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Il lato psicologico della fibrosi cistica

Dietro il microscopio

A maggio, Sonia Graziano è stata ospite del nostro Seminario di primavera per approfondire il tema degli effetti dei farmaci modulatori sulla salute mentale delle persone con fibrosi cistica. È stato un interessante momento di scambio e di confronto con tutti i volontari e i familiari di persone con FC, un incontro che ci ha lasciato importanti spunti di riflessione. Che con questa nuova chiacchierata vogliamo arricchire di altri tasselli.

Il fine settimana del Seminario e Raduno è sempre un momento intenso ed emozionante per noi, in cui condividiamo non solo i risultati più recenti della ricerca scientifica ma anche attimi, sensazioni, emozioni, scelte. Cosa è stato per lei quell’incontro?
Ero molto curiosa. Circa 12 anni fa, quando per la prima volta ho partecipato al Congresso FC Nord Americano, ho avuto l’onore di conoscere Gianni Mastella e lui parlava molto di Fondazione, poi non c’è stata l’occasione per un altro incontro, così ho colto l’invito al volo. A Jesolo mi sono sentita circondata dall’entusiasmo delle persone che fanno parte della community e ho toccato con mano l’importanza del supporto sociale, uno dei fattori di protezione in assoluto più efficaci che esistono. Intendo quando le famiglie non sono sole rispetto alla gestione della patologia e della propria vita, ma vivono un contesto in cui possono condividere e usufruire della narrazione e del sostegno di chi ci è passato prima, beneficiano dello stare assieme, della compartecipazione, del fare progetti, organizzare raccolte fondi. In quest’ottica credo che l’associazionismo sia un vero valore aggiunto.

Quanto influisce il contesto sociale e familiare sulla malattia?
Dico sempre che avere la FC è come avere uno zainetto un po’ più pesante degli altri: poter contare su una famiglia, gli amici, una comunità che sostiene la fatica alleggerendo il peso che il malato porta con sé, rappresenta un fattore protettivo universale. Nessuna famiglia è pronta ad affrontare una patologia cronica come la FC: sin dal momento della diagnosi è perciò cruciale la presenza di una équipe di diverse figure professionali che sostenga i genitori affinché piano piano possano a loro volta sostenere i bambini e poi gli adolescenti e così via, con una sorta di funzionamento a matrioska. Poi quando il bambino cresce e comincia a porre delle domande, è importante coinvolgerlo gradualmente in maniera attiva e partecipativa per “traghettarlo” in adolescenza e poi in età adulta, così da promuovere una buona conoscenza e consapevolezza della malattia e dei meccanismi associati alle cure, al fine di favorire un buon adattamento e una buona aderenza.

Negli ultimi tre anni la fibrosi cistica ha attraversato un cambiamento epocale sul piano clinico. Cosa è cambiato sul piano psicologico?
Per rispondere a questa domanda dovremmo scrivere una enciclopedia! C’è innanzitutto una grossa fetta di pazienti, per fortuna, che prende i modulatori e per cui si sono stravolte sia le prospettive di vita, sia le abitudini, le progettualità future, l’aderenza alle terapie. I pazienti stanno meglio e hanno rimesso in discussione molte cose: per gli adolescenti, soprattutto l’aderenza alle terapie, da sempre uno dei problemi storici a quell’età e adesso ancora più centrale. I giovani adulti si stanno confrontando con la necessità di ridefinire i progetti, la propria identità, le proprie scelte; e ciò può portare a un adattamento o a una modifica di alcuni aspetti individuali e familiari.
Al contempo si sono acuiti i problemi psicologici di quelle persone che non possono accedere ai nuovi farmaci: demoralizzazione, rabbia, senso di esclusione rispetto all’entusiasmo collettivo.

Far parte del mondo FC ha una funzione identitaria?
Avere la fibrosi cistica vuol dire essere parte di una comunità di persone che condivide alcune caratteristiche e che si confronta con le medesime difficoltà. Questo rappresenta un aspetto identitario. Negli ultimi anni si è creata molta differenza tra chi può e chi non può accedere al modulatore. Anche tra coloro che assumono il modulatore ci sono delle differenze: alcuni pazienti hanno un miglioramento molto elevato mentre altri rispondono poco e l’entusiasmo iniziale magari si è dovuto ridimensionare, così come le aspettative.

