La prima infezione da P. aeruginosa viene percepita come un fatto cruciale, è accompagnata da molto timore e da conoscenze confuse. Sarebbe utile più informazione.
Alcuni ricercatori dell’Università di Nottingham (Regno Unito) hanno svolto un’indagine attraverso i social media per esplorare, nei malati FC e nelle persone vicine a loro, sentimenti e reazioni di fronte alla prima infezione da Pseudomonas aeruginosa (1). Per renderla accessibile al maggior numero di persone ed evitare il rischio di infezioni tra pazienti, l’inchiesta è stata diffusa attraverso gli indirizzi personali su Facebook e Twitter, il sito della organizzazione inglese FC (CF Trust) e gruppi FC presenti su Facebook. Le risposte sono state raccolte nell’arco di due settimane (6-18 maggio 2014). Si trattava di rispondere a quattro domande: come avevano percepito la prima comparsa di Pseudomonas; quali implicazioni aveva indotto nel programma di cura; quali conoscenze possiedono sull’argomento; l’importanza della ricerca in questo campo. Le risposte erano aperte, avevano quindi un carattere narrativo, senza vincoli di lunghezza. Sono state elaborate attraverso un sistema in parte informatizzato, che ha portato a identificare le parole più usate in tutte le domande e all’interno di ogni singola domanda e che, in base ai risultati, ha permesso di costruire per associazione la mappa dei concetti più frequenti e qualitativamente più rilevanti. Hanno risposto 393 persone: 266 erano genitori e 97 erano malati; i restanti (una trentina circa) erano altri parenti o amici del malato. Non è stata chiesta età o sesso, né vi era un’esplicita domanda se e quando ci fosse stata comparsa di Pseudomonas. Però 164 su 393 dei rispondenti fanno riferimento a un’esperienza diretta: sicuramente quindi il 42% l’ha già vissuta in prima persona.
Le risposte alla prima domanda (quale percezione dell’avvenimento) mettono in evidenza con chiarezza come l’impatto emotivo sia grande. Molti si rendono conto, e lo dicono, che il cambiamento è modesto in termini di funzionalità respiratoria, ma notevole sul piano soggettivo, perché subentra una paura invasiva che prima non c’era. I genitori temono le visite di bambini con animali domestici, temono le piscine, temono i bagni di scuola. Alla paura a volte segue uno stato di rassegnazione, altrimenti la qualità della vita ne viene troppo compromessa. La percezione è comunque di un punto di svolta, soprattutto se le condizioni di salute sono buone (un genitore lo definisce “uno schiaffo in faccia che ti dice che la FC esiste”), un momento di transizione fra l’essere sano e l’essere malato, e l’occasione per rivalutare il percorso che la malattia sta facendo.
Circa la seconda domanda (implicazioni sulle cure) moltissimi sottolineano la pesantezza dell’avvio di nuovi trattamenti aerosolici (“un’altra ora dedicata alla terapia”). In particolare, i più grandi lamentano il tempo sottratto alla vita sociale e le restrizioni riguardo al lavoro, ai viaggi e alle vacanze; mentre i genitori di bambini piccoli dichiarano il loro sconcerto per l’aggressività e la pesantezza dei trattamenti antibiotici in organismi ancora piccoli, e il timore di effetti collaterali.
Alla domanda su quali conoscenze possiedono, emergono molti concetti del tutto infondati: sembrano non essere pochi quelli che ritengono che la comparsa del batterio comporti peggioramento immediato o anche pericolo mortale; così pure non pochi quelli che nutrono l’attesa irrealistica che, mettendo in atto misure igieniche le più stringenti possibili, si possa evitarlo. Sono drammatici i racconti di chi riporta di aver cambiato il bagno, di continuare a pulire la cucina, di far cambiare ogni giorno lo spazzolino da denti al bambino, di evitare di usare l’aria condizionata in macchina. Conoscenze confuse anche su quale sia lo scopo e l’esito dei protocolli di terapia eradicante anti-Pseudomonas entrati nella pratica clinica (“perché farli? Tanto è garantito che ritornerà”). Per fortuna la saggezza che sopraggiunge con il passare del tempo porta a concludere: “10 anni dopo posso dire che non mi ha causato i problemi che temevo”.
Infine, la risposta all’ultima domanda sull’importanza di trovare misure più efficaci per trattare Pseudomonas è scontata e molto asciutta: l’80% dice che quest’area di ricerca è di massima priorità.
Questo è uno studio interessante che porta alla luce un problema su cui, secondo gli autori (il primo autore è persona con FC), i curanti debbono informare maggiormente. Viene osservato che le reazioni alla prima comparsa di Pseudomonas possono essere raggruppate a seconda che siano centrate sul batterio o centrate sul bambino. Le prime fanno molto conto sulle misure preventive/evitanti (igiene, isolamento, ecc); le seconde privilegiano scelte che vanno in favore della qualità di vita. Le linee guida esistenti, sia europee che americane, danno indicazioni dettagliate per quanto concerne le norme per evitare il contagio e la trasmissione del batterio all’interno dei centri di cura. Ma danno pochi suggerimenti per quello che riguarda l’ambiente domestico, e questo può generare incertezza e confusione. Quindi, informando di più, i medici possono aiutare i malati e i loro parenti a cercare un equilibrio non certo facile: applicare con scrupolo le norme di prevenzione, laddove ci sono e sono fondate su solide evidenze scientifiche; privilegiare invece la qualità di vita per il resto.
1) Palser SC, Rayner OC, Leighton PA, Smyth AR. “Perception of first respiratory infection with Pseudomonas aeruginosa by people with cystic fibrosis and those close to them: an online qualitative study”. BMJ Open. 2016 Dec 28;6(12):e012303. doi: 10.1136/bmjopen-2016-012303.PMID: 28031208