Agli inizi del mese i mezzi di comunicazione hanno dato ampio risalto ai risultati di una ricerca condotta da ricercatori del Dipartimento di Scienze del Genoma dell’Università di Seattle (USA). Hanno parlato della scoperta di una tecnica in grado di predire le caratteristiche genetiche complessive (l’intero genoma) del feto, in epoca molto precoce di gravidanza e attraverso un semplice prelievo di sangue materno. Secondo quanto riferito con molta enfasi, la scienza metterebbe a disposizione dei futuri genitori la possibilità di sapere ancora prima della nascita del figlio la sua storia genetica completa. Quindi per ora potrebbe essere diagnosticata l’eventuale presenza di malattie genetiche importanti, ma in futuro la diagnosi potrebbe estendersi ad alcune “caratteristiche sfavorevoli” (ad esempio la predisposizione all’ipertensione) o a semplici tratti somatici (esempio: colore degli occhi). Perciò ecco il solito quesito: che uso si farà di questa scoperta? Non porterà a soddisfare richieste eticamente inaccettabili? Siamo andati a leggere l’articolo scientifico in questione (1) e ci sembra utile commentarlo in chiave critica, per fornire informazioni corrette .
Si sa che nel sangue di una donna in gravidanza vi sono particelle di DNA circolante in forma libera e che questo DNA è soprattutto della madre, ma è anche in piccola parte del feto (10% del totale), per un passaggio di microframmenti fetali attraverso la barriera placentare dalle primissime settimane di gravidanza. Sono almeno dieci anni che vari gruppi di ricerca si applicano per distinguere chiaramente il DNA fetale da quello materno e diagnosticare su questo, a partire dall’ottava settimana di gravidanza, la presenza di malattie genetiche. Finora si sono fatti progressi nel campo di alcune (poche) malattie genetiche: distrofia muscolare, emofilia, acondroplasia, corea di Huntington. Studi sono in corso anche per la fibrosi cistica e questa Fondazione ha finanziato nel 2011 un progetto di ricerca su questo argomento (FFC#7/2011: New strategies for clinical application of non invasive prenatal diagnosis of cystic fibrosis based on the analysis of fetal mutated alleles in maternal plasma – Nuove strategie per applicazioni cliniche alla diagnosi prenatale non invasiva di fibrosi cistica: analisi di alleli fetali mutati nel plasma materno) . Ma nonostante gli sforzi nessuna tecnica oggetto di sperimentazione nelle varie malattie ha ricevuto validazione su ampie casistiche, in modo da poter entrare nell’uso di servizio corrente: e questo, a quanto ci risulta, né in Italia né altrove.
Nella ricerca del gruppo di Seattle, la novità è che la tecnica del sequenziamento (molto più complessa della diagnosi di una singola mutazione genetica responsabile di malattia) è stata dapprima applicata per conoscere il genoma dei due genitori e poi è stata applicata in maniera ultrafine sul DNA presente nel sangue materno: il confronto con quanto già conosciuto come appartenente ai genitori ha permesso di identificare quello che era diverso e quindi non poteva che appartenere al feto. Così è stato fatto nel corso di una gravidanza alla 18a settimana: nato il bambino e analizzato il suo genoma con un prelievo alla nascita, la predizione fatta durante la gravidanza e senza prelevare DNA direttamente dal feto, è risultata accurata al 98 %. Alcuni giornalisti fantasiosi hanno parlato di “DNA virtuale”. L’esperimento è stato ripetuto in una gravidanza di 8 settimane, quindi su quantità ancora più piccole di DNA fetale, e di nuovo la previsione è risultata notevolmente accurata.
Attenzione però: quello che non è stato fatto sapere diffusamente è che nel genoma fetale, predetto in questo modo, è molto difficile distinguere se quello che è “mutato” rispetto al genoma dei genitori ha significato di malattia o è semplice variante innocente. E la predizione comprende un numero elevatissimo di varianti dal significato sconosciuto, che solo quando la gravidanza fosse conclusa e il bambino nato sano si dimostrerebbero innocenti.
In conclusione, la novità è valida perché fa intuire la possibilità di avere a disposizione, con metodo non invasivo, indagini genomiche nel caso di gravidanze che si concludono con bambini affetti da varie patologie genetiche. E questo servirà a far progredire l’identificazione dei geni responsabili di malattie e con il tempo a creare test diagnostici che possono entrare nell’uso corrente. Infatti questo gruppo di ricerca collabora ad una iniziativa su vasta scala per identificare i geni di malattie genetiche anche rare (2). Ma per ora non basta “leggere” il genoma, né quello del feto né quello dell’individuo già nato: bisogna capire quello che vuol dire; cosa che riusciamo a fare ancora solo in piccola parte
1) Kitzman JO, Synder MW, Ventura M, Shendure J “Non invasive whole genome-sequencing of a human fetus” Sci Transl Med 2012 Jun 6; 4 (137):137
2) Bamshad MJ, Shendure JA, Valle D, Hamosh A, Lupski JR, Gibbs RA, Boerwinkle E, Lifton RP, Gerstein M, Gunel M, Mane S, Nickerson DA; on behalf of the Centers for Mendelian Genomics. “The Centers for Mendelian Genomics: A new large-scale initiative to identify the genes underlying rare Mendelian conditions”. Am J Med Genet A. 2012 May 24. doi: 10.1002/ajmg.a.35470. [Epub ahead of print]