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27 Ottobre 2015

L’esperienza di ricoveri ospedalieri prolungati può alterare lo stato emotivo del bambino, peraltro recuperabile attraverso attento e attivo coinvolgimento del genitore

Autore: Diana Sarah
Argomenti: Vivere con FC
Domanda

Ringrazio innanzitutto di aver ricevuto risposte alle mie precedenti domande. Mi trovo nuovamente a chiedere informazioni circa la nostra situazione, che riprendo brevemente. Dopo l’ultimo ricovero alla mia piccolina sono stati fatti un sacco di prelievi, ma non sono state sufficienti le vene delle braccia e hanno dovuto utilizzare anche quelle delle mani. Siamo tornate a casa venerdì e da allora la mia piccola è sempre triste, mangia poco, non ha tanta voglia di giocare. Con valori di lipasi sierica di 4200 unità alla dimissione e 2800 al controllo di lunedì, ci può stare che ogni tanto si lamenti del mal di pancia. Ma diversamente dall’anno scorso, quando abbiamo fatto un mese in ospedale, è cambiata molto a livello proprio di felicità. La mia domanda è appunto questa: a due anni e mezzo può incidere così tanto un ricovero? Può averla traumatizzata l’aver dovuto “subire” trattamenti così invasivi e continuativi? Sono molto preoccupata.

Risposta

Periodi prolungati di ricovero, anche se non caratterizzati da procedure invasive, possono produrre nel bambino un’attivazione dello stato emotivo. Questo tipo di reazione può essere già presente nel bambino molto piccolo anche al di sotto dell’anno di età. Inoltre, se durante il ricovero il bambino deve subire procedure dolorose ha maggiori rischi di strutturare risposte emotive negative. La percezione del dolore, infatti, ma molto più spesso la paura del dolore, si rappresentano nel bambino come qualcosa di precario, poco rappresentabile e controllabile, da cui e per cui esso fa riferimento alla figura di accudimento, cercando a volte consolazione, altre volte distacchi (come quando non vuole stare in braccio o non vuole farsi vestire o toccare), spesso solo la possibilità di piangere.
E’ questo il motivo per cui ogni volta accada la necessità di un ricovero e di procedure mediche dobbiamo aspettarci reazioni emotive di una certa importanza, con cambiamenti di umore ma anche, talvolta, di ritmi fisiologici, quali sonno e alimentazione.

Certamente questo non accade a tutti i bambini ma può accadere e, in realtà, un certo nervosismo come reazione a un ricovero impegnativo è abbastanza frequente.
L’età della bambina inoltre (2 anni e mezzo in questo caso), la pone già nella possibilità di elaborare alcune parti dei principio di causa effetto e quindi può accadere che essa abbia strutturato dei comportamenti per difendersi dalla sensazione che alcune cose potrebbero accadere. Ad esempio, può non parlare con l’infermiera che le ha fatto il prelievo la mattina quando rientra nella stanza alcune ore più tardi, attenta a valutare se si sta riproponendo quanto accaduto la mattina; un’elaborazione a volte anche in larga parte inconscia, che è condotta più dallo stato emotivo che non dalla elaborazione cognitiva.

Tutto quanto descritto può anche far sì che il bambino abbia bisogno di fare alcune regressioni di tipo difensivo e divenire, ad esempio, molto lamentoso e senza apparente motivo. Questo e molti altri potrebbero essere, appunto, segni della precarietà dello stato emotivo, che è stata attivata dall’esperienza negativa. Pur molto difficili da accettare per i genitori, non dobbiamo pensare però che queste reazioni del bambino si possano strutturare come veri traumi, poiché la loro elaborazione è senza dubbio più veloce di quanto non accada quando il bambino vive un trauma. E’ però necessario far sì che esso possa dimenticare prima possibile l’emozione negativa che ha vissuto e per far ciò, a differenza di come si potrebbe pensare, è utile che il bambino la ripercorra magari attraverso la lettura di una favola o anche un fumetto, in cui a un personaggio possa accadere una cosa tanto dolorosa. Non è necessario che si riproponga la stessa sua esperienza, ma è importante che nella parte di immaginazione della storia ci sia un personaggio che sta molto male per un accadimento negativo e si faccia poi il passaggio facendo un paragone con il dolore del bambino. Ad esempio: se c’è un cartone con un personaggio che piange è utile richiamare “piange forte poverino perché sta male, come è successo anche a te, ti ricordi?” e poi subito contenere con una frase di possibilità “Ma lui deve stare tranquillo perché poi passa tutto, come è accaduto a te, glielo diciamo?”.

Questo può essere solo un esempio e forse non sempre facile da seguire, ma ciò che è più importante di tutto è la serenità con cui la mamma stessa potrà rasserenare la disperazione del bambino, anche riuscendo a coccolarlo per quelle cose brutte che gli sono rimaste un po’ dentro e, se possibile, parlandone con lui ogni volta che se ne presenti l’occasione, quindi raccogliendo ogni eventuale sollecitazione del bambino in tal senso.
Quando le emozioni non si strutturano come esperienze traumatiche, realtà che, seguendo il contesto evidenziato, si potrebbero configurare solo in caso di molti e ravvicinati ricoveri, esse vengono comunque sempre elaborate, ristabilendo poco alla volta un equilibrio emotivo nel bambino.

Dott. Paola Catastini, Psicologa presso il Centro FC, Ospedale Meyer, Firenze


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