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23 Luglio 2015

Quando una bimba non ha interesse per il cibo

Autore: Francesca
Domanda

Buongiorno. Mia figlia di 36 mesi ha da tempo problemi di demotivazione verso il cibo. Quando questo è associato a infezioni polmonari capisco che dipende dalla situazione clinica, ma anche in assenza di tosse la bambina non manifesta interesse per il cibo, lo assume svogliata e a volte è come se ne fosse nauseata; le vengono i conati di vomito e a volte lo sputa. Il suo peso per ora è sufficiente, ma ho paura che a lungo andare si possa parlare di PEG (alimentazione artificiale, ndr). Volevo chiedere se avete delle informazioni ricavate in questi anni dalle percentuali di PEG inserite, come vengono accettate dal bambino e, se del caso, come si può spiegare al bambino questo “inserimento”. Da settembre la bimba andrà alla scuola materna e spero che questo possa avere un risvolto positivo nel rapporto con il cibo.
Volevo inoltre chiedere se è meglio lasciarla libera sul cibo (rischiando) o se starle più dietro. È molto difficile mediare perché ci sono in gioco, da parte del genitore, la paura delle conseguenze, la frustrazione e il cercare di proteggere e far di tutto per non arrivare a quel punto! Volevo specificare che la mia bimba è omozigote F 508 con infezione cronica da Pseudomonas aeruginosa. Grazie mille in anticipo.

Risposta

Nel corso dello sviluppo del bambino e della relazione madre bambino, l’alimentazione rappresenta sempre un nucleo molto delicato.
Comprensibilmente nella fibrosi cistica, e sicuramente anche per la sollecitazione che il team di cura trasmette sull’importanza di questo aspetto della crescita, il confronto con il cibo è un nucleo non marginale e spesso in grado di mettere a rischio l’equilibrio emotivo della stessa relazione madre bambino.
Ciò ovviamente accade per ogni malattia che prevede un’area di interesse sull’alimentazione ma, ancora più a monte, rappresenta comunque un elemento di cui, nella relazione madre bambino e nello sviluppo del Sé che ogni bambino percorre, deve essere considerato con attenzione e in ogni aspetto.
Questo perché il cibo rappresenta un veicolo di relazione, di comunicazione. Il momento del pasto è quello spazio in cui la mamma e il bambino attivano una loro danza su cui, in qualche modo, imparano a conoscersi e in cui il bambino inizia le sue esperienze di piacere. Comprensibile quindi che un contesto in cui nutrirsi diviene un momento di crisi e tensione non porti a una armonia di crescita emotiva, né nel bambino né nella relazione madre bambino.

Detto ciò, sembrerebbe ovvio dover tranquillizzare ogni mamma del fatto che, qualunque sia l’approccio del proprio figlio verso il cibo, esso dovrebbe sperimentare una totale rilassatezza nella persona che lo accudisce. Niente ansia, quindi, tensione o rabbia, proprio per evitare che intorno al cibo si inneschi un meccanismo di forza tra la mamma e il figlio, con quelle manifestazioni che la signora descrive (sputare, fare conati o altro).
Non è facile però riuscire in questa metamorfosi e le madri comprensibilmente vanno in ansia quando i loro bambini non mangiano.
Lo sforzo quindi è proprio quello di far sì che il bambino non percepisca che su quel terreno c’è una lotta tra l’adulto, che vorrebbe che lui mangiasse e la sua inclinazione verso il cibo. In particolar modo perché all’inizio è un’inclinazione, una caratteristica che, dopo le frustrazioni che la mamma fa vivere al piccolo con le insistenze e le posizioni di rigidità, può evolvere (e ciò accade spessissimo) in un tiro alla fune tra il bambino e la sua figura di accudimento a chi ha “più forza” nel tenere la posizione. E il momento del pasto diviene immancabilmente un martirio.

Che fare quindi? Crescere è necessario, fibrosi cistica o no, ma l’ansia che la malattia possa essere più aggressiva in un bambino magro aumenta a dismisura l’ansia materna e facilita i meccanismi disfunzionali sopra descritti.
Per prima cosa bisognerebbe centrarsi sulla curva di crescita: se un bambino cresce regolarmente, anche veramente poco, va bene (come nel caso della domanda); se si evita il braccio di ferro forse accetterà qualche cibo in più.
Una seconda regola: non offrire mai troppo cibo a un bambino poco interessato al cibo; piatti vuoti e presentati con spazio tra un pezzetto di cibo e l’altro.
Altra regola: non offrire mai il cibo ma appoggiarlo in modo casuale sul tavolo o sul piano della cucina. Ancora: mangiare in loro presenza cibi da adulti sempre senza offrire, cibi cioè che possano attirare e lasciare che essi tocchino sia nel loro piatto, sia sul tavolo o nel nostro piatto (magari inizialmente con le mani).
Non è una certezza che un bambino “ingaggiato” nel confronto dall’adulto, una volta disinvestito su ciò, inizi a curiosare di più sul cibo, ma spessissimo accade. La scuola materna è una cosa molto positiva e spesso dà aiuti importanti.

Mi accorgo di aver parlato molto del rapporto che il bambino ha con il cibo e aver tralasciato l’altra parte della domanda relativa alla PEG, non perché non possa accadere ma perché, oltre ad essere un evento molto raro per un bambino piccolo, anche con fibrosi cistica, lo è ancora meno in presenza di una curva di crescita accettabile (come sembrerebbe nel caso della domanda).
Qualora dovesse essercene bisogno, come ogni intervento invasivo, deve essere presentato al bambino con anticipo e gli si deve spiegare con parole comprensibili come è fatta la PEG (introduzione di una sonda alimentare nello stomaco attraverso la parete addominale, ndr), dove va quando sparisce dietro al bottone, a cosa serve. Può essere utile usare il disegno o un bambolotto e non investire il bambino di frasi ma rispondere solo alle sue domande, con poche e chiare frasi, per lui comprensibili, centrate solo sulla domanda che ci ha rivolto, senza minimizzare sue eventuali espressioni di paura.
Forse dovrei aggiungere altro ma non riesco a rappresentarmi questa bambina con la PEG, pur in un quadro clinico impegnativo.

Dr. Paola Catastini, psicologa presso Centro Regionale Toscano FC. Osp. Meyer, Firenze


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