Echi dal 18° Seminario di Primavera FFC – Domande e Risposte PARTE II
3 Agosto 2020
Autore: L. Minicucci e G. Borgo
MUTAZIONI CFTR ORFANE DI TERAPIA
Interazione fra ricercatori, clinici e persone con FC
– Trovate che in Italia ci sia sufficiente scambio tra ricercatori, clinici e pazienti? Anche a livello psicologico i pazienti trarrebbero grande benefico dal sentirsi coinvolti in un più strutturano e personalizzato percorso di informazione e progettualità. (Eleonora C.)
La partecipazione dei pazienti alla ricerca riferita alla patologia che li riguarda, è argomento di grande importanza, che supera certamente i confini del problema “correzione farmacologica della proteina CFTR per le mutazioni orfane”. In tutti i campi della ricerca, infatti, l’aiuto di chi è direttamente coinvolto nei risultati raggiungibili dai ricercatori può essere un contributo importante all’organizzazione della ricerca stessa e alla scelta delle sue priorità.
In Italia, per molte ragioni, la strada da fare in questo campo è ancora lunga. Certamente, la persona con la malattia, vivendo sintomi ed effetti dei farmaci sulla propria pelle, può fornire riscontri che nessun altro è in grado di dare, e di cui ricercatori e medici fanno bene a tener conto. D’altro canto, per poter valutare con maggior potere critico le proposte della ricerca, il malato deve acquisire alcune conoscenze e competenze, in grado di qualificarlo come “aziente esperto”, ruolo già presente negli organismi associativi di qualche paese europeo. Sarebbe necessario organizzare dei percorsi formativi ad hoc per coloro che volessero intraprendere questa strada. Comunque esistono già ad oggi esperienze in merito al coinvolgimento del “paziente esperto” nel campo della ricerca in Fibrosi Cistica, anche in Italia. Si veda a questo riguardo il progetto IPACOR (Italian Patient-Centered Outcomes Research), che è frutto della collaborazione tra la Lega Italiana Fibrosi Cistica (LIFC) e la Società Italiana Fibrosi Cistica (SIFC) e che è nato con l’obbiettivo di sviluppare una sinergia tra medici, ricercatori e persone con la malattia, per fornire risposte concrete anche nell’ambito del miglioramento della qualità della vita, oltre che della durata. Un interessante Progresso di ricerca su questo argomento è presente nel sito (1).
A che punto è la ricerca per le mutazioni diverse da F508del
– Per chi non ha la mutazione F508del, ci sono studi per altri farmaci? (Marco V.)
Ad oggi, una terapia con modulatori CFTR-mirata, ha trovato una risposta soddisfacente, nel campo della ricerca, per i pazienti portatori di una o due mutazioni F508del; per i pazienti portatori delle mutazioni gating di classe 3; per i pazienti con mutazioni con funzione residua di classe 4 e 5. Alcune stime basate sui dati del Registro Nazionale FC ci fanno supporre che i pazienti in Italia ad oggi privi di un farmaco modulatore di CFTR, siano circa 1300, numero assai considerevole. Il gruppo più numeroso è costituito da coloro che hanno nel genotipo una mutazione stop (e come seconda mutazione una diversa da F508del). Per queste mutazioni è in corso un trial di fase 2, che riguarda un composto (ELX-02) sperimentato sulla stop più comune (G542X). Sempre per le mutazioni stop, è inoltre in corso uno studio di fase 4, che indaga l’effetto del modulatore Symdeko, già in uso per altri tipi di mutazione, sulla mutazione stop che è seconda per frequenza: W1282X.
– Il composto ELX-02 è una novità della ricerca? (Maria G.F.)
Sì, è una nuova molecola, la cui composizione e probabile meccanismo d’azione sono descritti nella risposta citata sotto (1). Il trial clinico di fase 2 che ne sta sperimentando efficacia e sicurezza (ancora su piccolo numero di malati), era stato sospeso per le misure anti-Covid ed è stato da poco ripreso. I malati inclusi sono portatori di almeno una copia della mutazione G542X, la più frequente delle mutazioni stop, ma l’attesa è che i risultati permettano di estendere questo farmaco anche a tutte le altre mutazioni stop. ELX-02 ha elevata affinità per le unità cellulari (ribosomi) in cui vengono fabbricate tutte le proteine, fra cui CFTR. A livello dei ribosomi, per effetto di ELX-02, la sintesi di CFTR, che sarebbe interrotta dalla mutazione stop, viene riavviata e condotta a termine. I dati preliminari confermano un profilo farmacocinetico molto favorevole e adatto ai pazienti FC, tanto da far ipotizzare un suo uso mediante due somministrazioni alla settimana o una singola quotidiana per via sottocutanea.
– Si possono fare previsioni sui tempi per l’utilizzo del farmaco Kalydeko nei pazienti con mutazioni con funzione residua? (Giulia R.)
Le mutazioni con funzione residua (RFM, Residual Function Mutation) portano alla sintesi di una proteina CFTR difettosa, ma con un residuo di funzionamento del canale per il cloro. Appartengono alle classi 4 e 5. In Italia, secondo i dati del Registro Nazionale Fibrosi Cistica, circa il 15% dei pazienti ha almeno una RFM. In USA l’agenzia regolatoria per i farmaci (FDA) ha approvato l’uso di Kalideko (Ivacaftor) per i pazienti di età superiore a 1 anno di età, che siano portatori di almeno una di 23 MRF (A455E, E193K, R117C, A1067T, F1052V, R347H, D110E, F1074L, R352Q, D110H, G1069R, R1070Q, D579G, K1060T, R1070W, D1152H, L206W, S945L, D1270N, P67L, S977F, E56K, R74W). L’approvazione ha seguito un percorso abbastanza inusuale, non essendo stato basato sui risultati di trial clinici controllati, ma solo su prove di efficacia condotte in laboratorio. In Europa l’agenzia regolatoria EMA non ha approvato il farmaco con così ampia estensione di indicazioni e l’ha ristretto a 9 mutazioni con difetto di “gating”, di classe 3 (G551D, G1244E, G1349D, G178R, G551S, S1251N, S1255P, S549N, S549R) e alla mutazione R117H. Lo stesso ha fatto AIFA in Italia, lasciando quindi fuori le RMF (1). Perciò, attualmente in Italia Kalydeco viene fornito ad un malato con una RFM solo con la modalità “compassionevole”, cioè prescritto dal Centro di cura e fornito gratuitamente dall’azienda produttrice quando è ritenuto farmaco assolutamente indispensabile per la vita del singolo malato. AIFA ha ricevuto numerose sollecitazioni per esaminare il problema, fra cui un’interessante indagine epidemiologica sulle condizioni cliniche dei soggetti FC con almeno una RMF in Italia (2), ma purtroppo fino ad oggi niente è cambiato.
