Salve, sento molte persone con FC parlare di terapie antibiotiche date a cicli prestabiliti senza necessità immediata o senza avere una riacutizzazione a livello polmonare. Nel mio centro i cicli in vena sono sempre stati prescritti quando c’era un qualche fattore che scatenava un’infezione o infiammazione. Ho chiesto risposte ai miei medici su questo problema e mi hanno detto che essi sono contrari a questo tipo di trattamento, sia per il fatto che un lungo uso di antibiotici genera batteri resistenti sia per il fatto che spesso arrivano da altri centri pazienti che a seguito di queste terapie giungono al trapianto con reni distrutti. Vorrei sentire un vostro parere grazie.
La domanda del nostro interlocutore si riferisce ad un protocollo di trattamento dell’infezione cronica da Pseudomonas aeruginosa adottato ancora parecchi anni orsono dal centro CF di Copenhagen, con l’intento di tenere sotto controllo l’infezione e quindi limitare i danni di una infezione cronica da Pseudomonas aeruginosa. Quel protocollo, riservato solo ai pazienti con infezione polmonare cronica stabilizzata da Ps aeruginosa, si basava sulla somministrazione per via endovenosa per due settimane, ogni 3 o 4 mesi, di uno o due antibiotici attivi in vitro contro Pseudomonas aeruginosa. I cicli venivano eseguiti anche se il paziente non aveva segni di esacerbazione respiratoria e comunque, in caso di esacerbazione, questa veniva trattata con analoghi cicli extra. I medici del centro di Copenhagen portarono dati a sostegno della efficacia di un tale sistema: essi vantavano infatti tra i centri d’Europa la più lunga sopravvivenza dei pazienti CF. A quel tempo molti centri cominciarono a seguire il protocollo danese, ma poco alla volta l’entusiasmo per quel sistema andò sfumandosi ed oggi sono pochi i centri che continuano a praticare quel protocollo, anche perché si è diffuso da alcuni anni un sistema alternativo di trattamento dell’infezione cronica basato sulla somministrazione quotidiana (2 volte al giorno) di aerosol con tobramicina o colimicina, prevalentemente a mesi alterni, fermo restando il trattamento delle esacerbazioni con cicli endovena o per via orale (in base a sensibilità agli antibiotici e intensità dell’esacerbazione). Sull’efficacia protettiva del trattamento aerosolico continuativo vi sono studi clinici convincenti. Sul trattamento a cicli endovenosi a “scadenza prestabilita” non vi sono in realtà evidenze basate su studi clinici prospettici controllati. Il buon andamento dei pazienti danesi fu invece interpretato come dovuto al fatto che quel centro (allora l’unico della Danimarca) aveva adottato un sistema di assistenza molto accurato, forse esemplare tra i centri europei, basato su visite e controlli molto ravvicinati (in genere ogni mese), con monitoraggio intensivo dei sintomi di esacerbazione e trattamento tempestivo e immediato di ogni anche piccola riacutizzazione.
Circa la risposta dei medici di cui riferisce il nostro interlocutore, essa ha certamente qualche connotazione un po’ terroristica, che va commentata. Sappiamo che l’uso prolungato di antibiotici può favorire l’emergere di resistenze agli stessi e certamente alcuni antibiotici hanno qualche effetto collaterale tossico a livello dell’apparato uditivo e renale (gli antibiotici aminoglicosidi sono particolarmente in causa). Questi eventi sono peraltro nel complesso piuttosto limitati e quasi sempre reversibili se l’antibiotico viene impiegato con modalità e dosaggi adeguati. Quello dei pazienti che arrivano da altri centri “con i reni distrutti” a causa degli antibiotici è certamente un’espressione esagerata e terroristica, che non trova riscontro nell’esperienza comune dei centri FC.
Sul tema generale del trattamento antibiotico in FC si veda anche la domanda-risposta del 27.08.07 (Antibiotici per le infezioni polmonari in FC)