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15 Gennaio 2015

Un confronto tra diversi centri di cura su come vengono usati gli antibiotici

G. Borgo

Nei centri FC che adottano una strategia antibiotica più aggressiva i pazienti mostrano un quadro respiratorio migliore: lo suggerisce una ricerca collaborativa americana-canadese che indaga la FEV1 dei pazienti di vari centri e la mette in relazione a come vengono usati gli antibiotici in occasione delle esacerbazioni infettive.

Si tratta di una ricerca retrospettiva (1) svolta dai centri partecipanti all’Epidemiologic Study of Cystic Fibrosis (ESCF), un gruppo di studio americano-canadese. La constatazione di partenza è che il trattamento antibiotico FC ha ancora notevoli margini di variabilità nonostante gli sforzi per definire indicazioni e protocolli. Lo stesso gruppo di lavoro in una ricerca precedente aveva già mostrato come nei centri dove i trattamenti antibiotici per via endovenosa sono più frequenti i pazienti hanno FEV1 mediamente più elevata. Ora vogliono approfondire il tema cercando di verificare se gli antibiotici vengono usati più o meno aggressivamente, vale a dire in presenza di segni e/o sintomi anche modesti di esacerbazione, e più o meno coerentemente quando sono indispensabili, cioè quando l’esacerbazione è conclamata.

I pazienti inclusi sono stati ben 15.372 (età media 15 anni) e i centri a cui facevano riferimento sono stati inseriti in 4 livelli, a seconda del valore medio di funzionalità respiratoria che i pazienti presentavano: centri in cui il valore medio di FEV1 era al top (FEV1 medio 85%), buono, intermedio, e peggiore (FEV1 medio 65%). Nelle cartelle cliniche di questi centri sono stati analizzati quali segni e/o sintomi di esacerbazione erano presenti quando è stato avviato un trattamento antibiotico (qualsiasi trattamento), ispirando la ricerca al fatto che è in uso fra clinici una definizione di esacerbazione infettiva (definizione di Rabin) che comprende i seguenti elementi:comparsa di nuovi rumori all’ascoltazione polmonare, tosse aumentata, diminuzione di peso, aumento dell’escreato, diminuzione della FEV1 di almeno il 15% rispetto al valore precedente, comparsa di Pseudomonas, presenza di sangue nell’escreato. Si è potuto così osservare che i centri in cui i pazienti avevano FEV1 mediamente più elevata erano più aggressivi: iniziavano più frequentemente la terapia antibiotica (qualsiasi trattamento) in presenza di almeno due segni e/o sintomi di esacerbazione; se l’esacerbazione era manifesta in base a tre-quattro segni e/o sintomi, non solo erano più coerenti e quindi somministravano più spesso la terapia antibiotica (57% contro 47%), ma era molto più frequentemente la via endovenosa quella adottata (39% rispetto a 27%); inoltre, intervenivano più spesso anche se la FEV1 era scesa meno del 15%. La ricerca è interessante perché cerca di dare risposte oggettive ad un problema che esiste ed è molto sentito fra pazienti e genitori: l’impressione che nei confronti delle decisioni in tema di terapia antibiotica il comportamento non sia omogeneo fra centri e fra medici stessi, e ci siano quelli più o meno aggressivi e quelli più o meno permissivi. Colpisce pensare che la cartella di questi pazienti possa contenere con tale esattezza i dati riguardanti l’esacerbazione e su questi dati si possa costruire (retrospettivamente!) una ricerca del genere: forse questo è anche il suo limite e forse una ricerca prospettica darebbe risultati più sicuri. Peccato infine che gli anni presi in considerazione non siano affatto recenti: 2003-2005. Gli autori dicono che ora le cose potrebbero essere cambiate, nonostante i rapporti della Fondazione americana (che ha in mano direttamente la gestione dei centri di cura) continuino ad indicare una notevole variabilità nell’uso delle terapie e nei risultati ottenuti in centri diversi.

1. Schechter MS,Regelmann WE, Sawicki GS, et all. “Antibiotic treatment of signs and symptoms of pulmonary exacerbations: a comparison by care site”. Pediatr Pulmonol 2014, Dec 19. doi: 10.1002/ppul.23147. [Epub ahead of print]