Salve, vorrei avere la vostra opinione sulla prescrizione continua degli inibitori della pompa protonica come gastroprotettori. Sono ormai decenni che mi vengono prescritti e pertanto li assumo. Nel caso di mancata dose giornaliera sviluppo una forte acidità, con sintomi da reflusso e aritmie cardiache come conseguenza. Mi chiedo però come mai questo trattamento prolungato da decenni senza intraprendere alcuna strategia che ne faccia limitare l’uso. Recentemente, tra l’altro, si parla molto dei gravi effetti collaterali che l’uso prolungato dei PPI può comportare, tra i quali le stesse infezioni polmonari. Purtroppo solo “crescendo” con questa malattia ho iniziato ad interessarmi più attivamente ai farmaci che mi sono stati prescritti. In età adolescenziale è spontaneo fidarsi ed accettare passivamente tutte le cure, mancano la maturità e le competenze (anche in età adulta se non ci si occupa di medicina) per discutere delle cure prescritte. Ad oggi non riesco più a farne a meno e credo che questa dipendenza sia dovuta proprio al fatto che per decenni non mi è mai stata interrotta la cura, forse anche quando non ce n’era bisogno. Non vorrei che una superficialità nelle prescrizioni mi abbiano causato delle irreversibilità per le quali devo solo sperare che abbia effetto collaterali controllabili. Mi chiedo se c’è un modo o qualche strategia per ripristinare un’indipendenza dai farmaci inibitori dopo anni e anni di somministrazione, se è indicato magari ruotare le molecole disponibili (e con quale tempistica) e se sono più indicati i farmaci antagonisti dei recettori H-2 in luogo dei PPI (quali sono le differenze sostanziali – da non addetto ai lavori sembrano avere la stessa funzione). Grazie per la disponibilità, cordiali saluti.
1. Assunzione continua degli inibitori della pompa protonica come gastroprotettori.
I farmaci inibitori della pompa protonica (PPI) nella FC sono stati utilizzati a lungo termine per 2 motivi:
– per indurre una maggiore efficacia degli enzimi pancreatici, teoricamente favorita dalla riduzione dell’acidità dello stomaco e del duodeno, dove gli estratti pancreatici devono agire in un ambiente non acido. In realtà questo vantaggio non è stato confermato, per cui non c’è alcun motivo di continuare a prendere PPI per questo motivo;
– una maggiore frequenza di malattia da reflusso gastroesofageo (MRGE) nella FC, favorito dalla tosse e dalla sintomatologia respiratoria soprattutto se grave. La MRGE può indurre dei problemi anche in soggetti che siano stati sottoposti a trapianto polmonare. A conferma di questo aumentato rischio di MRGE nella FC si osserva anche una maggiore frequenza di una alterazione dell’esofago presente in chi soffre di MRGE di lunga durata, cioè l’esofago di Barrett che, a sua volta, può indurre altre complicanze. La presenza di MRGE è suggerita da sintomi quali risalita di acido in gola o in bocca, bruciore o dolore dietro lo sterno che sono sufficienti a far praticare un trattamento per bloccare la produzione di acido a base di PPI. Non sono necessaire indagini se presenti questi sintomi, in quanto la valutazione della risalita di materiale acido e non acido in esofago (pH-Impedenziometria) non fornirebbe più informazioni dei sintomi avvertiti; l’esofagogastroduodenoscopia deve essere effettuata solo in caso di presenza di sangue nel vomito o di mancata risposta al trattamento o, come detto sotto, in caso di lunga durata del trattamento. In caso di beneficio i PPI possono essere mantenuti a lungo termine, ma tentativi di riduzione e sospensione devono essere effettuati vengono effettuati a meno che non sia presente un esofago di Barrett che impone di mantenere tali farmaci a tempo indeterminato.
Per quanto detto, se l’obiettivo del trattamento con PPI è stato quello di potenziare l’azione degli enzimi pancreatici, non è opportuno continuarli. Se l’indicazione al loro uso è stata la MRGE sarebbe opportuno, prima di tentare la sospensione, sottoporsi a esofagogastroduodenoscopia per escludere la presenza di un esofago di Barrett che sarebbe indicazione a continuare il trattamento.
2. Sintomi da sospensione del farmaco
La comparsa di sintomi alla sospensione non significa che sia presente una MRGE, in quanto è ben dimostrato che anche soggetti non FC e senza MRGE se assumono i PPI, alla sospensione, soprattutto se improvvisa, di questi farmaci presentano sintomi da MRGE che prima non avevano. Questo avviene perché quando si blocca la produzione di acido, un ormone che regola e stimola la produzione di acido, la gastrina, aumenta, per cui quando i PPI vengono sospesi, la gastrina induce un forte incremento di acidità dello stomaco con comparsa di sintomi provocati dall’acido, come quelli descritti. La ricomparsa, quindi, non controindica il tentativo di sospensione dei PPI, come detto appresso.
3. Effetti collaterali dell’uso protratto dei PPI
Di fatto, gli articoli che suggeriscono tale rischio sono controversi e non esenti da critiche, non essendo studi prospettici, cioè valutati dall’inizio del trattamento in avanti, e, soprattutto, non essendo studi sviluppati in maniera random, cioè assegnando il trattamento “a caso” sulla base di un “sorteggio”, per cui è molto probabile che i PPI siano stati prescritti sulla base della maggiore gravità di malattia. Per tale motivo è possibile che le persone che hanno più infezioni assumano i PPI e non, viceversa, che quelli che li assumono si facciano più infezioni. D’altra parte, anche in persone che traggano beneficio da un farmaco bisogna mettere in conto degli svantaggi e la decisione di continuare un farmaco deve discendere dal bilancio da fare tra benefici e svantaggi. Certo è che quando non ci sono indicazioni ad assumere un farmaco, l’assunzione di questo procura solo svantaggi.
4. I PPI si possono sospendere, gradualmente
Non bisogna temere che l’assunzione per lungo tempo dei PPI, magari immotivata, non consenta di sospenderli. Quanto detto sopra riguardo la relazione tra acidità dello stomaco e l’ormone che la regola, la gastrina, spiega il così detto “effetto rimbalzo” , cioè l’aumento dell’acidita’ alla sospensione dei PPI dovuto all’incremento della gastrina, nel frattempo determinato dall’uso dei PPI. È buona norma, pertanto che il farmaco venga ridotto gradualmente e ci sono esperienze in letteratura scientifica che suggeriscono degli schemi. Ad esempio, è bene dimezzare la dose per 2 settimane e poi passare la stessa a giorni alterni, poi a 2 volte la settimana e quindi sospenderli. In ogni caso bisogna mettere in conto che per la prima settimana i sintomi possano ricomparire ma successivamente il più spesso scompaiono. Se questo non avvenisse si dovrebbe riprendere il trattamento, verificando, se non fatto prima, quale sia lo stato dell’esofago e dello stomaco con endoscopia, anche per escludere l’esofago di Barrett. Un’alternativa può essere l’uso di farmaci anti-H2 anche se la loro efficacia è minore e questa può diminuire nel tempo per il così detto fenomeno della tachifilassi che si osserva con tale classe di farmaci.
Sintetizzando le risposte alle domande poste si possono trarre le seguenti conclusioni:
– verificare qual è stata l’indicazione all’uso dei PPI;
– escludere che non sia presente un esofago di Barrett sottoponendosi a endoscopia;
– in assenza di esofago di Barrett, tentare la sospensione del farmaco in accordo a quanto detto.