1) Tabella dei farmaci modulatori CFTR 2) Salvatore D, Padoan R, Buzzetti R, Amato A, Giordani B, Ferrari G, Majo F “Patients with cystic fibrosis having a residual function mutation: Data from the Italian Registry”. PediatrPulmonol. 2019 Feb;54(2):150-157. doi: 10.1002/ppul.24215. Epub 2018 Dec 18
Come si muove la ricerca per le mutazioni che non hanno ancora un farmaco e sono mutazioni rare, oppure nemmeno conosciute
Per mutazioni meno comuni, la ricerca sta puntando sui test basati su prelievi detti ex vivo. Nuovi modulatori CFTR o modulatori già in uso per altre mutazioni vengono sperimentati sulle cellule della mucosa nasale o intestinale prelevate dai singoli pazienti. In alcune iniziative in corso, se viene raccolto un numero sufficiente di malati, questi entrano in uno studio clinico controllato per sperimentare il farmaco, vecchio o nuovo, che è risultato attivo sulle cellule. In altri casi molto particolari, il risultato positivo del test sulle cellule può spingere il medico ad usare direttamente nel malato un certo farmaco.
Sono inoltre allo studio strategie terapeutiche che mirano a risolvere il problema della malattia FC in tutti i soggetti, indipendentemente dal tipo di mutazione di cui sono portatori. Le varie strade aperte sono rappresentate dalla ricerca di modulatori efficaci su tutte le mutazioni, di composti che agiscono indipendentemente dal canale CFTR e di nuove molecole trasportatrici di ioni (ionofori) in grado di facilitare il trasporto di ioni attraverso la membrana cellulare.
Sono, infine, oggetto di ricerca corrente le tecniche di genetica finalizzate a correggere la mutazione all’interno delle cellule (gene editing), per permettere la sintesi di una proteina CFTR funzionante.
– A che punto si trova la ricerca sulla mutazione N1303K? (Serena S.)
La mutazione N1303K è una mutazione CFTR di classe 2 (quindi con difetto di maturazione) ed è abbastanza spesso associata a una forma severa di malattia con insufficienza pancreatica. La prevalenza in Italia è discretamente elevata (presente circa nel 6,5 % di tutti i cromosomi FC), ma complessivamente rara nel mondo. La ricerca è attualmente orientata verso studi ex vivo, che testano nuovi e vecchi composti su cellule dei pazienti stessi. Questo, perché nonostante la N1303K appartenga alla stessa classe mutazionale di F508del, attraverso gli studi fatti sembra essere una mutazione particolarmente difficile da trattare, perciò si ricorre a vari tentativi (ancora sperimentali) per indagare se risponde a farmaci già in commercio o combinazione di farmaci.
– Non sono mai state citate le mutazioni di splicing e frameshift, alcune delle quali sono anche abbastanza diffuse (Giuseppe O.)
Le mutazioni con difetto di splicing possono comportare un difetto importante nella sintesi della proteina CFTR e rientrare nella classe 1 delle mutazioni: per queste non vi è ancora un trattamento farmacologico pronto e c’è bisogno di molta ricerca. Se invece comportano un difetto meno importante (in pratica una riduzione nella quantità della proteina prodotta, che però funziona) rientrano nel gruppo delle mutazioni con funzione residua (es: 3849+10kbC->T, la più frequente in Italia, classe 5 delle mutazioni) e si sa che potrebbero rispondere alla terapia con Kalydeco (leggere sopra la risposta per le mutazioni con funzione residua).
Le mutazioni frameshift sono ancora un bel rompicapo (sono attribuite alla classe 1 delle mutazioni), perché hanno un difetto molecolare importante, cioè lo scorrimento della cornice di lettura del messaggio genetico, che rende difficile trovare un farmaco adatto a trattarle tutte insieme. È possibile che a seconda del difetto mutazionale individuale si possa saggiare con test ex-vivo farmaci o combinazioni di farmaci già in commercio. Oppure che si debbano aspettare le proposte di interventi di gene editing, che al momento sono ancora a livello di ricerca di base.
– Mutazioni particolari per le quali sono chieste informazioni: R347P; 621+1G>T; 2183AA->G; DEL 23 (21KB); F311; R764X; R104X; I507del. (Giuseppe O., Barbara L., Giulia, Gigi R., e altri)
Per tutti gli interpellanti, il consiglio di chiedere informazioni al medico del centro di riferimento, che può conoscere meglio la situazione personale e integrarla con la risposta del laboratorio che ha identificato la mutazione.
La mutazione R347P appartiene alla classe 4 ed è quindi una mutazione con funzione residua (si veda sopra).
R764X, R104X sono mutazioni stop, si rimanda a quanto scritto sopra. Si può dire, per riconoscere le stop, che sono quelle mutazioni che hanno nella sigla una X finale.
I507del: si prega leggere la risposta Nuove terapie e mutazione I507del, 22/01/2020.
F311: Mutazione molto rara di cui non abbiamo trovato informazioni; citata nel database genet.sickkids.on.ca, ma non in cftr2.org. Scoperta nel 1991 da un gruppo di ricerca tedesco (Università di Monaco), di seguito la pubblicazione che dà notizia della scoperta: Meitinger T, Golla A, Dörner C et al. ”In frame deletion (delta F311) within a short trinucleotide repeat of the first transmembrane region of the cystic fibrosis gene”. Hum Mol Genet. 1993 Dec;2(12):2173-4.
Del23(21kb): probabilmente delezione dell’esone 23, quindi mutazione da grande riarrangiamento. Alcune mutazioni da grande riarrangiamento rientrano nella lista delle mutazioni con funzione minima, trattabili con un farmaco solo se accompagnate da F508del.
2183AA->G: mutazione che rientra nell’elenco delle mutazioni definite con funzione minima, trattabili con un farmaco se accompagnate da F508del.
A che punto sono i test ex vivo?
– Come vengono selezionati i soggetti per gli studi ex vivo? Grazie! (Chiara G.I.)
– Gli studi ex vivo proseguono anche in qualsiasi periodo di coronavirus oppure sono stati sospesi? (Giulia R.)
– Chi è che monitora la compatibilità fra la singola mutazione o delezione e gli studi in corso, per capire se ci sono risultati utili per ciascun paziente? (Barbara L.)
