È una domenica d’autunno quando giungo a Lainate. Non mancano le foglie calde e il cielo azzurro. L’aria accogliente della strada rifluisce e si stempera nell’atmosfera piacevole dell’appartamento di Davide e Giovanna, che mi attendono per pranzo con Roberto e Marcia.
Davide porta in tavola l’amatriciana e la conversazione prende il sapore semplice e intenso del sugo che condisce i bucatini. Più tardi siedo in compagnia di Giovanna, amica di Marcia da quando avevano circa quindici anni. Inizialmente non sapeva nemmeno che Marcia fosse malata e anche in seguito, per un certo tempo, la fibrosi cistica continuò a essere «qualcosa che la portava a prendere delle medicine. Una presenza non molto invasiva», almeno all’apparenza.
«Quando Marcia disse di non volere più venire a scuola (aveva diciassette anni), capii che si trattava di qualcosa di grave, che cambiava la vita – ricorda Giovanna. Iniziai a notare come si ammalasse ogni due-per-tre, andasse in ospedale una volta al mese, dedicasse molto tempo alle terapie, facesse meno della metà delle ore degli altri (iniziava le lezioni alle 11), dicesse di non poter frequentare locali con il fumo. La quotidianità mi ha fatto capire cosa voleva dire nel lato pratico la fibrosi cistica: una malattia con un grosso impatto su tutti i giorni».
Giovanna, coltivando un rapporto di profonda amicizia con Marcia, è passata senza accorgersene dalla parte di chi convive con la malattia, naturalizzandola. «Per me è normale – racconta Giovanna, pensando alla vita di Marcia – ma quando parli con gli altri, anche mia mamma e mia sorella, ti fanno capire che è una malattia che condiziona molto la quotidianità e che non c’è niente di normale».
L’inganno gentile perpetuato da Marcia ogni giorno consiste nel vivere con naturalità il suo stato di malato cronico, trasmettendo a chi la circonda la calma delle cose familiari. «È molto brava a non fare pesare la malattia a nessuno e a viverla molto serenamente – osserva Giovanna. Da lei ho imparato ad affrontare le cose che succedono nella vita con serenità. Ci sono cose che puoi cambiare e cose che no: sono i dati di fatto che bisogna accettare. Mi ha mostrato che se lo fai è tutto molto più semplice di quello che ti dicono. La vita non è quello che ti succede, ma come lo affronti. Marcia mi ha insegnato che le tragedie non esistono. La porto sempre come esempio». Certo è particolarissimo il suo modo di adattarsi alle circostanze, come restano singolari la determinazione a vivere di Marcia, ma soprattutto la leggerezza con cui attraversa le situazioni più critiche.
Chiedo a Giovanna se qualche volta abbia avuto paura. «No – risponde. Mi sono sempre fidata delle sensazioni di Marcia, né più né meno. Noi amici facciamo così. So che alle domande cosmiche risponderebbe con una battuta. Il periodo più brutto è stato quello prima del trapianto. Dopo torni a fare molto di più. Rispetto a prima puoi fare quello che facciamo noi, almeno per degli anni, ma il tempo della lista d’attesa è il periodo delle ali tarpate». Marcia come lo viveva?
«Lei ci rimaneva malissimo. Ogni giorno poteva fare una cosa in meno. Avevamo vent’anni, tutti ci guardavano quando uscivamo: io le portavo lo stroller, che pesava una cifra e aveva un’autonomia ridotta; lei portava lo strano occhiale da nonna per nascondere le cannette dell’ossigeno, immenso sul suo viso minuscolo. Incontrandola non ci si sognerebbe che ha passato del tempo a girare con l’ossigeno, tutte le ore spese facendo terapie, la quantità di farmaci che ha preso. Ogni mattina, in estate, in inverno, in vacanza, punta la sveglia ore 7 per curarsi. Deve stare attenta a quello che mangia; si ammala cento volte più degli altri; in piscina io faccio cento vasche lei sei ed è stanca; andiamo a Gardaland una giornata e c’impiega quattordici giorni a riprendersi. Se capitasse a me cento volte non lo saprei affrontare come lei».
A Giovanna bastano poche domande per risponderne a molte. Mentre leggo la sincerità delle sue parole sulle linee pulite del suo volto, aggiunge: «sono amica sua non per starle vicino. Per le cose importanti sa che ci sono, sa che sono qui. Marcia è mia amica a prescindere dalla malattia. Io la malattia probabilmente me la sono dimenticata come lei». Fermo lo sguardo nel suo: è fermo e trasparente. Lo abbasso per prendere nota.
È tutto detto.