente teorico e basato sulla statistica è il meno valido di tutti ed è quindi di scarsa affidabilità per le applicazioni cliniche pratiche.
Venendo al caso della domanda: per la “variante” 4375delT, il database del Consorzio FC nordamericano riporta la segnalazione di un solo soggetto (non si sa in che anno), di cui vengono date informazioni limitatissime sulla clinica (viene detto: “assenza di sintomi”), viene riferito un test del sudore con valore di Cloro pari a 59 mmol/L (valore “borderline”). Si tratta della sorella di un malato con genotipo DF508/DF508, ma lei ha genotipo DF508/4375delT, cosa molto strana e non spiegata attraverso indagini nei genitori. A conforto dell’ipotesi che sia una mutazione, i ricercatori che la segnalano usano tre programmi informatici che predicono una possibile proteina alterata e quindi un possibile effetto-malattia.
L’approccio informatico è stato usato recentemente anche per predire l’effetto del genotipo in un caso (citato nella domanda) in cui si combina A/4375delT con 2789+5G>A: tre sistemi informatici consultati predicono la produzione di una proteina CFTR alterata. Perciò viene detto che non è possibile prevedere la sintomatologia, ma che la probabilità di non presentare sintomi di fibrosi cistica in quel caso è bassa. La conclusione non è discutibile. Discutibile può essere invece l’approccio con cui essa è stata raggiunta: non essendovene possibili altri, sarebbe stato corretto anche dire che con i metodi scientifici attualmente disponibili non è possibile arrivare ad una vera conclusione.
1. Sosnay PR, Castellani C et all “Evaluation of the disease liability of CFTR variants”. Methods Mol Biol 2011; 472:355-72