– Come fa un paziente ad essere eletto per uno studio ex vivo? quali sono i criteri? (Giuliana G.)
– Rispetto alla medicina personalizzata, con l’utilizzo di organoidi è già utilizzata? Dove potremo informarci per poter aderire? Nel Centro di Firenze è già attiva? (Marco V.)
– Il “brushing” nasale verrà esteso a tutti i pazienti malati o solo in base al loro quadro clinico? (Claudia N.)
– Il test ex vivo sarà poi possibile per tutti i malati, per prevedere i benefici del farmaco candidato a livello dei tessuti? (Claudia N.)
I test ex-vivo non sono ancora entrati nell’uso applicativo corrente. Vi entreranno probabilmente nel giro di tempi abbastanza brevi, tanto più brevi quanto più velocemente procederanno le ricerche in corso, che mirano a standardizzare i metodi di esecuzione e quindi l’interpretazione della risposta. In Italia, a Napoli, Verona, Genova e Roma ci sono laboratori già molto attivi in questo campo. Non sono test ancora entrati nella routine, vengono ancora eseguiti prevalentemente a scopo di ricerca in casi molto particolari e selezionati, decisi di comune accordo fra il medico del centro FC e il laboratorio. Non si può escludere però che ciò che in un soggetto viene fatto a scopo di ricerca abbia ricadute pratiche: se il test ex-vivo dimostra che un certo farmaco funziona, anche se non è ufficialmente indicato per le mutazioni di quel soggetto, il medico tiene conto di questo risultato. Si può leggere a questo proposito quanto avvenuto nei primi mesi dell’anno per una bambina del centro FC di Firenze (1).
Naturalmente, i laboratori italiani sono in stretto collegamento con laboratori e centri di ricerca internazionali. Può succedere quindi che questi secondi chiedano collaborazione per raccogliere un certo numero di pazienti con una certa mutazione rara oggetto dei loro studi. C’è un programma europeo chiamato HIT-CF che ha realizzato organoidi intestinali di pazienti con genotipi (=combinazioni di mutazioni) rari, provenienti da sedici diversi Paesi europei. È un consorzio di ricerca che coinvolge ECFS (Società Europea Fibrosi Cistica), Cystic Fibrosis Europe (Federazione delle Associazioni di persone con malattia FC e loro familiari presenti in 39 paesi europei), università europee e grandi industrie farmaceutiche. Si possono trovare informazioni al sito hitcf.org/for-patients.
C’è il CFIT (Cystic Fibrosis Individual Therapy) che è invece frutto della collaborazione fra Cystic Fibrosis Canada e il Sick Kids Hospital di Toronto; ha creato una biobanca di cellule epiteliali nasali e cellule staminali ematiche per il saggio di farmaci nuovi o già in uso, chiedendo collaborazione anche a pazienti di centri italiani. L’attenzione è in particolare sulle mutazioni più rare o per ora più difficili da trattare farmacologicamente. In particolare i ricercatori hanno cercato di arruolare malati omozigoti per le mutazioni 621+1G–T, 711+1G–T, G85E, M1101K, W1282X, G542X, R334W, N1303K.
Si attendono informazioni sui risultati di queste iniziative nei prossimi congressi internazionali: quello europeo doveva tenersi ai primi di giugno ed è stato rimandato, causa pandemia Covid, al 24-25 settembre ( inversione digitale: ecfs.eu. Quello nord-americano si terrà sempre con la stessa modalità il 21-23 ottobre 2020: nacfconference.org/.
(Risposte a cura di dott. Laura Minicucci e dott. Graziella Borgo)
UNO SGUARDO AL FUTURO: GENE EDITING E STAMINALI IN FIBROSI CISTICA
– Cosa ne pensate della tecnica delle staminali che stanno sperimentando per trattare i danni polmonari del Covid e se potrebbe essere applicata ai soggetti con FC. (Rachele S.)
L’ipotesi di per sé è affascinante: le cellule staminali presenti nel tessuto polmonare del malato FC andrebbero identificate, prelevate, corrette per il loro difetto genetico con tecniche di gene editing (correzione genica); a quel punto, dotate di gene CFTR normale, andrebbero reinfuse, fatte replicare e differenziare nelle cellule che rivestono il lume dei bronchi (sono cellule epiteliali secernenti), tipicamente interessate dalla malattia. Potrebbero così normalizzare le secrezioni bronchiali, prevenendo altri sintomi e l’evoluzione della malattia polmonare; inoltre potrebbero svolgere anche azione di rigenerazione del tessuto stesso, se danneggiato dalle infezioni e dall’infiammazione di base. Ma i vari passaggi di questo complesso procedimento sono ancora in una fase esplorativa, del tutto sperimentale.
Siccome l’interesse è alto, molti gruppi di ricerca vi stanno lavorando. Agli inizi dell’anno ricercatori dell’Università di Stanford (California) (1) hanno dimostrato in vitro che cellule staminali prelevate dalla cavità nasale del malato FC, una volta corrette geneticamente con tecnica CRISPR/Cas9, producono proteina CFTR funzionante e possono evolvere in cellule dell’epitelio respiratorio. Un indubbio successo, con alcuni quesiti aperti: come fare a reinfondere le staminali nasali e farle attecchire nei bronchi FC? Questi bronchi presentano condizioni ostili alla loro penetrazione, perché ricoperti di muco e cellule infiammatorie. Quante infusioni sarebbero necessarie? E la cellula finale sarebbe effettivamente una cellula dell’epitelio bronchiale, visto che la cellula d’origine proviene dall’epitelio nasale?
In sostanza, il fatto che il difetto del polmone FC sia espresso soprattutto nell’epitelio bronchiale non lo rende un bersaglio facile (2). Per contro, il danno d’organo provocato dall’infezione da Sars-Cov-2 si esplica soprattutto a livello del tessuto connettivale interstiziale, quello che fa da sostegno e connessione fra altri tipi di cellule, soprattutto le cellule degli alveoli, le parti terminali dei bronchioli deputate a depurare il sangue dalla CO2 e fornirlo di O2. Le cellule che danno origine al connettivo si chiamano fibroblasti e oggi sappiamo che possono essere generate con relativa facilità da cellule staminali dette mesenchimali (Mesenchimal StemCells, MSC), prelevabili da tessuti più facilmente raggiungibili (tessuto adiposo, midollo osseo) o disponibili presso biobanche (in questo caso sono soprattutto derivate da cordone ombelicale). Quindi c’è in partenza maggiore facilità di recupero, replicazione in coltura e differenziazione nel tipo di cellula richiesta.
