Salve, sono una mamma di un bimbo di 9 anni con FC. Fin dalla sua nascita abbiamo sempre cercato di trasmettergli il nostro grande affetto e la nostra più totale disponibilità. Da qualche tempo (dopo aver saputo della patologia e aver vissuto i sacrifici necessari) saltuariamente emergono delle frasi (“quando arriva la medicina che mi guarisce?” “certe volte non sono proprio contento di esistere” ecc..) che mi hanno lasciata perplessa e non so se siano “normali” o se sia necessario l’aiuto di uno psicologo. Quando chiedere un aiuto esterno ? Grazie mille del Vostro grande Aiuto
La malattia cronica produce un notevole costo psicologico che, presente in tutte le fasce di età, aumenta progressivamente verso l’adolescenza ed è determinato nella sua entità da molti fattori, non solo personali, legati al carattere delle singole persone malate, ma anche familiari e sociali.
La capacità che i bambini hanno di far fronte al carico della malattia è comunque sempre in larga misura determinata dal ruolo di contenimento emotivo che la famiglia riesce a svolgere; man mano che essi crescono può diminuire l’influenza di tale contenimento proprio perchè maggiore è la proiezione verso l’esterno.
E ‘importante considerare l’età del bambino al momento della diagnosi: se è ancora un neonato i genitori non avranno la possibilità di sentirlo “normale” o uguale agli altri bambini; se è ancora molto piccolo lo sentiranno fragile e indifeso; se ha già avuto modo di estrinsecare il proprio temperamento e di trovare la propria collocazione nel nucleo familiare, potranno provare un senso di perdita ancora maggiore, e ciò è particolarmente vero in epoca adolescenziale. Se la madre e il padre vivono la malattia del bambino in maniera equilibrata trasmettono questa loro serenità al bambino.
E’ utile far comprendere al bambino i limiti e le caratteristiche della sua malattia, perché solo una comprensione obiettiva può portare a una serena accettazione del proprio stato. La conoscenza della gravità o meno della malattia è in relazione all’ età, aumenta con il suo innalzarsi ed è condizionata dallo sviluppo psico- emotivo e cognitivo del bambino.
Verso 10/12 anni i ragazzi iniziano a comprendere vari aspetti della malattia e a immaginare eventuali conseguenze negative, è necessario parlare loro in modo da sdrammatizzare le preoccupazioni e fugare i timori eccessivi che a volte li assalgono.
Quasi tutti i Centri offrono uno spazio di aiuto psicologico al paziente /famiglia, rispetto alle varie problematiche emotive, relazionali e comportamentali. Suggerisco ai genitori, nel caso in cui le domande si facessero insistenti e vi fosse poca serenità nel contenerle, di rivolgersi al Centro che segue il bambino per poter trovare così il sostegno adeguato e affrontare questo periodo ricco di domande e dubbi. E solo in un secondo momento, se necessario, un sostegno diretto al ragazzo.