A mia figlia, a seguito dello screening neonatale positivo (cloro 22 e 26 mEq/L), è stata riscontrata la mutazione N1303K in eterozigosi. Abbiamo effettuato un test del sudore a un anno con risultato borderline (42). La mia domanda è: dobbiamo pensare alla malattia? Pensavo di poterla archiviare e adesso con questo risultato non so più cosa pensare. Dobbiamo ripetere il test tra due mesi.
Purtroppo è difficile dare una risposta chiara: i valori del cloro nel sudore a 22 e 26 mEq/L, all’età di 3 mesi, sono ai livelli un po’ alti della scala, ma comunque entro la soglia di normalità (cloro inferiore a 30 mEq/L). Perché i curanti hanno sentito la necessità di ripetere il test del sudore a un anno? Per caso, prima dei tre mesi, ci sono stati altri test del sudore con valori dubbi? Oppure ci sono stati sintomi sospetti? (Crescita scarsa? infezioni respiratorie?). Sappiamo che un approfondimento del test genetico in questi casi è d’obbligo: è stato fatto e che cosa ha detto? Forse è stata diagnosticata oltre alla mutazione N1303K anche una variante genetica di difficile interpretazione?
In sostanza, ci devono essere delle ragioni che hanno suggerito di non considerare questa bambina una semplice portatrice sana. Sappiamo che i portatori sani non hanno e non avranno alcuna manifestazione legata alla malattia fibrosi cistica, ma che alcuni di loro possono avere valori di cloro al test del sudore ai livelli alti della scala di normalità, come nel caso di questa bambina o addirittura, in casi rari, anche valori borderline. I portatori sani FC possono anche presentare talora valori un po’ alti al test di screening IRT, ma mai molto alti. Quindi, per decidere di ripetere il test ad età successive e ritenere non conclusa la diagnosi (portatrice sana o fibrosi cistica atipica?), dovrebbero esserci stati, a nostro parere, altri motivi di dubbio.
Ci sono segnalazioni recenti nella letteratura scientifica che mettono in evidenza come il problema delle diagnosi non concluse, dette anche “incerte”, generate dallo screening neonatale per fibrosi cistica, abbia assunto oggi una consistenza rilevante. Secondo quanto riportato da autori americani, dal 2010 al 2012 una diagnosi incerta (definita secondo altra terminologia CRMS, ovvero Cystic Fibrosis Related Metabolic Syndrome) è stata attribuita al 15,7% dei neonati scrinati registrati nel Registro FC americano (1). I dati disponibili per capire come evolvono nel tempo queste forme non sono sempre chiari e completi, ma si sta lavorando in questo senso. In un’altra ricerca, di cui si può trovare il commento su questo sito (2), gli autori descrivono come, su di un’ampia casistica di diagnosi incerte, solo una piccola quota di casi (l’11%) prima dei tre anni di età si conclude con diagnosi certa di fibrosi cistica.
1) Clement L.R, Fink AK, Petren K et all “Outcomes of infants with indeterminate diagnosis detected by cystic fibrosis newborn screening” Pediatrics 2015; 135:E1386-E1392
2) Le diagnosi non conclusive allo screening neonatale per fibrosi cistica, 24/08/2015