Inoltre va sottolineato che nelle sperimentazioni cliniche condotte in Cina ma anche nel Regno Unito (3,4), l’infusione di MSC è stata sfruttata non tanto per l’effetto rigenerante tissutale, ma per la forte capacità di modulare l’attività del sistema immunitario, producendo importanti citochine (proteine) con azione antinfiammatoria. Poichè l’infezione da Sars-CoV-2 provoca, per ragioni ancora sconosciute, un’esagerata reazione infiammatoria a livello del tessuto interstiziale polmonare, è verosimile pensare all’uso di MSC che colpiscono questa infiammazione. Nei trial clinici condotti (di cui non si conosce ancora il risultato ufficiale), le MSC sono state ripetutamente iniettate per via endovenosa in carica massiccia e, secondo quanto riferito, si sono concentrate nel polmone con effetti positivi. Abbiamo trovato però anche segnalazione di un trial clinico dove sono state somministrate per via aerosolica (5). Tutto questo ci porta a concludere che le ricerche sulle staminali contro il Covid potranno portare conoscenze utili anche in campo FC.
– Una curiosità: c’è la possibilità che venga utilizzata/è già in utilizzo la tecnica di CRISPR-Cas9? Grazie! (Miriam C.)
Nel campo della fibrosi cistica la tecnica di CRISPR-Cas9 è oggetto di studio ancora solo preclinico (1). FFC ha finanziato un progetto di ricerca che ha dimostrato la possibilità di correggere in vitro e in organoidi di soggetti con FC alcune mutazioni di tipo splicing del gene CFTR (2). Un altro progetto preclinico è in corso ed ha come obbiettivo la neutralizzazione della più comune F508del (3).
C’è da segnalare che le uniche malattie genetiche per cui CRISPR-Cas9 è arrivato ad una inizialissima sperimentazione clinica sono la beta-talassemia (anemia mediterranea) e l’anemia a cellule falciformi. In queste malattie i globuli rossi contengono un’emoglobina difettosa per una mutazione del gene che la produce. È stato avviato nel 2018, con arruolamento di 45 soggetti con forme gravi di beta-talassemia o di anemia falciforme, un trial di fase 1-2, mirato a dimostrare sicurezza ed efficacia di una singola dose di cellule staminali emopoietiche (destinate a dare origine ai globuli rossi del sangue) prelevate dal midollo osseo del malato. Queste staminali vengono corrette geneticamente con CRISPR-Cas9 e quindi reinfuse (attraverso catetere venoso centrale), al fine di ripopolare il midollo e far sì che produca globuli rossi con emoglobina normale. Il trial si dovrebbe concludere nel 2022 (4,5).
Per la beta-talassemia è già stata approvata nel 2019 da EMA una strategia che prevede l’uso della terapia genica “classica” (il prodotto autorizzato si chiama Zynteglo, viene praticata un’unica somministrazione in malati altamente selezionati). E’ necessario il prelievo di staminali del malato che vengono trattate con un virus vettore che trasporta al loro interno l’intero gene normale dell’emoglobina (6,7). Questo gene affianca quello mutato e l’effetto che si ottiene dovrebbe essere circa lo stesso di quello del gene editing, dove viene corretto solo il frammento di DNA presente nel gene mutato. Sono in corso studi ulteriori di conferma dell’efficacia clinica dopo l’autorizzazione ufficiale di EMA.
– Oltre il gene editing, è contemplata la possibilità di utilizzare CAR-T in fibrosi cistica?
(Giorgia G.)
Le “CAR-T” (acronimo dall’inglese Chimeric Antigen Receptor T cell therapies ovvero Terapie a base di cellule T esprimenti un Recettore Chimerico per antigene) sono nuove terapie personalizzate usate contro alcuni tumori del sangue (leucemie, linfomi) (1). Sono considerate terapie geniche poichè agiscono attraverso l’inserzione di materiale genetico all’interno di un importante famiglia di cellule immunitarie, i linfociti T. Una volta prelevati dal sangue del malato, questi linfociti vengono “ingegnerizzati” e poi reinfusi. La modifica genetica consiste nell’introdurre il gene che porta alla sintesi della proteina CAR (Recettore dell’Antigene Chimerico) che, una volta arrivata sulla membrana della cellula, è in grado di riconoscere un antigene specifico presente sulla superficie delle cellule tumorali e legarsi ad esse per distruggerle.
Non esiste un razionale per l’uso di questa tecnica in fibrosi cistica. Nel malato tutte le cellule, per esempio, dell’epitelio bronchiale sono uguali e tutte contengono il gene CFTR mutato. Quello che è importante riconoscere è il frammento di DNA mutato all’interno del gene CFTR presente nella cellula. Questo riconoscimento viene realizzato attraverso la tecnica CRISPR-Cas9.
CRISPR-Cas 9 si può considerare un pacchetto di intervento, che comprende un grosso supporto costituito da sequenze di DNA, un enzima che fa da forbice (Cas9) e un RNA guida. Questo pacchetto deve essere introdotto all’interno della cellula dove, sotto la guida dell’RNA, la forbice viene diretta verso il frammento del gene CFTR che è mutato, per tagliarlo e lasciar spazio all’inserimento di quello corretto. L’RNA-guida è capace di riconoscere il frammento mutato anche quando è costituito da poche basi (acidi nucleici), fra circa 3 miliardi di altre basi che costituiscono il nostro DNA.
Echi dal 18° Seminario di Primavera FFC – Domande e Risposte PARTE II
Interazione fra ricercatori, clinici e persone con FC
– Trovate che in Italia ci sia sufficiente scambio tra ricercatori, clinici e pazienti? Anche a livello psicologico i pazienti trarrebbero grande benefico dal sentirsi coinvolti in un più strutturano e personalizzato percorso di informazione e progettualità. (Eleonora C.)
La partecipazione dei pazienti alla ricerca riferita alla patologia che li riguarda, è argomento di grande importanza, che supera certamente i confini del problema “correzione farmacologica della proteina CFTR per le mutazioni orfane”. In tutti i campi della ricerca, infatti, l’aiuto di chi è direttamente coinvolto nei risultati raggiungibili dai ricercatori può essere un contributo importante all’organizzazione della ricerca stessa e alla scelta delle sue priorità.
