Salve, in un paziente FC di 26 anni, con infezione cronica da Pseudomonas , parzialmente responsivo ad antibiotico -terapie mirate, è giusto avanzare il sospetto per la colonizzazione da parte di un altro batterio diverso da Pseudomonas? Dopo il ciclo e.v. gli indici di flogosi sembrano raggiungere i valori fisiologici, ma nel giro di poco tempo aumentano nuovamente o si riducono parzialmente, come è accaduto con l’ultimo ciclo. Voglio sottolineare che le condizioni generali del paziente sono buone, escreato chiaro, reperti auscultatori e immagini radiografiche negative per infezione acuta in atto. Unici elementi indicativi di infezione: rialzo PCR e VES e febbricola nonostante terapia antibiotica che, tra cicli e.v. e per os si protrae da circa 4 mesi. Quali esami bisogna secondo voi eseguire nell’immediato?
Quali sono le manifestazioni cliniche, dati di laboratorio e strumentali che depongono per il sospetto di una micobatteriosi atipica in pazientri FC?. Quali sono gli antibiotici più frequentemente usati? Grazie
Le domande ripropongono la problematica delle infezioni respiratorie polimicrobiche in fibrosi cistica (FC). Vedere anche su questo sito la domanda: Infezione polmonare polimicrobica in FC del 22.04.10 (ndr). Frequentemente in questa malattia l’infezione batterica delle vie aeree è causata non da una singola specie batterica, ma da più specie (come ad esempio, S. aureus e P. aeruginosa). In molti casi, anche nel caso di infezione da flora polimicrobica, P. aeruginosa è da considerare il principale patogeno. Recenti segnalazioni riportano che il 27% dei pazienti al di sotto dei sei anni e complessivamente l’80% dei pazienti fibrocistici ne risulta infettato.
Dalla domanda si evince che il paziente, cronicamente infettato da P. aeruginosa, è stato trattato con terapia parenterale con risposta clinica non pienamente soddisfacente. In ogni caso di mancata o incompleta risposta al trattamento si impongono ulteriori approfondimenti, la rivalutazione clinica del paziente, del quadro radiografico e un’attenta riconsiderazione della situazione microbiologica e della sensibilità agli antibiotici. Le ragioni della parziale risposta al trattamento in corso di infezione da P. aeruginosa possono essere varie. In alcuni casi la ripresa dei sintomi immediatamente dopo la conclusione del ciclo terapeutico per via parenterale può essere attribuibile a una durata non ottimale del trattamento. Anche se i cicli parenterali hanno di solito una durata di 14 giorni, alcuni casi – come i pazienti che albergano ceppi multiresistenti di P. aeruginosa– richiedono che il trattamento venga ulteriormente prolungato per ottenere una piena risposta. In altri casi è da ipotizzare che l’esame colturale non abbia potuto identificare il patogeno realmente responsabile dell’infezione e in questo caso la scelta del trattamento antibiotico potrebbe essere stata non ottimale. La sensibilità dell’esame colturale nel rivelare la flora patogena è generalmente alta se l’esame è condotto su escreato, ma in alcuni casi l’esame colturale può non fornire risultati rappresentativi della flora microbica a livello dell’apparato respiratorio. La sensibilità dell’analisi può essere migliorata utilizzando il lavaggio bronco-alveolare (BAL, prelievo di materiale di lavaggio bronchiale con tubo broncoscopico), ma tale procedura è più invasiva per il paziente, e talora è addirittura gravata da effetti indesiderati. Per questo motivo il BAL è oggi raramente utilizzato nella pratica clinica. Infine, quando il paziente non risponde al trattamento nonostante la rivalutazione, sono ipotizzabili situazioni cliniche particolari, come ad esempio un quadro concomitante di aspergillosi broncopolmonare allergica (ABPA) oppure l’infezione da altri germi patogeni, come i micobatteri non tubercolari (o atipici), che non sono comunemente isolabili e identificabili con le classiche procedure microbiologiche.
I micobatteri non tubercolari (NTM), contrariamente a Mycobacterium tuberculosis, sono batteri ambientali comunemente presenti nel suolo e nella polvere, ma soprattutto nell’acqua, sia dolce che salata. Vengono chiamati non tubercolari per distinguerli dal M. tuberculosis, agente eziologico della tubercolosi. Ne sono state descritte oltre 100 specie. La loro crescita in laboratorio richiede un lungo periodo di tempo e terreni di coltura particolari. Per questo motivo non sono di solito identificabili nei normali terreni di coltura utilizzati per i germi che comunemente infettano i pazienti fibrocistici. Rispetto ai germi comuni tutti i micobatteri hanno una crescita particolarmente lenta (alcune specie richiedono anche alcune settimane), necessitano di particolari laboratori di riferimento per la corretta identificazione e per testare la loro sensibilità agli antibiotici. Un ulteriore problema risiede nella difficoltà di crescita in coltura dei micobatteri in presenza di P. aeruginosa, che ne inibisce lo sviluppo e spesso ne copre la crescita. Al fine di isolare i micobatteri è necessario eseguire sul campione un trattamento decontaminante, per eliminare la crescita di P. aeruginosa, ed è quindi indispensabile un campione destinato esclusivamente alla ricerca dei micobatteri.
