La comunicazione fra i curanti, i malati e i loro genitori riguarda anche la prognosi della malattia. In quest’ambito così delicato non ci sono però molte ricerche o esperienze condivise, che sarebbero invece necessarie. Soprattutto con il diffondersi della diagnosi precoce di FC, che porta presso i centri di cura FC un numero sempre maggiore di bambini e adolescenti, c’è da chiedersi a che età sia opportuno che medici e genitori ne parlino con loro e come debbano farlo.
Uno studio americano (1) ha voluto porre le premesse a un documento ufficiale in materia, realizzando, su casistica assai ridotta, un saggio esplorativo che suggerisce dati di un certo interesse. Gli autori hanno definito “comunicazione sulla prognosi” il parlare: 1) dell’aspettativa media di vita dei malati FC e 2) del carattere progressivo della malattia. Hanno preparato quindi un’intervista con domande mirate a questi aspetti e hanno raccolto, in due centri FC , le risposte di medici, di giovani adulti FC di età compresa fra i 18 e i 25 anni, di genitori con figli FC intorno ai 20 anni.
L’età dei pazienti e dei genitori è stata scelta perché ricordassero e confrontassero le informazioni avute in passato con quello che possedevano al momento dell’intervista. È stato chiesto ai pazienti di riferire a che età le avevano avute: hanno collocato il momento in un periodo molto variabile, tra l’età dalla scuola elementare e l’adolescenza; i genitori ricordavano simili intervalli di età. Interessante il fatto che l’età di informazione riferita dai pazienti era mediamente più precoce di quella riportata dai medici.
Per quanto riguarda la cronicità e la progressione della malattia; un terzo dei pazienti ha detto di averla conosciuta dal medico; un terzo l’ha capito da solo in base alla necessità delle terapie quotidiane, dei frequenti controlli e ricoveri; un terzo l’ha appreso dai genitori, da amici con FC o l’ha letta su Internet.
Riguardo ai limiti dell’aspettativa di vita, circa la metà dei pazienti ricordava di averne parlato con il medico, mentre gli altri di averne parlato con i genitori. Questo dato corrispondeva in parte con quanto riferito dai genitori: molti di loro dicevano di averne parlato, ma altrettanti sostenevano che i figli si fossero informati da soli attraverso Internet.
Un altro gruppo di domande riguardava l’impatto emotivo suscitato dalla comunicazione della prognosi: tutti i pazienti hanno ricordato che l’informazione data dal medico è stata “addolcita”, e ha comunque provocato timore, sconforto, delusione, talora rifiuto. Ma la conoscenza della prognosi non ha influito sull’aderenza alle cure, anzi in un terzo dei casi ha contribuito a praticarle meglio. I medici hanno confermato che, mediamente, i pazienti hanno continuato a praticare le terapie come prima e, nella larga maggioranza dei casi, non hanno cambiato i loro obiettivi e progetti di vita, sostenuti in questo dalla speranza che il futuro, nonostante tutto, per ciascuno di loro poteva essere diverso da quello degli altri.
Infine le raccomandazioni: medici, pazienti e genitori sono d’accordo nel dire che l’età della comunicazione va personalizzata a seconda delle necessità e della personalità del paziente. Dovendo esprimere un orientamento di massima, i medici suggerirebbero l’età dell’adolescenza; pazienti e genitori quella della scuola elementare o, più precisamente, tra gli 8 e i 12 anni. Ideale sarebbe, secondo tutti, un colloquio faccia a faccia, fra medico e paziente, con presenza dei genitori a seconda dell’età del paziente. Molti pazienti sottolineano anche la necessità di avere strumenti informativi adatti da leggere su carta o da conoscere via web.
In attesa del documento ufficiale di linee guida in preparazione, in accordo con le valutazioni fatte dai genitori e tenendo conto che l’età dell’uso di Internet e dei social media si sta rapidamente abbassando, sarebbe raccomandabile che i medici trovassero tempo e modo per essere più proattivi nel campo della comunicazione della prognosi. Non sempre su Internet si trovano informazioni corrette e aggiornate sulla malattia, e quando il malato le trova è importante che le condivida con persone di cui si fida.
Un aspetto importante che non viene preso in considerazione in questo studio (ma dovrà essere fatto nel documento), riguarda il cambiamento radicale che la scoperta dei nuovi farmaci per il trattamento del difetto di base della malattia sta introducendo nella comunicazione della prognosi FC. Finalmente, la speranza che il medico deve comunicare poggia su basi concrete e rende meno difficile affrontare l’argomento da parte di tutti.
1) Farber JG, Prieur MG, Roach C, Shay R, Walter M, Borowitz D, Dellon EP.”Difficult conversations: Discussing prognosis with children with cystic fibrosis.”Pediatr Pulmonol. 2018 May; 53(5):592-598.