In Italia, per molte ragioni, la strada da fare in questo campo è ancora lunga. Certamente, la persona con la malattia, vivendo sintomi ed effetti dei farmaci sulla propria pelle, può fornire riscontri che nessun altro è in grado di dare, e di cui ricercatori e medici fanno bene a tener conto. D’altro canto, per poter valutare con maggior potere critico le proposte della ricerca, il malato deve acquisire alcune conoscenze e competenze, in grado di qualificarlo come “aziente esperto”, ruolo già presente negli organismi associativi di qualche paese europeo. Sarebbe necessario organizzare dei percorsi formativi ad hoc per coloro che volessero intraprendere questa strada. Comunque esistono già ad oggi esperienze in merito al coinvolgimento del “paziente esperto” nel campo della ricerca in Fibrosi Cistica, anche in Italia. Si veda a questo riguardo il progetto IPACOR (Italian Patient-Centered Outcomes Research), che è frutto della collaborazione tra la Lega Italiana Fibrosi Cistica (LIFC) e la Società Italiana Fibrosi Cistica (SIFC) e che è nato con l’obbiettivo di sviluppare una sinergia tra medici, ricercatori e persone con la malattia, per fornire risposte concrete anche nell’ambito del miglioramento della qualità della vita, oltre che della durata. Un interessante Progresso di ricerca su questo argomento è presente nel sito (1).
1) Le priorità della ricerca sulla fibrosi cistica in UK, US, Italia e Olanda, Progresso di ricerca, 1/08/2019
A che punto è la ricerca per le mutazioni diverse da F508del
– Per chi non ha la mutazione F508del, ci sono studi per altri farmaci? (Marco V.)
Ad oggi, una terapia con modulatori CFTR-mirata, ha trovato una risposta soddisfacente, nel campo della ricerca, per i pazienti portatori di una o due mutazioni F508del; per i pazienti portatori delle mutazioni gating di classe 3; per i pazienti con mutazioni con funzione residua di classe 4 e 5. Alcune stime basate sui dati del Registro Nazionale FC ci fanno supporre che i pazienti in Italia ad oggi privi di un farmaco modulatore di CFTR, siano circa 1300, numero assai considerevole. Il gruppo più numeroso è costituito da coloro che hanno nel genotipo una mutazione stop (e come seconda mutazione una diversa da F508del). Per queste mutazioni è in corso un trial di fase 2, che riguarda un composto (ELX-02) sperimentato sulla stop più comune (G542X). Sempre per le mutazioni stop, è inoltre in corso uno studio di fase 4, che indaga l’effetto del modulatore Symdeko, già in uso per altri tipi di mutazione, sulla mutazione stop che è seconda per frequenza: W1282X.
– Il composto ELX-02 è una novità della ricerca? (Maria G.F.)
Sì, è una nuova molecola, la cui composizione e probabile meccanismo d’azione sono descritti nella risposta citata sotto (1). Il trial clinico di fase 2 che ne sta sperimentando efficacia e sicurezza (ancora su piccolo numero di malati), era stato sospeso per le misure anti-Covid ed è stato da poco ripreso. I malati inclusi sono portatori di almeno una copia della mutazione G542X, la più frequente delle mutazioni stop, ma l’attesa è che i risultati permettano di estendere questo farmaco anche a tutte le altre mutazioni stop. ELX-02 ha elevata affinità per le unità cellulari (ribosomi) in cui vengono fabbricate tutte le proteine, fra cui CFTR. A livello dei ribosomi, per effetto di ELX-02, la sintesi di CFTR, che sarebbe interrotta dalla mutazione stop, viene riavviata e condotta a termine. I dati preliminari confermano un profilo farmacocinetico molto favorevole e adatto ai pazienti FC, tanto da far ipotizzare un suo uso mediante due somministrazioni alla settimana o una singola quotidiana per via sottocutanea.
1) Il composto ELX-02 per il trattamento delle mutazioni stop supera le prove su organoidi e trial clinico di fase I, Progresso di ricerca, 14/06/2019
– Si possono fare previsioni sui tempi per l’utilizzo del farmaco Kalydeko nei pazienti con mutazioni con funzione residua? (Giulia R.)
Le mutazioni con funzione residua (RFM, Residual Function Mutation) portano alla sintesi di una proteina CFTR difettosa, ma con un residuo di funzionamento del canale per il cloro. Appartengono alle classi 4 e 5. In Italia, secondo i dati del Registro Nazionale Fibrosi Cistica, circa il 15% dei pazienti ha almeno una RFM. In USA l’agenzia regolatoria per i farmaci (FDA) ha approvato l’uso di Kalideko (Ivacaftor) per i pazienti di età superiore a 1 anno di età, che siano portatori di almeno una di 23 MRF (A455E, E193K, R117C, A1067T, F1052V, R347H, D110E, F1074L, R352Q, D110H, G1069R, R1070Q, D579G, K1060T, R1070W, D1152H, L206W, S945L, D1270N, P67L, S977F, E56K, R74W). L’approvazione ha seguito un percorso abbastanza inusuale, non essendo stato basato sui risultati di trial clinici controllati, ma solo su prove di efficacia condotte in laboratorio. In Europa l’agenzia regolatoria EMA non ha approvato il farmaco con così ampia estensione di indicazioni e l’ha ristretto a 9 mutazioni con difetto di “gating”, di classe 3 (G551D, G1244E, G1349D, G178R, G551S, S1251N, S1255P, S549N, S549R) e alla mutazione R117H. Lo stesso ha fatto AIFA in Italia, lasciando quindi fuori le RMF (1). Perciò, attualmente in Italia Kalydeco viene fornito ad un malato con una RFM solo con la modalità “compassionevole”, cioè prescritto dal Centro di cura e fornito gratuitamente dall’azienda produttrice quando è ritenuto farmaco assolutamente indispensabile per la vita del singolo malato. AIFA ha ricevuto numerose sollecitazioni per esaminare il problema, fra cui un’interessante indagine epidemiologica sulle condizioni cliniche dei soggetti FC con almeno una RMF in Italia (2), ma purtroppo fino ad oggi niente è cambiato.
1) Tabella dei farmaci modulatori CFTR
2) Salvatore D, Padoan R, Buzzetti R, Amato A, Giordani B, Ferrari G, Majo F “Patients with cystic fibrosis having a residual function mutation: Data from the Italian Registry”. PediatrPulmonol. 2019 Feb;54(2):150-157. doi: 10.1002/ppul.24215. Epub 2018 Dec 18
Come si muove la ricerca per le mutazioni che non hanno ancora un farmaco e sono mutazioni rare, oppure nemmeno conosciute
Per mutazioni meno comuni, la ricerca sta puntando sui test basati su prelievi detti ex vivo. Nuovi modulatori CFTR o modulatori già in uso per altre mutazioni vengono sperimentati sulle cellule della mucosa nasale o intestinale prelevate dai singoli pazienti. In alcune iniziative in corso, se viene raccolto un numero sufficiente di malati, questi entrano in uno studio clinico controllato per sperimentare il farmaco, vecchio o nuovo, che è risultato attivo sulle cellule. In altri casi molto particolari, il risultato positivo del test sulle cellule può spingere il medico ad usare direttamente nel malato un certo farmaco.
