Di seguito, un articolo sul settimanale Focus: “La cura ‘ogm’ che ha ucciso i superbatteri”
Cosa ne pensate?
Scriveva nel 2009 il nostro sito (1): “I batteriofagi, letteralmente mangiatori di batteri, sono virus particolari che attaccano specificamente ed uccidono diversi tipi di batteri. Essi sono innocui per le cellule dei mammiferi e sono molto specifici, cioè ciascuno di essi è attivo solo contro una specie batterica. Già negli anni ’40 era stata ventilata la possibilità di trattare le infezioni con batteriofagi. Ma le scarse conoscenze di quei tempi e la mancanza di tecnologie atte a produrre batteriofagi adeguati resero deludenti i primi esperimenti terapeutici. Negli ultimi anni, sulla spinta dell’aumento delle resistenze agli antibiotici per molte specie batteriche, si è ravvivato l’interesse per i batteriofagi. Oggi è possibile produrre su larga scala batteriofagi privati anche di possibili tossine interne che potrebbero disturbarne l’impiego terapeutico”.
Sono passati 10 anni da quelle considerazioni, e siamo in un momento di gran fervore scientifico e giornalistico sulla terapia con batteriofagi. Riassumiamo la situazione più aggiornata, ispirata con clamore da recenti notizie sulla storia vera di una teenager britannica, precisando e sottolineando in via preventiva che un caso singolo non può far scienza, ma sicuramente la stimola.
Il caso è questo: una breve comunicazione riportata sulla prestigiosa rivista Nature Medicine (2) da scienziati americani e inglesi, riporta l’utilizzo di un cocktail di batteriofagi per curare una giovane paziente con fibrosi cistica (FC), colonizzata, in modo disseminato e resistente ai farmaci, dal batterio Mycobatterium abscessus. Si tratta di una giovane che, a causa di una forte compromissione dell’apparato respiratorio, aveva assunto Orkambi in uso compassionevole per 6 mesi, prima di essere inserita in lista trapianto e aver poi subito trapianto bipolmonare, eseguito senza insorgenza di complicanze. Successivamente, come da prassi, le sono stati somministrati farmaci immunosoppressivi e antibiotici per via intravenosa. Tuttavia, a causa di alcuni effetti avversi, era stato necessario interrompere la terapia antibiotica; fatto che ha comportato l’insorgenza del batterio resistente M. abscessus. E’ stato a questo punto che, circa 9 mesi dopo il trapianto e senza un’altra strada percorribile, si è presa in considerazione, in via sperimentale, la terapia con i batteriofagi. Gli autori riportano di aver analizzato una collezione di oltre 10000 fagi, per 1800 dei quali era già stato analizzato il DNA nel suo insieme, ovvero il genoma. Alcuni dei fagi da utilizzare per la terapia sono stati anche ingegnerizzati, ossia, ne è stato modificato il DNA con tecniche specifiche, al fine di ottenere un prodotto più efficace come anti-batterico. Come riporta la notizia pubblicata anche su Focus (3), Isabelle, questo il nome della ragazza, nel giugno 2018 ha ricevuto la prima infusione. Dopo 72 ore, le ferite hanno iniziato a guarire. Dopo sei settimane di trattamento intravenoso ogni 12 ore, i segni di infezione al fegato erano svaniti. Da allora è stata una graduale ma continua ripresa. Gli autori dello studio (2) sottolineano che il trattamento che ha funzionato per Isabelle potrebbe essere inefficace per batteri di ceppi diversi, o su altri batteri, come per esempio il Pseudomonas aeruginosa, o su altre persone. Ma lo studio sta suscitando speranze.
Alcuni ricercatori esperti nel campo della terapia con i batteriofagi hanno redatto per il nostro sito un breve sunto sulle sue caratteristiche principali e sui potenziali sviluppi (4), sottolineando come essa sia potenzialmente applicabile ad un gran numero di malattie infettive diverse. Nello stesso riepilogo si precisa inoltre che in Europa orientale essa è già in varia misura disponibile, mentre regolamentazioni più importanti ne impediscono attualmente l’utilizzo in Europa occidentale. Una recente rassegna internazionale (5) sottolinea come la caratterizzazione genomica dei fagi – ossia come sono fatti a livello genetico – è molto importante per predirne la sicurezza. I fagi, infatti, possono essere fonte di trasferimento orizzontale di geni nei batteri, riuscendo a rendere i microbi, che dovrebbero attaccare, ancora più resistenti e patogenici. Da qui la necessità di ingegnerizzarli come in parte hanno fatto i ricercatori nel caso di Isabelle. E infine, un’altra limitazione importante che è stata riportata in letteratura (5), è la dubbia stabilità dei fagi a seconda del metodo di somministrazione: nasale, orale o topico.
Per andare incontro alla necessità di risultati scientifici rilevanti in questo ambito, la Fondazione Ricerca Fibrosi Cistica (FFC) ha finanziato negli ultimi anni tre progetti volti a verificare l’efficacia della terapia fagica nella cura delle infezioni specificamente da Pseudomonas aeruginosa (Pa). Il progetto più recente FFC#22/2017, concluso da poco, ha portato alla recente pubblicazione di un lavoro (6) in cui vengono resi noti i risultati delle ricerche effettuate su modello animale Zebrafish (pesce zebra). L’efficacia terapeutica dei fagi è stata misurata in base alla mortalità e alla carica batterica degli embrioni di Zebrafish, arrivando a identificare un cocktail di fagi effettivamente efficace contro l’infezione Pa nel modello FC di pesce zebra. Per quel che sappiamo, è la prima volta che la terapia con i fagi è utilizzata per studiare e trattare l’infezione da P. aeruginosa su modello animale FC.
Sottolineiamo infine l’attivazione nel 2018 di uno studio clinico (NCT03395743, ad opera di AmpliPhi Biosciences Corporation) finalizzato a fornire una terapia sperimentale con batteriofago, in uso compassionevole, per pazienti con infezioni da Pseudomonas aeruginosa gravi, per le quali non sono attualmente disponibili trattamenti alternativi e che soddisfano i criteri della Food and Drug Administration, l’ente governativo statunitense che si occupa della regolamentazione dei prodotti alimentari e farmaceutici.
1) I batteriofagi: nuova possibilità di terapia antimicrobica contro batteri resistenti agli antibiotici, Progresso di ricerca del 12/05/2009
2) www.nature.com/articles/s41591-019-0437-z
3) www.focus.it/scienza/salute/prima-paziente-curata-con-virus-batteriofagi-geneticamente-modificati
4) Chiariamoci le idee sulla terapia antibatterica con i fagi, Commento degli esperti del 27/02/2018
5) Mansura S. Mulani, Ekta E. Kamble, Shital N. Kumkar, Madhumita S. Tawre, and Karishma R. Pardesi. Emerging Strategies to Combat ESKAPE Pathogens in the Era of Antimicrobial Resistance: A Review. Front Microbiol. 2019; 10: 539. Published online 2019 Apr 1. Doi 10.3389/fmicb.2019.00539 PMCID: PMC6452778 PMID: 30988669.
6) Zebrafish come nuovo modello FC per validare la terapia fagica, Progresso di ricerca del 2/05/2019