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22 Novembre 2013

I batteri si distinguono e diversamente funzionano per i geni che contengono

Autore: Giuseppe
Domanda

Ci si avvale della genetica per lo Stafilococco e lo Pseudomonas, così come si fa per Burkholderia cepacia? Se si, che valenza ha tale approccio genetico nei confronti dell’evoluzione della patologia, della terapia e delle complicanze? Grazie per la risposta.

Risposta

Il quesito è complesso e per maggior chiarezza richiede una premessa, cioè cosa si intende per specie batterica. E’ intuitivo che quando si parla di microrganismi che si riproducono prevalentemente per via asessuata, il concetto di specie qual è emerso da studi con piante ed animali risulta evidentemente inadeguato. La migliore definizione funzionale attualmente disponibile è la seguente: “Una specie batterica è costituita da un gruppo di ceppi che mostrano un grado elevato di somiglianza fenotipica e che si distinguono da altri gruppi di ceppi correlati per un grande numero di caratteri indipendenti” (1).

Ceppi appartenenti alla stessa specie devono quindi mostrare un fenotipo simile (il “fenotipo” è l’insieme della caratteristiche chimiche, morfologiche, metaboliche, di virulenza ed altro con cui si presenta un batterio, ndr). Questo implica che all’interno di una definita specie i ceppi, pur presentando una qualche variabilità fisiologica che rispecchia l’adattamento a nicchie ambientali diverse (habitat), devono condividere una serie di caratteristiche fenotipiche che rappresentano le proprietà che caratterizzano e differenziano quella specie dalle altre.Un fenotipo simile implica un genotipo simile. In questo contesto, i ceppi appartenenti ad una stessa specie devono possedere un grado di omologia ( o somiglianza) della sequenza di nucleotidi (“i mattoncini” con cui è costruito) del loro DNA uguale o maggiore al 70%.Un altro modo più attuale per definire l’appartenenza di 2 ceppi batterici alla stessa specie è determinare la sequenza nucleotidica del gene 16S rDNA. Questo gene, che è presente in tutti i batteri dove svolge la stessa funzione, durante l’evoluzione ha presentato pochissime variazioni (si dice che è altamente conservato); pertanto è un orologio molecolare straordinario per lo studio dei rapporti di filogenesi tra i microrganismi. Ceppi appartenenti alla stessa specie devono possedere una origine evolutiva comune, di conseguenza l’omologia di sequenza dei loro geni 16S rDNA deve essere uguale o superiore al 97%. (2)

Per ogni specie descritta e validata dalla comunità scientifica internazione viene messo a disposizione un ceppo di riferimento (o ceppo type) che viene conservato in Collezioni internazionali (ad esempio la American Type Culture Collection = ATCC) e che può essere richiesto e utilizzato negli studi comparativi.

Il quesito in oggetto trova la sua pertinenza nell’osservazione che alcuni microrganismi isolati in laboratorio dalle colture di materiali clinici possono essere molto simili per l’espressione di caratteri fenotipici (morfologia delle colonie, crescita su terreni selettivi, test biochimici) ma risultare differenti alla caratterizzazione genotipica con tecniche di biologia molecolare. In altre parole, i ceppi presentano un grado di omologia genetica inferiore a quello necessario per essere classificati come appartenenti alla stessa specie (vedi sopra).

E’ emblematico il caso della Burkholderia cepacia. Burkholderia cepacia, batterio Gram negativo presente in varie nicchie ecologiche, fu isolato per la prima volta nella cipolla, dove è coinvolto nei processi di macerazione, e classificato come Pseudomonas cepacia; solo successivamente gli fu attribuita la denominazione di Burkholderia cepacia, in onore del suo scopritore W. Burkholder. Agli inizi degli anni ’90, si osservò che ceppi microbici classificati come Burkholderia cepacia costituivano un gruppo di microrganismi molto eterogeneo, con caratteristiche biologiche sia fenotipiche che genotipiche conflittuali per una classificazione tassonomica definitiva. Si comprese, allora, che Burkholderia non era un ceppo unico, ma un insieme di diverse sottospecie batteriche differenziabili in base al loro genotipo (o genomovar). L’insieme dei diversi genomovars costituisce oggi il “Burkholderia cepacia complex” (BCC). Allo stato attuale, il BCC comprende diciassette differenti specie, ma altri membri sono in attesa di classificazione, per cui il complex è sottoposto ad un continuo aggiornamento. Nei pazienti con fibrosi cistica, le diverse specie del complex hanno un differente ruolo clinico e un differente potenziale di trasmissibilità tra pazienti; in particolare, il genomovar II (Burkholderia multivorans) ma soprattutto il genomovar III (Burkholderia cenocepacia) si associano a un decorso clinico più severo. (3)

