Buonasera. La mia più che una domanda è una riflessione. Siamo una coppia di portatori sani di FC. Purtroppo l’abbiamo scoperto a gravidanza inoltrata in seguito al riscontro all’ecografia di intestino dilatato nel bimbo). Nelle coppie che eseguono la fecondazione assistita il test come portatori rientra da protocollo. Come mai per le gravidanze invece fisiologiche questo test non viene minimamente contemplato in fase pre concezionale? Data l’altissima frequenza in Italia (1:25) trovo assurdo che nessun ginecologo lo proponga (da eseguire almeno privatamente). È possibile sensibilizzare maggiormente lo staff medico su questa tematica? Ci sono state dottoresse rimaste sorprese che avessimo avuto un bimbo con fibrosi nonostante in famiglia non ci fossero stati casi in passato. Credo manchi consapevolezza riguardo questo tema. È possibile sensibilizzare maggiormente i ginecologi? O aggiornare le linee guida sulle informazioni da trasmettere a chi cerca una gravidanza?
Condividiamo pienamente le osservazioni poste dalla domanda, in particolare il rilievo dato a un’anomalia presente nelle prestazioni del nostro SSN: le coppie che accedono alle tecniche di Procreazione Medicalmente Assistita (PMA) intraprendono una serie d’indagini fra cui rientra di routine il test per sapere se sono portatori di fibrosi cistica (FC). A questa esecuzione abituale del test contribuiscono vari fattori fra cui, sul piano scientifico, anche un documento di consenso diffuso dalla Società Italiana di Genetica Umana (SIGU) che ha preso posizione suggerendo di farlo nelle coppie che accedono alla PMA per infertilità di qualsiasi causa. Ne abbiamo parlato qui. Il documento suggerisce di eseguire l’analisi del gene CFTR, con ricerca delle più frequenti mutazioni, in uno dei partner e di estenderla all’altro in caso di positività del primo. Il razionale alla base del suggerimento è che la fibrosi cistica è la malattia genetica grave, trasmessa da una coppia di portatori sani, più comune nella popolazione europea. L’indicazione al test è comunque la stessa rispetto alla coppia della popolazione generale: è importante tener presente che non si basa su di un rischio aumentato delle coppie infertili di essere coppie di portatori del gene della fibrosi cistica.
Nel commentare il documento della SIGU scrivemmo che questa posizione era ampiamente condivisibile purché in parallelo crescesse la diffusione del test nelle coppie della popolazione generale, cosicché si realizzassero in entrambi i casi condizioni di omogeneità di offerta ed equità di possibilità di scelta. Se è solo la coppia che accede alla PMA a essere sottoposta routinariamente al test per il portatore FC, questa ha un trattamento diverso rispetto alla coppia che ha figli per vie naturali, che spesso non è nemmeno informata sul test (ne abbiamo parlato qui). Alcuni obiettano che la gravidanza ottenuta attraverso una PMA sia una gravidanza “preziosa”, frutto di un percorso difficile sotto vari aspetti, e per questo richieda maggior tutela. Ci sembra difficile condividere eticamente questa posizione, la probabilità di avere figli sani dovrebbe essere uguale per tutte le coppie. Altri obiettano che se nascesse un bambino con FC da una PMA i genitori potrebbero contestare ai sanitari un comportamento negligente, data l’esistenza di un test che è raccomandato a livello scientifico e invece non è stato applicato. Ecco quindi che i sanitari adottano la cosiddetta medicina difensiva e fanno fare il test alle coppie della PMA. Invece per le coppie della popolazione generale non esistono campagne di promozione diffusa e indicazioni vincolanti per i sanitari, che quindi si comportano come meglio sanno e/o credono: questa disomogeneità ci sembra un serio problema e andrebbe progressivamente corretta.
Per tutte queste ragioni questa Fondazione ha avviato il progetto strategico 1 su 30 e non lo sai (maggiori informazioni qui). Si tratta di un progetto importante che si muove su due direttive: da un lato informare i possibili utenti sul test FC e fare cultura e formazione fra i sanitari perché lo diffondano, dall’altro valutare le ricadute organizzative, economiche, etico/sociali di una strategia di screening del portatore sano nella popolazione generale.
Alla base di un maggior utilizzo del test per il portatore di fibrosi cistica dovrebbe esserci una maggior conoscenza della malattia, non facile da raggiungere in un panorama di malattie più visibili, più frequenti, di maggior impatto sull’immaginario collettivo. Però un passaggio chiave favorente la diffusione del test potrebbe essere proprio la maggior conoscenza della frequenza dello stato di portatore nella persona qualsiasi, anche se non ha casi di malati in famiglia e anche se ha già avuto figli sani; e l’alta probabilità che del tutto casualmente si combini una coppia di portatori sani, che hanno un rischio elevato di figli malati di FC. Purtroppo la fotografia emersa da un sondaggio nazionale sulla conoscenza della fibrosi cistica (questo) ha mostrato che uno degli aspetti meno noti è proprio il meccanismo di trasmissione genetica della malattia, probabilmente poco percepito dagli stessi sanitari. Quindi vale bene lo slogan “molto è stato fatto, ma molto resta ancora da fare” e FFC Ricerca si muove in questa direzione.