Sono inoltre allo studio strategie terapeutiche che mirano a risolvere il problema della malattia FC in tutti i soggetti, indipendentemente dal tipo di mutazione di cui sono portatori. Le varie strade aperte sono rappresentate dalla ricerca di modulatori efficaci su tutte le mutazioni, di composti che agiscono indipendentemente dal canale CFTR e di nuove molecole trasportatrici di ioni (ionofori) in grado di facilitare il trasporto di ioni attraverso la membrana cellulare.
Sono, infine, oggetto di ricerca corrente le tecniche di genetica finalizzate a correggere la mutazione all’interno delle cellule (gene editing), per permettere la sintesi di una proteina CFTR funzionante.
– A che punto si trova la ricerca sulla mutazione N1303K? (Serena S.)
La mutazione N1303K è una mutazione CFTR di classe 2 (quindi con difetto di maturazione) ed è abbastanza spesso associata a una forma severa di malattia con insufficienza pancreatica. La prevalenza in Italia è discretamente elevata (presente circa nel 6,5 % di tutti i cromosomi FC), ma complessivamente rara nel mondo. La ricerca è attualmente orientata verso studi ex vivo, che testano nuovi e vecchi composti su cellule dei pazienti stessi. Questo, perché nonostante la N1303K appartenga alla stessa classe mutazionale di F508del, attraverso gli studi fatti sembra essere una mutazione particolarmente difficile da trattare, perciò si ricorre a vari tentativi (ancora sperimentali) per indagare se risponde a farmaci già in commercio o combinazione di farmaci.
– Non sono mai state citate le mutazioni di splicing e frameshift, alcune delle quali sono anche abbastanza diffuse (Giuseppe O.)
Le mutazioni con difetto di splicing possono comportare un difetto importante nella sintesi della proteina CFTR e rientrare nella classe 1 delle mutazioni: per queste non vi è ancora un trattamento farmacologico pronto e c’è bisogno di molta ricerca. Se invece comportano un difetto meno importante (in pratica una riduzione nella quantità della proteina prodotta, che però funziona) rientrano nel gruppo delle mutazioni con funzione residua (es: 3849+10kbC->T, la più frequente in Italia, classe 5 delle mutazioni) e si sa che potrebbero rispondere alla terapia con Kalydeco (leggere sopra la risposta per le mutazioni con funzione residua).
Le mutazioni frameshift sono ancora un bel rompicapo (sono attribuite alla classe 1 delle mutazioni), perché hanno un difetto molecolare importante, cioè lo scorrimento della cornice di lettura del messaggio genetico, che rende difficile trovare un farmaco adatto a trattarle tutte insieme. È possibile che a seconda del difetto mutazionale individuale si possa saggiare con test ex-vivo farmaci o combinazioni di farmaci già in commercio. Oppure che si debbano aspettare le proposte di interventi di gene editing, che al momento sono ancora a livello di ricerca di base.
– Mutazioni particolari per le quali sono chieste informazioni: R347P; 621+1G>T; 2183AA->G; DEL 23 (21KB); F311; R764X; R104X; I507del. (Giuseppe O., Barbara L., Giulia, Gigi R., e altri)
Per tutti gli interpellanti, il consiglio di chiedere informazioni al medico del centro di riferimento, che può conoscere meglio la situazione personale e integrarla con la risposta del laboratorio che ha identificato la mutazione.
La mutazione R347P appartiene alla classe 4 ed è quindi una mutazione con funzione residua (si veda sopra).
R764X, R104X sono mutazioni stop, si rimanda a quanto scritto sopra. Si può dire, per riconoscere le stop, che sono quelle mutazioni che hanno nella sigla una X finale.
I507del: si prega leggere la risposta Nuove terapie e mutazione I507del, 22/01/2020.
F311: Mutazione molto rara di cui non abbiamo trovato informazioni; citata nel database genet.sickkids.on.ca, ma non in cftr2.org. Scoperta nel 1991 da un gruppo di ricerca tedesco (Università di Monaco), di seguito la pubblicazione che dà notizia della scoperta: Meitinger T, Golla A, Dörner C et al. ”In frame deletion (delta F311) within a short trinucleotide repeat of the first transmembrane region of the cystic fibrosis gene”. Hum Mol Genet. 1993 Dec;2(12):2173-4.
621+1G>T: si prega di leggere la risposta Mutazioni CFTR di splicing. A proposito di 621+1G>T, 17/04/2018.
Del23(21kb): probabilmente delezione dell’esone 23, quindi mutazione da grande riarrangiamento. Alcune mutazioni da grande riarrangiamento rientrano nella lista delle mutazioni con funzione minima, trattabili con un farmaco solo se accompagnate da F508del.
2183AA->G: mutazione che rientra nell’elenco delle mutazioni definite con funzione minima, trattabili con un farmaco se accompagnate da F508del.
A che punto sono i test ex vivo?
– Come vengono selezionati i soggetti per gli studi ex vivo? Grazie! (Chiara G.I.)
– Gli studi ex vivo proseguono anche in qualsiasi periodo di coronavirus oppure sono stati sospesi? (Giulia R.)
– Chi è che monitora la compatibilità fra la singola mutazione o delezione e gli studi in corso, per capire se ci sono risultati utili per ciascun paziente? (Barbara L.)
– Come fa un paziente ad essere eletto per uno studio ex vivo? quali sono i criteri? (Giuliana G.)
– Rispetto alla medicina personalizzata, con l’utilizzo di organoidi è già utilizzata? Dove potremo informarci per poter aderire? Nel Centro di Firenze è già attiva? (Marco V.)
– Il “brushing” nasale verrà esteso a tutti i pazienti malati o solo in base al loro quadro clinico? (Claudia N.)
– Il test ex vivo sarà poi possibile per tutti i malati, per prevedere i benefici del farmaco candidato a livello dei tessuti? (Claudia N.)