Quali sono invece i principali aspetti psicologici critici legati all’assunzione del farmaco?
Da quando abbiamo iniziato a monitorare gli effetti positivi e i possibili effetti avversi associati al modulatore, sono stati evidenziati, per fortuna in una piccola percentuale di casi, difficoltà di concentrazione, di memoria, di attenzione, alcune difficoltà del sonno e nebbia cognitiva. Come clinici, dobbiamo monitorare i cambiamenti e in alcuni casi personalizzare la terapia in base all’effetto nelle singole persone, per esempio modificando il dosaggio del farmaco o, in rari casi, interrompendo l’assunzione. La sfida che ci troviamo ad affrontare ora sono gli aspetti psicologici dei bambini dai 6 anni in su; a breve avremo anche l’erogazione del farmaco ai bambini ancora più piccoli per cui il monitoraggio sarà molto importante. Senza allarmismi, dobbiamo tenere a mente che la CFTR è presente in varie parti del corpo compreso il cervello e potrebbe avere effetto anche a livello neuropsicologico.

Ci sono aspetti neuropsicologici associati al Kaftrio che sono più frequenti nei bambini rispetto agli adolescenti e adulti?
Nei bambini piccoli molto spesso non vengono percepiti grandi cambiamenti, non per una questione di efficacia ma perché in età scolare c’è tendenzialmente una buona stabilità clinica. In alcuni pazienti abbiamo osservato iperattività, ansia, attacchi di panico, difficoltà di attenzione, irritabilità. Non abbiamo tempi tanto lunghi di osservazione, però è importante riconoscerli.
A volte sono gli insegnanti a segnalare questi cambiamenti nel comportamento. In generale dobbiamo anche considerare che più si cresce più gli aspetti psicologici tendono a esprimersi attraverso sintomi più internalizzati: in adolescenza c’è più chiusura, isolamento sociale, difficoltà con i pari, che rispecchia proprio una questione evolutiva, non specifica della FC.

Come si fa a capire se un sintomo è legato alla malattia o al modulatore?
Durante il follow up con i medici di riferimento, lo psicologo indaga un po’ tutte le aree di funzionamento di una persona: la socialità, il funzionamento scolastico o lavorativo, il sonno, l’alimentazione. Il suggerimento a famiglie e pazienti è segnalare tutti i cambiamenti che si notano e, assieme al clinico, monitorarli nel tempo. Tutti noi affrontiamo momenti in cui abbiamo disturbi del sonno o possiamo essere più ansiosi e preoccupati, le variabili che discriminano sono la continuità, la pervasività del sintomo e quanto impatta sulla qualità della vita della persona. Fare una buona anamnesi (raccolta della storia evolutiva) è centrale per comprendere se alcune difficoltà sono antecedenti ai modulatori.

La relazione medico-paziente diventa ancora più importante. Si riesce a staccare o inevitabilmente ci si porta a casa ciascun malato?
Si deve staccare, è una cosa che si impara e che ho imparato con il tempo, l’esperienza e la supervisione. Quando ho iniziato il mio lavoro sul campo mi portavo a casa tanto, e ciò non faceva bene né a me né ai miei pazienti. Negli anni ho imparato a entrare in empatia sì, ma senza immergermi nella sofferenza dell’altro al punto da non riuscire a uscirne. Mi aiuta anche la vita sociale, mi piace molto viaggiare e incontrare persone nuove. Il lavoro nell’ambito della fibrosi cistica ha decisamente contribuito in questo: facendo parte del gruppo europeo e del gruppo americano degli psicologi in fibrosi cistica, rimango spesso contagiata dall’entusiasmo del confronto tra colleghi. Poi ci sono le fonti di benessere legate ai miei affetti e alla possibilità di fare cose lontane dal lavoro in ospedale.

Se potesse risolvere uno e un solo problema legato alla salute mentale in fibrosi cistica quale sarebbe?
Vorrei inserire in modo stabile uno psicologo FC in tutti i Centri italiani. Oggi, non tutti i Centri hanno uno psicologo nell’équipe, ma ciò non ci deve demoralizzare. I contesti possono cambiare e sono convinta si possano promuovere percorsi psicologici più equi, non solo nei Centri più grandi. Le barriere ci sono e le dobbiamo vedere… per poterle combattere. Come mi ha spesso ripetuto un mio mentore: guarda e comprendi la realtà in modo chiaro ma non abbandonare mai i tuoi sogni.

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