Si è svolto a Salerno, dal 7 al 10 novembre, il XXIV Congresso della Società Italiana Fibrosi Cistica. Erano circa 200 i partecipanti, in prevalenza giovani. Predominanti, rispetto ai medici, gli operatori di professioni alleate (infermieri e fisioterapisti soprattutto, ma anche psicologi, assistenti sociali e tecnici); importanti presenze di esperti esterni su specifiche discipline. Ravvisata notevole vivacità ed entusiasmo, nonostante il generale lamento che i Centri FC stanno perdendo personale, soprattutto vengono meno le figure tradizionali che hanno caratterizzato negli anni l’impostazione culturale e assistenziale dei Centri FC. La Società ha al suo interno gruppi di lavoro e commissioni che, in varia misura, cercano di mettere a punto linee guida e approfondimenti su tematiche emergenti di diagnosi, cura e assistenza. Deboli invece le iniziative di ricerca clinica.
Di rilievo due sessioni che sono state di particolare impatto. Una, relativa al problema delle diagnosi incerte di FC, soprattutto quelle che si riferiscono allo screening neonatale. Il prezioso servizio di screening, consente di diagnosticare la malattia vicino alla nascita, con il vantaggio di poter intervenire precocemente con le terapie, incluse presto quelle tese a correggere il difetto di base: intervenire prima che compaiano le prime manifestazioni della malattia, ed oggi siamo alle soglie di questa possibilità. Ma un alto numero di casi fatica ad arrivare presto alla conclusione diagnostica: per questi si parla di CFSPID (Cystic Fibrosis Screening Positive Inconclusive Diagnosis: diagnosi inconclusive di FC da screening neonatale positivo). Il problema ha aspetti tecnici: non basta il test del sudore e l’analisi genetica, occorre poter contare su indagini funzionali specifiche che misurino l’attività del canale CFTR. Il problema ha rilevanza anche nelle diagnosi incerte dell’età adulta. Ma su questo fronte c’è ancora parecchio lavoro da fare. E comunque questi casi riescono in genere a chiarirsi solo nel lungo termine: ciò comporta il costo prolungato, talora anche di anni, di ansia, incertezza e paura da parte dei famigliari.
Un’altra sessione, molto partecipata, ha trattato il problema delle cure palliative. Vi hanno contribuito un medico palliativista, abitualmente impegnato nel settore oncologico, ma anche un bioeticista e naturalmente medici dei centri FC. Al centro non è stato tanto l’aspetto tecnico e farmacoterapico, quanto quello dei comportamenti assistenziali ed etici in rapporto alla persona malata e alla famiglia. Questa sessione ha permesso di spaziare sulla peculiarità dell’alleanza terapeutica tra la persona con FC e gli operatori sanitari, che inizia molto presto, con la presa in carico fin dalla diagnosi, e caratterizza la positività del servizio alla Persona e alla sua vita. Un’occasione di forte riflessione sul ruolo della medicina, che per i malati con FC presenta sfide peculiari e sollecita nuove modalità formative degli operatori sanitari.