I test ex-vivo non sono ancora entrati nell’uso applicativo corrente. Vi entreranno probabilmente nel giro di tempi abbastanza brevi, tanto più brevi quanto più velocemente procederanno le ricerche in corso, che mirano a standardizzare i metodi di esecuzione e quindi l’interpretazione della risposta. In Italia, a Napoli, Verona, Genova e Roma ci sono laboratori già molto attivi in questo campo. Non sono test ancora entrati nella routine, vengono ancora eseguiti prevalentemente a scopo di ricerca in casi molto particolari e selezionati, decisi di comune accordo fra il medico del centro FC e il laboratorio. Non si può escludere però che ciò che in un soggetto viene fatto a scopo di ricerca abbia ricadute pratiche: se il test ex-vivo dimostra che un certo farmaco funziona, anche se non è ufficialmente indicato per le mutazioni di quel soggetto, il medico tiene conto di questo risultato. Si può leggere a questo proposito quanto avvenuto nei primi mesi dell’anno per una bambina del centro FC di Firenze (1).
Naturalmente, i laboratori italiani sono in stretto collegamento con laboratori e centri di ricerca internazionali. Può succedere quindi che questi secondi chiedano collaborazione per raccogliere un certo numero di pazienti con una certa mutazione rara oggetto dei loro studi. C’è un programma europeo chiamato HIT-CF che ha realizzato organoidi intestinali di pazienti con genotipi (=combinazioni di mutazioni) rari, provenienti da sedici diversi Paesi europei. È un consorzio di ricerca che coinvolge ECFS (Società Europea Fibrosi Cistica), Cystic Fibrosis Europe (Federazione delle Associazioni di persone con malattia FC e loro familiari presenti in 39 paesi europei), università europee e grandi industrie farmaceutiche. Si possono trovare informazioni al sito hitcf.org/for-patients.
C’è il CFIT (Cystic Fibrosis Individual Therapy) che è invece frutto della collaborazione fra Cystic Fibrosis Canada e il Sick Kids Hospital di Toronto; ha creato una biobanca di cellule epiteliali nasali e cellule staminali ematiche per il saggio di farmaci nuovi o già in uso, chiedendo collaborazione anche a pazienti di centri italiani. L’attenzione è in particolare sulle mutazioni più rare o per ora più difficili da trattare farmacologicamente. In particolare i ricercatori hanno cercato di arruolare malati omozigoti per le mutazioni 621+1G–T, 711+1G–T, G85E, M1101K, W1282X, G542X, R334W, N1303K.
Si attendono informazioni sui risultati di queste iniziative nei prossimi congressi internazionali: quello europeo doveva tenersi ai primi di giugno ed è stato rimandato, causa pandemia Covid, al 24-25 settembre ( inversione digitale: ecfs.eu. Quello nord-americano si terrà sempre con la stessa modalità il 21-23 ottobre 2020: nacfconference.org/.
1) I soggetti FC con mutazioni rare e poco conosciute possono trovare indicazioni al trattamento con modulatori CFTR disponibili, sulla base di studi predittivi ex vivo su proprie cellule nasali, 20/12/2019
(Risposte a cura di dott. Laura Minicucci e dott. Graziella Borgo)
– Cosa ne pensate della tecnica delle staminali che stanno sperimentando per trattare i danni polmonari del Covid e se potrebbe essere applicata ai soggetti con FC. (Rachele S.)
L’ipotesi di per sé è affascinante: le cellule staminali presenti nel tessuto polmonare del malato FC andrebbero identificate, prelevate, corrette per il loro difetto genetico con tecniche di gene editing (correzione genica); a quel punto, dotate di gene CFTR normale, andrebbero reinfuse, fatte replicare e differenziare nelle cellule che rivestono il lume dei bronchi (sono cellule epiteliali secernenti), tipicamente interessate dalla malattia. Potrebbero così normalizzare le secrezioni bronchiali, prevenendo altri sintomi e l’evoluzione della malattia polmonare; inoltre potrebbero svolgere anche azione di rigenerazione del tessuto stesso, se danneggiato dalle infezioni e dall’infiammazione di base. Ma i vari passaggi di questo complesso procedimento sono ancora in una fase esplorativa, del tutto sperimentale.
Siccome l’interesse è alto, molti gruppi di ricerca vi stanno lavorando. Agli inizi dell’anno ricercatori dell’Università di Stanford (California) (1) hanno dimostrato in vitro che cellule staminali prelevate dalla cavità nasale del malato FC, una volta corrette geneticamente con tecnica CRISPR/Cas9, producono proteina CFTR funzionante e possono evolvere in cellule dell’epitelio respiratorio. Un indubbio successo, con alcuni quesiti aperti: come fare a reinfondere le staminali nasali e farle attecchire nei bronchi FC? Questi bronchi presentano condizioni ostili alla loro penetrazione, perché ricoperti di muco e cellule infiammatorie. Quante infusioni sarebbero necessarie? E la cellula finale sarebbe effettivamente una cellula dell’epitelio bronchiale, visto che la cellula d’origine proviene dall’epitelio nasale?
In sostanza, il fatto che il difetto del polmone FC sia espresso soprattutto nell’epitelio bronchiale non lo rende un bersaglio facile (2). Per contro, il danno d’organo provocato dall’infezione da Sars-Cov-2 si esplica soprattutto a livello del tessuto connettivale interstiziale, quello che fa da sostegno e connessione fra altri tipi di cellule, soprattutto le cellule degli alveoli, le parti terminali dei bronchioli deputate a depurare il sangue dalla CO2 e fornirlo di O2. Le cellule che danno origine al connettivo si chiamano fibroblasti e oggi sappiamo che possono essere generate con relativa facilità da cellule staminali dette mesenchimali (Mesenchimal StemCells, MSC), prelevabili da tessuti più facilmente raggiungibili (tessuto adiposo, midollo osseo) o disponibili presso biobanche (in questo caso sono soprattutto derivate da cordone ombelicale). Quindi c’è in partenza maggiore facilità di recupero, replicazione in coltura e differenziazione nel tipo di cellula richiesta.
Inoltre va sottolineato che nelle sperimentazioni cliniche condotte in Cina ma anche nel Regno Unito (3,4), l’infusione di MSC è stata sfruttata non tanto per l’effetto rigenerante tissutale, ma per la forte capacità di modulare l’attività del sistema immunitario, producendo importanti citochine (proteine) con azione antinfiammatoria. Poichè l’infezione da Sars-CoV-2 provoca, per ragioni ancora sconosciute, un’esagerata reazione infiammatoria a livello del tessuto interstiziale polmonare, è verosimile pensare all’uso di MSC che colpiscono questa infiammazione. Nei trial clinici condotti (di cui non si conosce ancora il risultato ufficiale), le MSC sono state ripetutamente iniettate per via endovenosa in carica massiccia e, secondo quanto riferito, si sono concentrate nel polmone con effetti positivi. Abbiamo trovato però anche segnalazione di un trial clinico dove sono state somministrate per via aerosolica (5). Tutto questo ci porta a concludere che le ricerche sulle staminali contro il Covid potranno portare conoscenze utili anche in campo FC.
