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16 Dicembre 2014

Come comportarsi con i parenti di un malato FC: a proposito del test per il portatore FC

Autore: Elio
Domanda

Sono il papà di un bimbo di 4 anni affetto da FC. Da subito ho informato i parenti prossimi del mio problema ma dopo quattro anni solo alcuni, troppo pochi secondo me, hanno fatto il test. Alcuni medici di base hanno spiegato al parente che vi sono minime probabilità di essere portatori sani FC. Abito in Piemonte e mi pare che ci sia poca informazione in materia di FC per i medici.

 

Risposta

Purtroppo c’è molta disinformazione sul test per il portatore FC, in particolare fra i medici, siano medici di base che ginecologi; questi secondi poi hanno delle responsabilità particolari perché sono gli specialisti a cui la donna e/o la coppia si rivolge quando ha in progetto di avere figli. Questa Fondazione ha adottato la strategia di diffondere documenti e sostenere iniziative che aumentino la diffusione delle informazioni: il documento informativo “Il test per il portatore sano di fibrosi cistica” pubblicato su questo sito è molto letto, ma non basta, occorrerebbero iniziative regionali come quelle avviate nel Veneto nell’ambito di un progetto pilota sempre sostenuto da FFC.

La necessità di informazione ha poi due versanti: nelle coppie che non hanno parenti con la malattia, una volta informate, fare o non fare il test è una scelta, sulla quale può influire, specie in tempi di crisi economica, il costo ancora elevato del test. Ma i parenti che hanno la malattia in famiglia hanno un rischio di essere portatori che è nettamente più elevato di quello dei soggetti della popolazione generale e per loro il test è a carico del Servizio Sanitario Nazionale (pagano solo un ticket di concorso alla spesa). Per entrambe queste ragioni il test nei parenti è fortemente raccomandato e i medici che non lo raccomandano adottano un comportamento criticabile: è vero che rimane il dubbio di quanto i parenti hanno riferito al medico stesso (a volte ci sono ancora delle reticenze, la famiglia viene riferita “tutta sana”); però il medico talora pecca di superficialità e non indaga minimamente la storia familiare, talora ha molto altro da fare e non realizza la necessità di assumere a sua volta informazioni. Perciò minimizza, svaluta il rischio, ha nella mente l’idea che la FC è una malattia rara: bisognerebbe riflettere su questo motto (detto da qualcuno): “tutte le malattie rare sono rare fino a che una di loro non ti capita”, e la FC è la più frequente delle genetiche rare. Quanto più stretto è il grado di parentela con il malato tanto più alto è il rischio di essere portatore (1 su 2 per lo zio, 1 su 4 per il cugino di primo grado); e lo stesso rischio non è basso nemmeno per un soggetto della popolazione generale (1 su 25).

Ma la “percezione” del rischio è soggettiva, dipendente anche dalla personalità e dalle circostanze. Per cui all’atto pratico in molte esperienze, compresa quella del progetto pilota di screening “a cascata” (dal malato alla parentela) condotto nella regione Veneto negli anni 90, è stata scelta la strategia di puntare su individui più giovani e più disponibili a fare il test. Quell’esperienza ci aveva insegnato che i parenti, quando informati, vengono a fare il test soprattutto se sono in età da avere figli, altrimenti non vengono, perché il rischio genetico è percepito come qualcosa di molto astratto e ancora lontano da ricadute pratiche (1).

Che fare? Utilizzare i documenti d’informazione esistenti, in particolare su web, e segnalarli: il meccanismo del passa parola via web è efficacissimo per argomenti ben più futili, potrebbe essere vincente anche in questa materia. Gli stessi parenti al momento di decidere possono andare dal medico per condividere quello che, almeno in parte, già sanno. E dopo aver fatto comunque tutto il possibile, lasciare ai parenti la responsabilità delle loro scelte. Si veda a questo proposito una risposta interessante (2).

1) Borgo G, Castellani C, Bonizzato A, Mastella G. “Carrier testing program in a high risk cystic fibrosis population from northeastern Italy. Active recruitment of relatives via probands’ parents. Community Genet 1999;2(2-3):82-90
2) Si può imporre di far conoscere ai parenti la propria condizione di portatoredi un tratto genetico patologico?

 

G. Borgo


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