Lo screening neonatale per fibrosi cistica si basa su di un sistema diagnostico a più livelli (step).
Il primo consiste nel dosaggio in tutti i neonati di un enzima prodotto dal pancreas, il Tripsinogeno, analizzato con metodo immuno-reattivo (IRT). L’IRT viene dosato su di una goccia di sangue prelevata entro la prima settimana di vita. Nei neonati con valori di IRT al di sopra di una certa soglia viene eseguita l’analisi genetica (secondo step), basata su di un pannello di mutazioni del gene CFTR, allestito in modo da contenere le mutazioni più frequenti nella regione in cui lo screening viene applicato. La presenza di due mutazioni CFTR consente di fare diagnosi certa di malattia anche prima dell’esecuzione del test del sudore; quando invece se ne individua una sola il neonato viene richiamato per eseguire il test del sudore (terzo step) che rappresenta la conferma o la smentita definitiva della malattia. Il tempo che intercorre tra la segnalazione ai genitori dei risultati parziali dello screening e l’appuntamento per il test del sudore è in termini oggettivi breve, in termini soggettivi sempre troppo lungo per i sentimenti di ansia, preoccupazione, timore che vengono indotti nei genitori. Indipendentemente dalla diagnosi finale, spesso è un periodo di attesa che verrà ricordato per tutta la vita.
In questa ricerca(1) eseguita nel Wisconsin, stato americano che ha da parecchio tempo adottato la pratica dello screening neonatale, sono stati intervistati 28 genitori (14 coppie) al momento in cui ricevevano l’appuntamento per il test del sudore e sei mesi dopo che era stato eseguito.
Tra il momento dell’appuntamento e l’esecuzione del test sono trascorsi in media di 7 giorni (minimo 3, massimo 35). Analizzando le interviste i ricercatori hanno visto che i genitori che tolleravano meglio l’ansia dell’attesa erano quelli che in qualche modo già sapevano che il bambino sarebbe stato sottoposto a degli esami di screening per alcune malattie; che avevano anche prima di allora sentito parlare della fibrosi cistica; che, indipendentemente dalla comunicazione circa l’esito dello screening, si erano adattati meglio alla presenza del nuovo bambino; e infine erano stati informati dal medico con un approccio adeguato. Le strategie adottate dai genitori per contenere l’ansia sono state molto varie: alcuni hanno insistito perché il test venisse eseguito il prima possibile; alcuni autonomamente hanno cercato informazioni ulteriori ovunque queste fossero disponibili; altri hanno chiesto aiuto ad altri medici cercando soprattutto di capire il rischio per la salute del bambino; altri hanno cercato conforto nella preghiera, altri ancora si sono chiusi in casa e non hanno voluto parlare con nessuno.
I ricercatori non danno direttive pratiche per migliorare lo stato delle cose; la loro è una descrizione che ha lo scopo di portare l’attenzione su di un problema importante e forse non tenuto in sufficiente considerazione; dicono che sono necessari altri studi per individuare le modalità di comunicazione e i protocolli operativi più adatti per ridurre il disagio di questo periodo, che è definito un rischio psicosociale messo sul piatto della bilancia assieme agli indubbi vantaggi dello screening neonatale.
Tluczek A, et al. “Psychosocial risk associated with newborn screening for cystic fibrosis : parents experience while awaiting the sweat appointment”. Pediatrics 2005 Jun; 115(6): 1692-703