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27 Dicembre 2007

Come spiegare la malattia ad una bimba di 3 anni

Autore: alessandra
Domanda

La mia bambina di tre anni,ha detto alla sua insegnante di equitazione;” Sai che io sono malata,ho la fibrosi cistica e vado sempre dalla Giovanna che mi fa l’escreato”. Da quando me lo ha riferito l’insegnante, continuo a piangere;non so cosa devo fare? come devo devo parlare con la piccola?grazie

Risposta

Su quest’ argomento è già stata data una risposta “Parlare della malattia al proprio figlio” (in “Domande e Risposte” del 26/01/06), che è utile leggere per alcuni aspetti di ordine generale che vengono descritti: l’importanza di non eludere le domande; di fornire invece informazioni chiare, “graduate” e mirate a seconda dell’età di chi chiede; di affidare anche ai curanti l’informazione, comunicando loro la difficoltà che si ha nel farlo personalmente. I curanti FC esperti sanno tener conto di questo segnale lanciato dal genitore e sanno farsi carico di quello che significa, per il genitore e per il bambino.

 

In quella risposta si parla dell’informazione sulla malattia in particolare nei confronti degli adolescenti. Qui si tratta di una bambina di tre anni.L’idea che una bambina di tre anni può avere della malattia FC è soprattutto l’idea che assorbe dai suoi genitori: perchè è soprattutto a quest’età che il bambino assorbe dai genitori gli elementi fondamentali della sua personalità. Uno di questi elementi è la capacità di tollerare le difficoltà (che possono essere il dolore fisico, l’imprevisto, la negazione di un piacere come un giocattolo nuovo, avvenimenti che gli psicologi chiamano “frustrazioni”). Il bambino si adatta alle difficoltà e alle frustrazioni piccole e grandi che trova nel suo cammino di crescita con modalità che sono fortemente ispirate (se non condizionate) dalle modalità con cui i genitori a loro volta le vivono. Maggiore è nel genitore la paura, il timore, la voglia di proteggere il figlio e di non esporlo ad alcuna frustrazione, maggiore sarà la difficoltà del figlio di accettare la prova, minore la sua possibilità di sviluppare la “competenza” necessaria per superarla.

 

Quindi, prima di tutto è la mamma (e il papà) che deve chiedersi come si è adattata all’immenso dolore dato da una diagnosi di fibrosi cistica nel proprio figlio, a che punto è arrivato nel percorso possibile dell’ “accettazione” della malattia. Per fare dei passi su questa strada, che è una strada che dura tutta la vita, gli inizi sono molto duri: é importante in questa fase individuare gli strumenti, le risorse disponibili e imparare a farvi ricorso: l’affetto della famiglia, la presenza e lo scambio comunicativo con la persona/e a cui si vuol bene, la gratificazione proveniente da altre aree della vita..

 

Sono questi strumenti che permettono al genitore (e un domani anche al malato FC) l’ “elasticità” necessaria per incassare il colpo della sorte, reagire e mettere in atto capacità di recupero.(1)

Se si ha l’impressione che da soli non ce la si può fare, è importante farsi aiutare da un professionista in grado di dare un sostegno psicologico: talvolta questo aiuto fa conoscere a noi stessi, che ci crediamo solo immersi nel dolore, l’esistenza di capacità inaspettate, e induce maggior fiducia, grinta. Sono elementi fondamentali per sviluppare quella che gli americani chiamano “attitudine positiva” nei confronti della malattia FC. L’attitudine positiva è un fattore poco misurabile, ma le ricerche hanno dimostrato che influisce positivamente sull’andamento della malattia in maniera simile agli altri fattori “oggettivi”, come la presenza di uno stato nutrizionale adeguato e l’assenza di Pseudomonas.

 

Che cosa vuol dire “attitudine positiva”?

Vuol dire, se il bicchiere è mezzo pieno e mezzo vuoto, saper vedere che comunque è mezzo pieno. Vuol dire pensare che la malattia c’è , è “come uno zaino da portare sulle spalle” (1) , ma non impedisce di camminare e andare avanti.

Vuol dire “comprendere” i sintomi della malattia e avere fiducia nella possibilità di controllarli: per esempio, la parola “escreato” per una bambina di tre anni è una parola molto tecnica, che già da sé fa paura, forse si può cominciare da lì una spiegazione più alla sua portata.

Vuol dire non sentirsi impotenti: si può invece sentirsi partecipi del modellamento del “destino” facendo cose anche piccole: per esempio, se per la bambina l’escreato è questa grande prova perché non parlarne con la fisioterapista o l’infermiera e vedere di trovare un modo particolare d’aiuto?

Vuol dire integrare la malattia con gli altri aspetti della vita: la FC fa parte della vita della bambina, ma NON è la vita.

Attitudine positiva non vuol dire negare la malattia: siamo onesti, la FC è una malattia grave e già a tre anni può comportare difficoltà, visto il tempo necessario per la terapia, per i ricoveri, per le visite e per l’uso dei farmaci. Qualche volta può far sentire diversi dai piccoli coetanei. Ma coloro che sono affetti da FC sono innanzitutto bambini normali(2). Giocano, mangiano, crescono. Hanno amici e nemici. Hanno momenti belli e momenti brutti. Vanno all’asilo, vanno, come in questo caso, a scuola di equitazione, si divertono e hanno per amica l’insegnante e chiacchierano con lei .

 

1) Johannesson M et all “Survival against the odds” Journal of Cystic Fibrosis 2003; 2:46-48

2) Perobelli S et all “Conoscere la fibrosi cistica: una guida per adolescenti” edito da: Centro Regionale Fibrosi Cistica, Verona ” 2000

G. Borgo


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