Tornando alla domanda specifica, non ci sono evidenze, invece, che isolati clinici di Pseudomonas aeruginosa e Staphylococcus aureus possano presentare nel loro genoma (insieme dei geni del batterio, ndr) differenze di entità tale da determinare l’appartenenza dei ceppi a definite sottospecie. Naturalmente, analogamente a quanto osservato per altri microrganismi in altre nicchie ecologiche, questi 2 patogeni nel microambiente polmonare del paziente con fibrosi cistica possono acquisire dall’ambiente o da altri batteri tratti più o meno lunghi di DNA e di conseguenza esprimere caratteri fenotipici nuovi, come la resistenza agli antimicrobici e/o caratteri associati alla virulenza (produzione di tossine e di pigmenti, produzione di capsula). Il DNA esogeno (che viene dall’esterno, ndr) può essere integrato nel genoma batterico oppure, come accade per i cosiddetti plasmidi, rimanere nel citoplasma della cellula, replicarsi in modo autonomo e trasferire le informazioni alla cellula ospite. I ceppi di Stafilococco aureo resistenti alla meticillina (MRSA), ad esempio, hanno acquisito ed integrato nel loro genoma un elemento genetico mobile chiamato “Staphylococcal cassette chromosome mec” (SCCmec), che porta il gene per la resistenza alla meticillina (mecA). Rispetto ai ceppi privi della “cassetta” (sensibili alla meticillina), questi stipiti sono resistenti a tutti gli antibiotici appartenenti alla classe dei beta-lattamici (penicilline e cefalosporine) e, in alcuni casi, anche ad altre molecole antimicrobiche. I dati che abbiamo a disposizione finora non sono sufficienti per definire il ruolo clinico di MRSA, e cioè se i ceppi meticillino-resistenti abbiano un impatto sul decorso della malattia peggiore rispetto ai ceppi sensibili. Alcuni studi hanno dimostrato che i pazienti con fibrosi cistica colonizzati da ceppi di MRSA ricevono più antibiotici rispetto ai pazienti colonizzati da ceppi meticillino-sensibili. (4)

Anche Pseudomonas aeruginosa, nel processo di adattamento all’ospite va incontro ad una serie di modificazioni del proprio DNA che trovano la corrispondenza nelle varianti fenotipiche (fenotipo mucoide, fenotipo rugoso, fenotipo puntiforme) che possiamo osservare dalle colture delle secrezioni respiratorie di pazienti con fibrosi cistica con colonizzazione cronica. E’ stato dimostrato che i eppi cronici di un paziente presentano a livello genetico delle significative differenze rispetto ai ceppi isolati all’esordio dell’infezione. Queste differenze, denominate mutazioni adattative, consistono in una diversa sequenza dei nucleotidi che costituiscono il filamento di DNA e sono molto importanti per la persistenza del patogeno nel polmone e la sua resistenza sia agli antibiotici che ai meccanismi del sistema immune dell’ospite. Attraverso le mutazioni adattative, il microrganismo riesce a modulare l’espressione di alcuni fattori molto importanti per procurare il danno al parenchima polmonare e a mettere in atto una strategia che favorisce la colonizzazione cronica del tratto respiratorio (5).

Alcuni ricercatori sono impegnati a studiare come le varianti fenotipiche di Pseudomonas aeruginosa influenzano il decorso clinico della malattia, con l’obiettivo finale di identificare nuovi bersagli terapeutici per il trattamento delle infezioni polmonari in fibrosi cistica (6).

(1) Rosselló-Mora R, Amann R. The species concept for prokaryotes. FEMS Microbiol Rev. 2001 Jan;25(1):39-67

(2) Soltis, D. E.; Soltis, P. S. (2003). The Role of Phylogenetics in Comparative Genetics (132): 1790-1800

(3) Vandamme P, Dawyndt P. Classification and identification of the Burkholderia cepacia complex: Past, present and future. Syst Appl Microbiol. 2011 Apr; 34(2):87-95.

(4) Muhlebach MS, Miller M, LaVange LM, Mayhew G, Goodrich JS, Miller MB. Treatment intensity and characteristics of MRSA infection in CF. J Cyst Fibros. 2011 May;10(3):201-6

(5) Lorè NI, Cigana C, De Fino I, Riva C, Juhas M, Schwager S, Eberl L, Bragonzi A. Cystic Fibrosis-niche Adaptation of Pseudomonas aeruginosa reduces virulence in multiple infection hosts. PLoS One 2012;7(4): e35648

(6) Imperi F, Massai F, Facchini M, Frangipani E, Visaggio D, Leoni L, Bragonzi A, Visca P.Repurposing the antimycotic drug flucytosine for suppression of Pseudomonas aeruginosa pathogenicity. Proc Natl Acad Sci U S A. 2013 Apr 30;110(18):7458-63

Dott.ssa Ersilia Fiscarelli. Microbiologia della Fibrosi Cistica, Children's Hospital and Research Institute Bambino Gesù, Roma


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