I micobatteri non tubercolari possono essere responsabili di patologia polmonare nell’uomo, soprattutto in popolazioni particolari come gli immunodepressi e i malati di FC. Molteplici sono i fattori che in FC possono predisporre all’infezione da NTM: il danno strutturale polmonare, lo stato nutritivo scadente, i frequenti trattamenti antibiotici endovenosi, il diabete mellito, la terapia corticosteroidea, l’aspergillosi broncopolmonare, l’utilizzo di broncoscopi o apparecchi per l’aerosol contaminati. La loro prevalenza nella popolazione FC è parzialmente conosciuta ma sembra incrementare con l’età. In alcune casistiche si attesta intorno al 6% nei bambini al di sotto di 6 anni e può variare dal 10 al 20% negli adulti. I patogeni prevalenti variano da studio a studio ma i più frequentemente implicati nell’ambito della fibrosi cistica sono M. avium complex (MAC) e M. abscessus. L’isolamento di un NTM da un sito normalmente sterile non costituisce di per sé una prova di malattia e il significato clinico del loro riscontro va attentamente valutato. I micobatteri non tubercolari in pazienti affetti da fibrosi cistica possono associarsi o meno a sintomi e deterioramento delle condizioni cliniche. In alcuni casi la persistente presenza di micobatteri atipici nell’escreato si accompagna ad un progressivo deterioramento della situazione polmonare, in altri casi invece l’isolamento non è associato a progressione della malattia.
I criteri clinici, radiologici e microbiologici per la diagnosi delle micobatteriosi non tubercolari proposti dall’American Thoracic Society, nelle linee guida di riferimento per la diagnosi e la cura delle micobatteriosi, non sempre sono utili per la popolazione FC. I sintomi respiratori di cui sono responsabili (tosse cronica o persistente, produttiva, malessere, astenia, febbre, dispnea, emottisi, dolore toracico, perdita di peso) e le manifestazioni radiologiche (bronchiectasie o infiltrati nodulari flogistici) assomigliano a quelli che si riscontrano in FC. La diagnosi pertanto è spesso difficile e incerta. E’ comunque richiesta la presenza di sintomi polmonari e manifestazioni radiografiche tipiche (opacità nodulari o cavità) con risultato positivo della coltura in almeno due diversi esami colturali dell’espettorato.
La diagnosi di NTM non sempre necessità l’inizio di un trattamento medico. Devono infatti essere attentamente valutati rischi e benefici per i pazienti. La scelta dei farmaci, i dosaggi e la durata del trattamento dovrebbe essere controllata da un esperto nell’ambito delle infezioni da NTM. La lenta crescita dei micobatteri complica i test di sensibilità ai farmaci in vitro poiché durante l’incubazione gli antibiotici possono essere degradati e scomparire dal terreno di coltura. I dati della sensibilità in vitro (i test sono scarsamente standardizzati) correlano inoltre scarsamente con i risultati clinici. Caso per caso dovrebbero essere attentamente valutate le specie responsabili dell’infezione e la situazione clinica relativa alla malattia di base. Nel caso sia attribuito un ruolo patogeno agli isolati batterici da pazienti fibrocistici i farmaci maggiormente usati, in varia combinazione, sono la cefoxitina, l’etambutolo, i macrolidi (azitromicina o claritromicina) la rifampicina o la rifabutina, i fluorchinolonici, il linezolid e in alcuni casi anche gli aminoglicosdi (amikacina o streptomicina). La durata del trattamento è lunga, 12 mesi e oltre, ma non sempre il trattamento si accompagna a negativizzazione del risultato della coltura. E’ consigliabile la valutazione dell’eventuale progressione della malattia nel tempo con tomografia computerizzata (TAC) del torace.
Per i potenziali danni polmonari che i NTM possono determinare è consigliabile che venga eseguito periodicamente (almeno una volta all’anno) l’esame colturale dell’escreato con ricerca dei micobatteri nella popolazione adulta FC. E’ infatti di fondamentale importanza riuscire ad ottenere una diagnosi microbiologica il più attendibile possibile, in modo da selezionare i pazienti da sottoporre a follow-up ed eventualmente a una terapia specifica, evitando così i potenziali rischi di progressione della micobatteriosi e l’eventuale conseguente peggioramento della situazione polmonare. Sta quindi al clinico, in relazione alla mancata risposta al trattamento antibiotico, ipotizzare l’infezione da altri agenti patogeni (come i NTM) che potrebbero complicare il decorso della malattia polmonare e inviare al laboratorio di riferimento per i micobatteri materiale proveniente dalle secrezioni bronchiali per gli opportuni accertamenti.
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