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19 Gennaio 2017

La necessità di assicurare un apporto nutritivo adeguato a un bimbo FC può generare tensioni nel ruolo materno che compromettono il normale rapporto del bimbo con il cibo

Autore: Elena
Domanda

Vorrei richiedere un vostro parere circa il rifiuto del cibo di un bambino di due anni e mezzo affetto da FC, in condizioni di salute buone e con crescita abbastanza regolare seppur inferiore alla media. Può essere la malattia tra le cause di un atteggiamento ostile verso qualsiasi cibo? Il bambino non mastica, non assaggia nessun tipo di cibo né liquido né solido al di fuori della pappa arricchita di grassi e dello yogurt. È completamente disinteressato al cibo e, al momento del pasto, mangia passivamente più o meno sforzato e spesso vomita. Potrebbe essere l’assunzione di enzimi che provoca fastidio con conseguente vomito? Insomma è la malattia in causa o questo è il modo del bambino di manifestare un disagio? Beve solo acqua e solo nel biberon, rifiuta qualunque tipo di bicchiere. Sono preoccupata perché non riscontro nessun miglioramento nonostante gli stimoli che cerco di trasmettergli. Grazie per la competenza e la sensibilità con cui fornite importanti informazioni a noi genitori spesso disorientati.

Risposta

La fibrosi cistica può incidere sul rapporto che il bambino ha con il cibo. I medici stessi sottolineano la necessità di raggiungere o mantenere un adeguato peso corporeo del bambino, senza talvolta considerare sufficientemente l’impatto emotivo che ciò produce nei genitori e in particolare nelle madri. È nota, infatti, la centralità del ruolo materno nell’assicurare la crescita e la nutrizione dei figli. Quando tale equilibrio risulta precario sono frequenti le ansie e le tensioni della figura di riferimento del bambino che, inevitabilmente, si ripercuotono sullo stile della relazione precoce esistente con il figlio. Potremmo quindi sinteticamente affermare che la fibrosi cistica può causare malassorbimento e basso peso corporeo che, per più motivi, generano ansia nei genitori e rischio di tensioni nel messaggio che arriva ai figli, peggiorando il rapporto che essi hanno con il cibo.

Direi quindi che non è proprio la natura della malattia, ma il suo vissuto nei genitori (e talvolta le richieste dei sanitari poco modulate sulla struttura dei genitori) che può generare nel bambino un disturbo dell’alimentazione. Questo meccanismo pare molto riconoscibile nella descrizione che fa questa mamma o sembra destare importanti preoccupazioni mediche. Mi permetterei di pensare che in casi come questo sarebbe utile una presa in carico non solo del bambino da parte di professionista esperto, per far sì che primariamente si possa lavorare per allentare l’ansia di questo momento e contemporaneamente sostenere i genitori a una modifica del comportamento rispetto al cibo, al fine di recuperare nel bambino un ruolo adeguato nel suo confronto con l’alimentazione.
Molte volte sono sufficienti piccoli accorgimenti nella comunicazione con il bambino per invertire in modo positivo la caratteristica dei comportamenti disfunzionali.

Dr. Paola Catastini - Psicologa presso Centro Regionale FC Toscano, Osp. Meyer, Firenze


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