1) Terapia genica in FC: studio dell’applicazione di gene editing su staminali da epitelio nasale FC, Progresso di ricerca, 06/02/2020
2) Cellule staminali mesenchimali nella terapia cellulare di patologie polmonari: facciamo il punto, Commento degli esperti, 30/03/2020
3) grupposandonato.it
4) Ellen Gorman E, Shankar-Hari M, Hopkins Ph et al “Repair of Acute Respiratory Distress Syndrome by Stromal Cell Administration in COVID-19 (REALIST-COVID-19): A structured summary of a study protocol for a randomised, controlled trial” Trials 2020 Jun 3;21(1):462.
5) Study Evaluating the Safety and Efficacy of Autologous Non-Hematopoietic Peripheral Blood Stem Cells in COVID-19 (SENTAD-COVID). ClinicalTrials.gov Identifier: NCT04473170
– Una curiosità: c’è la possibilità che venga utilizzata/è già in utilizzo la tecnica di CRISPR-Cas9? Grazie! (Miriam C.)
Nel campo della fibrosi cistica la tecnica di CRISPR-Cas9 è oggetto di studio ancora solo preclinico (1). FFC ha finanziato un progetto di ricerca che ha dimostrato la possibilità di correggere in vitro e in organoidi di soggetti con FC alcune mutazioni di tipo splicing del gene CFTR (2). Un altro progetto preclinico è in corso ed ha come obbiettivo la neutralizzazione della più comune F508del (3).
C’è da segnalare che le uniche malattie genetiche per cui CRISPR-Cas9 è arrivato ad una inizialissima sperimentazione clinica sono la beta-talassemia (anemia mediterranea) e l’anemia a cellule falciformi. In queste malattie i globuli rossi contengono un’emoglobina difettosa per una mutazione del gene che la produce. È stato avviato nel 2018, con arruolamento di 45 soggetti con forme gravi di beta-talassemia o di anemia falciforme, un trial di fase 1-2, mirato a dimostrare sicurezza ed efficacia di una singola dose di cellule staminali emopoietiche (destinate a dare origine ai globuli rossi del sangue) prelevate dal midollo osseo del malato. Queste staminali vengono corrette geneticamente con CRISPR-Cas9 e quindi reinfuse (attraverso catetere venoso centrale), al fine di ripopolare il midollo e far sì che produca globuli rossi con emoglobina normale. Il trial si dovrebbe concludere nel 2022 (4,5).
Per la beta-talassemia è già stata approvata nel 2019 da EMA una strategia che prevede l’uso della terapia genica “classica” (il prodotto autorizzato si chiama Zynteglo, viene praticata un’unica somministrazione in malati altamente selezionati). E’ necessario il prelievo di staminali del malato che vengono trattate con un virus vettore che trasporta al loro interno l’intero gene normale dell’emoglobina (6,7). Questo gene affianca quello mutato e l’effetto che si ottiene dovrebbe essere circa lo stesso di quello del gene editing, dove viene corretto solo il frammento di DNA presente nel gene mutato. Sono in corso studi ulteriori di conferma dell’efficacia clinica dopo l’autorizzazione ufficiale di EMA.
1) È presto per dire che la terapia genica mediante gene editing, ancora in fase di studi preliminari, sia la cura definitiva per la fibrosi cistica, 27/08/2019
2) FFC#1/2017 – SpliceFix: riparare difetti di splicing del gene CFTR tramite tecnologia CRISPR/Cas9
3) FFC#3/2019 – Sfruttare la tecnologia CRISPR/Cas9 per neutralizzare il difetto CFTR-F508del.
4) A Phase 1/2 Study of the Safety and Efficacy of a Single Dose of Autologous CRISPR-Cas9 Modified CD34+ Human Hematopoietic Stem and Progenitor Cells (hHSPCs) in Subjects With Transfusion-Dependent β-Thalassemia. ClinicalTrials.gov Identifier: NCT03655678
5) globenewswire.com
6) osservatoriomalattierare.it
7) Karponi G, Zogas N “Gene Therapy For Beta-Thalassemia: Updated Perspectives” Appl Clin Genet 2019 Sep 23;12:167-180.
– Oltre il gene editing, è contemplata la possibilità di utilizzare CAR-T in fibrosi cistica?
(Giorgia G.)
Le “CAR-T” (acronimo dall’inglese Chimeric Antigen Receptor T cell therapies ovvero Terapie a base di cellule T esprimenti un Recettore Chimerico per antigene) sono nuove terapie personalizzate usate contro alcuni tumori del sangue (leucemie, linfomi) (1). Sono considerate terapie geniche poichè agiscono attraverso l’inserzione di materiale genetico all’interno di un importante famiglia di cellule immunitarie, i linfociti T. Una volta prelevati dal sangue del malato, questi linfociti vengono “ingegnerizzati” e poi reinfusi. La modifica genetica consiste nell’introdurre il gene che porta alla sintesi della proteina CAR (Recettore dell’Antigene Chimerico) che, una volta arrivata sulla membrana della cellula, è in grado di riconoscere un antigene specifico presente sulla superficie delle cellule tumorali e legarsi ad esse per distruggerle.
Non esiste un razionale per l’uso di questa tecnica in fibrosi cistica. Nel malato tutte le cellule, per esempio, dell’epitelio bronchiale sono uguali e tutte contengono il gene CFTR mutato. Quello che è importante riconoscere è il frammento di DNA mutato all’interno del gene CFTR presente nella cellula. Questo riconoscimento viene realizzato attraverso la tecnica CRISPR-Cas9.
CRISPR-Cas 9 si può considerare un pacchetto di intervento, che comprende un grosso supporto costituito da sequenze di DNA, un enzima che fa da forbice (Cas9) e un RNA guida. Questo pacchetto deve essere introdotto all’interno della cellula dove, sotto la guida dell’RNA, la forbice viene diretta verso il frammento del gene CFTR che è mutato, per tagliarlo e lasciar spazio all’inserimento di quello corretto. L’RNA-guida è capace di riconoscere il frammento mutato anche quando è costituito da poche basi (acidi nucleici), fra circa 3 miliardi di altre basi che costituiscono il nostro DNA.
1) aifa.gov.it
(Risposte a cura della dott. Graziella Borgo)