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16 Maggio 2018

Facilitazioni e penalizzazioni nel contratto di lavoro del Comparto Sanità: i dubbi di un medico con fibrosi cistica

Autore: Katharina
Domanda

Buongiorno. Sono un medico di 54 anni affetta da fibrosi cistica, con invalidità del 100%.
Ho una BPCO severa, sono in ossigenoterapia notturna e soffro di Insufficienza pancreatica con diabete mellito insulino-dipendente. A causa delle mie numerose assenze dal lavoro per motivi terapeutici, che purtroppo negli ultimi anni sono aumentate, sto correndo seriamente il rischio di essere penalizzata economicamente dal mio datore di lavoro se non addirittura di perdere il posto, avendo esaurito i nove mesi in tre anni di malattia a cui mi dà diritto il contratto di lavoro. Sono stata informata della possibilità di avvalermi dell’articolo 9 di cui nel titolo, ma non sono sicura e non ho nessun elemento che mi tranquillizzi sull’applicabilità dello stesso al mio caso. Mi interesserebbe sapere se siete a conoscenza di precedenti in merito e come fare per dimostrare la mia assoluta necessità ad accedere a una simile facilitazione. Preciso nel caso che sono assunta da 21 anni. In attesa di una vostra risposta, ringrazio anticipatamente.

Risposta

“Per rispondere in maniera accurata alla domanda, si è ritenuto necessario chiedere il parere dell’Ufficio Legale LIFC – avv. Nardi il quale indica, nel caso di specie, che qualora il dipendente sia affetto da una malattia grave per la quale è necessario il ricorso a terapie salvavita, come in alcune occasioni è per la FC, deve certamente applicarsi quanto previsto dal CCNL comparto Sanità, in ordine alla possibilità di escludere “dal computo delle assenze per malattia, ai fini della maturazione del periodo di comporto, i relativi giorni di ricovero ospedaliero o di day – hospital, nonché i giorni di assenza dovuti all’effettuazione delle citate terapie” (art.43 del CCNL 2018).

Approfondimento.
Volendo approfondire la definizione di terapia salvavita, sperando di fare cosa gradita al lettore, approfittiamo di quanto indicato nell’allegato 1 alla Circolare n.95/2016 dell’Inps- “Linee guida in attuazione del decreto del ministero del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il ministro della salute, 11 gennaio 2016, previsto dall’art. 25 del D. LGS. 14 settembre 2015, n. 151” – che, seppur finalizzato a stabilire le esenzioni dalla reperibilità per i lavoratori subordinati dipendenti dai datori di lavoro privati, fa un tentativo di chiarimento su cosa si intende per “terapia salvavita” (mentre per i pubblici dipendenti la tutela viene introdotta con il DPCM 18.12.2009 n. 206), distinguendola dalla definizione di “terapia vitale”, argomenti spesso poco chiari e trattati. Le Linee Guida affermano che, «….seppur ad oggi non esiste né una normativa specifica né un’elencazione statuita delle gravi patologie ovvero delle terapie con la qualificazione di “salvavita”, in senso letterale si può parlare di terapia salvavita quando vi sia un “pericolo di vita” immediato e concreto ovvero procrastinato, ma altrettanto certo o fortemente probabile: sono terapie salvavita quelle praticate in rianimazione, ma anche quelle che – se non assunte – espongono certamente alla morte. Tuttavia, in senso analogico, potrebbe diventare assimilabile alla terapia salvavita qualunque terapia che si debba assumere cronicamente, come la terapia antibiotica per le infezioni croniche o quelle immunosoppressive nei trapiantati. Non essendoci, dunque, riferimenti univoci e finalizzati alla specificità dell’argomento, un’elencazione di farmaci salvavita, men che meno di terapie ad essi assimilabili ma solo di una lista che, però, attiene ad apprezzamenti di carattere economico, nel paragrafo specifico relativo alle patologie gravi che richiedono terapie salvavita si afferma che l’unico riferimento dottrinale scevro di considerazioni contabili (che risente però dell’impossibilità di stilare un inventario nominativo dei farmaci che possono rientrare nella definizione) è quello giurisprudenziale.
In quest’ultimo ambito, ad es. con Sentenza di C. Cass. Sez. I, 11 luglio 2002, n. 26646, si è affrontato questo delicato capitolo delle cure salvavita asserendo che “è salvavita quella terapia che consente di salvare la vita al paziente … sono salvavita quelle cure indispensabili a tenere in vita la persona e, in certa misura, sono indipendenti dalla qualità intrinseca del/dei farmaco/i usati ad essere salvavita”; infatti, quel farmaco potrebbe essere salvavita nei confronti di una determinata patologia, ma non esserlo più se somministrato in caso di patologia diversa verso cui ha pur tuttavia indicazione d’uso e/o con altra posologia. Nel novero delle possibili situazioni che deve vagliare il medico certificatore, esistono anche quadri morbosi in cui è indispensabile assumere quotidianamente la prescritta dose di farmaco o pattern compositi plurifarmaco. In tal caso, la terapia – sostitutiva o curativa – assume la connotazione di “terapia vitale”, poiché se il soggetto non assumesse cronicamente e con consapevole regolarità certe terapie sostitutive/soppressive ovvero modulanti o contrastanti il quadro morboso, la stessa vita sarebbe compromessa, nella sua durata o nella sua estrinsecazione funzionale. Ben diverso concetto è quello della “terapia salvavita” dove è implicitamente esclusa ogni forma di somministrazione cronica del farmaco che, per contro, deve di necessità essere assunto episodicamente per emendare un pericolo di vita attuale e causalmente dovuto a patologia grave in atto estrinsecante il pericolo di vita o l’intensa compromissione acuta del complessivo stato di salute. Sulla base di tutte queste considerazioni, si definisce la lista di riferimento per situazioni patologiche che integrano il diritto all’esonero della fasce di reperibilità: insufficienza respiratoria acuta anche su base infettiva (…, fibrosi cistica)».”

Dott.ssa Vanessa Cori - Assistente Sociale, Lega Italiana Fibrosi Cistica Onlus


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